Campane su YouTube: Prata Camportaccio 1, 2, 3 - San Cassiano 1, 2, 3, 4


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Appena prima di Chiavenna, salendo lungo la piana di Chiavenna sul lato orientale, cioè sul versante retico, allo sbocco della selvaggia Val Schiesone si trova il comune di Prata Camportaccio, che ha un'estensione di 27,8 kmq e trova nel celebra pizzo di Prata (il pizzùn o pizzasc', così chiamato per la sua impressionante verticale parete nord, una delle più difficili, alpinisticamente, delle Alpi Centrali, salita per la prima volta da don Giuseppe Buzzetti), il suo punto di massima elevazione (2727 metri).
La sua storia fu sempre strettamente legata a quella della medesima Chiavenna, di cui, in un documento del 1212, figura come “vicinanza”, cioè come dipendenza rurale la cui economia era sostanzialmente legata all’allevamento ed alla coltura del castagno. La sua importanza e
ra connessa con il fatto che si trovava sulla via di fondamentale importanza che dalla Corte regia della Riva di Mezzola, dove approdavano le imbarcazioni che risalivano il lago di Como, saliva fino a Chiavenna. A sua volta Chiavenna fu in passato la storica chiave, il punto nodale delle più importanti vie di comunicazione fra la Rezia ed il bacino Padano, fra Coira e Como, vie che passavano per i passi alpini dello Spluga, del Maloja, del Septimer e dello Julier, di fondamentale rilievo sia militare che commerciale. A Chiavenna giungeva, infatti, fin dall’epoca romana, la strada che da Como risaliva il lato occidentale del Lario fino a Samolaco; da Chiavenna partivano le strade per raggiungere Coira dal passo del Septimer e, probabilmente dal II secolo d.C., attraverso lo Spluga.


Chiesa di S. Eusebio a Prata Camportaccio

Assai antico il toponimo “Clavenna”, che si trova già citato, insieme a “Summo lacu” (Samolaco) nell’itinerarium provinciarum Antonini Augusti del II o III secolo d.C. e nella tavola Peutingeriana del III secolo d.C., dove sono registrate le distanze fra le varie località dell’Impero Romano. Le testimonianze romane parlano dei “Clavennates” come di un ceppo della grande famiglia dei Reti, la cui origine viene ricondotta al popolo Etrusco ed alla sua disseminazione conseguente alle invasioni galliche (il suffisso –enna pare essere di origine etrusca). La romanizzazione di Chiavenna risale ai decenni a cavallo della nascita di Cristo, con le spedizioni di Publio Silio (16 a.C.) e Tiberio e Druso (15 d.C.).


Prata Camportaccio

Ma ben prima dell’arrivo dei Romani questo angolo della Rezia vide la presenza, per la sua felice esposizione solatia fra le grandi rocce levigate dai ghiacciai del quaternario, di popolazioni preistoriche, come testimoniano le incisioni a punta di lancia su un roccione strapiombante poco a nord del nucleo di Dona, appena a monte del centro di Prata, incisioni databili all’età del bronzo o del ferro. I Romani apprezzarono molto le trone ed i torni per le lavorazione della famosa pietra ollare, attivi a Prata come nella vicina Chiavenna. Si tratta della “lapis viridis comensis” di cui ci parla Plinio il Vecchio (“In Sifno vi è una pietra che viene cavata e lavorata a forma di vasi utili per cuocere i cibi e per uso degli scultori, cosa che noi sappiamo accadere con la pietra di Como in Italia”, Naturales Historiae, libro XXXVI, cap. 12), che veniva trasportata a Como per via lacustre (la riva settentrionale del Lario era, allora, più avanzata verso nord nella piana di Chiavenna e da esso non si era ancora staccato il lago di Mezzola.


San Cassiano

La disgregazione dell’Impero Romano d’occidente portò alle invasioni (o migrazioni, a seconda dei punti di vista) delle popolazioni germaniche e probabilmente Chiavenna fu inglobata, dopo il 489, nel regno ostrogoto di Teodorico, in quel medesimo V secolo nel quale si colloca la prima penetrazione del cristianesimo nella valle. Furono gettate le basi della pieve di Chiavenna, dedicata a S. Lorenzo, santo del ciclo romano, quello più antico. “La divisione delle pievi”, scrive il Besta (cfr. bibliografia), “appare fatta per bacini… aventi da epoche remote propri nomi, come è infatti accertato per i Bergalei, i Clavennates, gli Aneuniates”. La pieve, dopo il mille, era, insieme a quelle di S. Fedele presso Samolaco, di S. Lorenzo in Ardenno e Villa, di S. Stefano in Olonio e Mazzo, di S. Eufemia o S. Pietro in Teglio, dei martiri Gervasio e Protasio in Bormio e Sondrio e di S. Pietro in Berbenno e Tresivio, uno dei poli fondamentali dell'irradiazione della fede cristiana. Prata era ovviamente inclusa nella pieve di S. Lorenzo di Chiavenna.


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L’offensiva Bizantina riconquistò probabilmente alla “romanità” la valle della Mera, anche dopo l'irruzione e la conquista dei Longobardi (568); nell'VIII secolo, però, con il re Liutprando il confine dei domini longobardi raggiunse il displuvio alpino, quindi anche Chiavenna, che divenne, allora, “una delle più importanti stazioni doganali del Regno d’Italia” (Besta), in quando posta in zona non lontana da territori di lingua tedesca: qui i mercanti d'oltralpe dovevano sostare e pagare un dazio corrispondente al 10% del valore delle merci. Non stupisce, quindi, che Chiavenna sia citata nella celebre Storia dei Longobardi di Paolo Diacono. Con i successori Rachis ed Astolfo, nel medesimo VIII secolo, Chiavenna risulta donata alla chiesa di Como.


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Tracce della presenza longobarda sono rinvenibili anche nei dialetti valtellinesi, ed il repertorio di termini che ad essa rimandano non è insignificante. Per citarne solo alcuni, di uso piuttosto comune, si possono segnalare "sberlüsc'" (lampo) e "matüsc'" (caciottella di formaggio molle), “güdàzz" (padrino), "sluzz" (bagnato), "balòss" (furbo, furfante), "maschérpa" (ricotta), "gnècch" (di malumore), "lifròch" (sciocco), "bütér" (burro), "scagn" (appoggio per mungere), "scràna" (panca), "scoss" (grembo) , "stracch" (stanco), “slendenàa” (ozioso), “menegold” (coste, bietole), “trincà” (bere), “slòz” (bagnato), “sgrafignà” (rubare), “snizà” (iniziare a mangiare), “grignà” (ridere), “scòss” (grembo), “gram” (cattivo, scarso), “maròs” (cespuglio, ontano), “schèrp” (contenitore), “stachèta” (chiodo per scarpe), “burnìs” (brace), “biótt” (nudo), “rüt” (sporco, rifiuto), “bródeg” (sporco), “ghèi” (soldi).


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Sconfitti, nel 774, i Longobardi da Carlo Magno, Chiavenna e la Valtellina rimasero parte del Regno d’Italia, sottoposto alla nuova dominazione franca. La frammentazione dell’Impero di Carlo portò all’annessione del Regno d’Italia a quello di Germania, il che rese la posizione di Chiavenna di rilievo strategico primario, posta com’era quasi a cavallo fra i due regni.


La chiesa di San Cassiano

E proprio nel secolo X, precisamente nel 973, in un atto di vendita viene per la prima volta menzionata Prata, anche se il riferimento probabilmente va ristretto alla zona dei crotti, cioè delle cavità nella roccia entro la quale la circolazione dell’aria mantiene una temperatura costante ideale per la conservazione dei prodotti dell’allevamento. In un successivo documento del 992 si menziona Berzo, sempre con riferimento alla zona dei crotti. Nel periodo successivo nascono altri nuclei, Stabiana nel 1048, Dona o Duano (dove era in funzione un tornio ad acqua per la lavorazione della pietra ollare) nel 1089, Stoa nel 1153, Cantabene nel 1175, Tanno nel 1189.


Pradotti e Pizzo di Prata

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Il 1178 è un anno importante nella storia di Prata, quello della fondazione del monastero di Dona, un monastero maschile, di regola cistercense o benedettina. Fu fondato da un religioso, Olderico, che lo storico settecentesco Francesco Saverio Quadrio ritiene proveniente dal monastero di San Fedele di Samolaco. Il 3 luglio 1185 il monastero ricevette in dono dall'imperatore Federico I un terreno e un campo. Papa Urbano III conferma la sua istituzione nel 1187, attribuendole diverse terre, fra cui quella di Lottano ("Loteno"). Ebbe un ruolo importante nella paziente opera di bonifica e trasformazione delle selve di castagno in campi e vigne. Nel 1216 era costituto dall'abate, da tre monaci e da cinque conversi. Nel 1254 è attestata la presenza di cinque religiosi, e così nel 1316. La visita pastorale del Vescovo di Como Landriani nel 1444, però, trova nel monastero solo un professo ed un converso, mentre manca l'abate, Giovanni "de Isardis" di Treviglio. Ultimo abate regolare è stato Luca da Oggiono, tra il 1454 ed il 1473, con un solo monaco professo e due servitori. Nel 1474 succedeva al defunto abate Luca un commendatario, Giovanni "de Prata". Dopo la sua morte iniziò un periodo di vacanza, fino alla soppressione.


La chiesa di Sant'Eusebio a Prata Camportaccio

Nel secolo XII risultano già presenti a Prata due chiese, quella che poi verrà ricostruita nel secolo XVII come chiesa parrocchiale di S. Eusebio e, sul lato opposto del torrente Schiesone, quella dei santi Cristoforo e Pancrazio, demolita nel 1628 (di essa resta solo il suggestivo "campanile nero"). In que medesimo secolo gli abitanti di Prata sono sfiorati da un evento di assoluto rilievo storico: l’imperatore Federico I Barbarossa scende a Chiavenna una prima volta nel 1158, ospite dell’amico e collaboratore Guiberto Grasso, e dichiara Chiavenna parte integrante del ducato di Svevia, delegando i consoli del comune ad esercitare i diritti comitali spettanti al duca di Svevia; passa una seconda volta nel fatale 1176, per supplicare, invano, l’aiuto del cugino Enrico il Leone contro i comuni Lombardi, che nel medesimo anno l’avrebbero poi sconfitto a Legnano. Come segno della sua gratitudine verso Chiavenna il Barbarossa le dona il più celebre e prezioso dei suoi tesori, una coperta di evangelario con lamine d’oro, smalti e perle, nota come la "Pace".
Nel 1246 Prata si costituisce in comune autonomo, citato in atti notarili del 1292, 1298, 1301. Ad esso appartenevano la contrada di Prata, Comportaccio, Gallo, Stovano, Madrea, Dona, Berzo, Stabiana,S.Cristoforo, Reguscio, la contrada del Mulino, Tanno, Roncaglia e Campedello, che si staccherà dal comune nel Cinquecento.


Prata Camportaccio

Nel 1335 Como, e con essa Chiavenna e Prata, vennero inglobate nella signoria milanese di Azzone Visconti. Nel medesimo 1335 vengono promulgati gli Statuti di Como, nei quali Prata, compreso nella pieve di Chiavenna, figurava come “comune locorum de Prata et de Roncalia”.
Il comune di Prata era governato da un consiglio ordinario segreto, coadiuvato in determinati casi da una giunta, e dal consiglio generale del popolo: i primi formati da rappresentanti della propria lista o squadra, in numero e di denominazioni diverse nel corso del tempo, ma stabilizzate nei sei quartieri di Prata, Lottano, Uschione (squadre “al di fora” del torrente Schiesone), Stova di Sopra, Stova di Sotto, Malaguardia (squadre “al di qua” dello Schiesone) a partire dalla metà del XVII secolo. Nel XVI secolo il comune era ripartito nelle quattro squadre di Prata, Stova, Dona, Uschione, le prime due successivamente divise nelle liste di Prata e Malaguardia e Stova di Sopra e di Sotto, mentre il quartiere di Lottano venne progressivamente a sostituire quello di Dona. Durante il periodo di antico regime fece parte del comune di Prata anche la vicinanza di Campedello, amministrata da un proprio console, regolata da un proprio statuto e dotata, dal XVI secolo, di un proprio estimo e di un proprio territorio.


Testata della Val Schiesone dal Mont di Bech

Nella seconda metà del Quattrocento si registrano le avvisaglie di un importante mutamento nella storia delle valli dell’Adda e della Mera. Cominciavano ad affacciarsi quelli che sarebbero stati, dal 1512, i nuovi signori delle valli dell’Adda e della Mera, le Tre Leghe Grigie (Lega Grigia, Lega Caddea e Lega delle Dieci Giurisdizioni, che si erano unite nel 1471 a Vazerol), che miravano ad inglobarle nei loro territori per avere pieno controllo dei traffici commerciali che di lì passavano, assicurando lauti profitti. In particolare, la città, priva di cinta muraria, fu incendiata, nel 1486, dalle loro milizie, che, invaso il bormiese l'anno successivo e fermate alla piana di Caiolo, ripassarono i valichi per la Rezia solo dopo aver ottenuto un oneroso riscatto, quasi segno premonitore di quel che Valtellina e Valchiavenna sarebbero apparse ai loro occhi nella successiva generazione, una inesauribile macchina per far soldi, diremmo noi oggi. Dopo tale evento iniziò la ricostruzione del centro storico, che assunse gradualmente una fisionomia simile all’attuale, e Ludovico il Moro la fece cingere di mura, erette tra il 1488 e il 1497. Si trattava di un imponente bastione, realizzato su progetto di Ambrogio Ferrari e lungo poco meno di 2 km, con 14 torrioni e 3 porte, una per Como e Milano, la seconda per la Val S. Giacomo e la terza per la Val Bregaglia. Alla sua realizzazione assistettero anche l'architetto Giovanni Antonio Amedeo e, nel 1497, il grande Leonardo da Vinci, che menziona la valle di Chiavenna nel "Codice atlantico".


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Di lì a poco, nel 1500, Ludovico, con la sconfitta di Novara, perse il ducato di Milano ad opera del re francese Luigi XII. Per dodici anni i Francesi furono padroni di Valtellina e Valchiavenna; il loro dominio, però, per dispotismo ed arroganza, lasciò ovunque un pessimo ricordo, cosicché il loro rovescio e l’inizio della dominazione delle Tre Leghe Grigie (1512) venne salutato non con entusiasmo, ma almeno con un certo sollievo.
I nuovi signori proclamavano di voler esercitare un dominio non rapace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); ma per mettere bene in chiaro che non avrebbero tollerato insubordinazioni, nel 1526 abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna, compreso quello di Chiavenna (anche perché non li potevano presidiare ed avevano dovuto subire, l'anno precedente, il tentativo, fallito, di riconquista della Valtellina messo in atto mediante un famoso avventuriero, Gian Giacomo Medici detto il Medeghino). Sulla natura di tale dominio controverso è il giudizio degli storici; lapidario è il Besta (op. cit.): "Nessun sollievo rispetto al passato; e men che meno un limite prestabilito alla pressione fiscale. Nuovi pesi si aggiunsero ai tradizionali... I Grigioni... ai primi di luglio del 1512... imponevano un taglione di 21.000 fiorini del Reno pel pagamento degli stipendiari del vescovo di Coira e delle Tre Leghe.... Per quanto si cerchi non si trova al potere dei Grigioni altro fondamento che la violenza. Sarà magari verissimo che i Grigioni non fecero alcuna promessa ai Valtellinesi; ma è anche vero che questi non promisero a loro una perpetua sudditanza".


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Nel medesimo Cinquecento prendono forma più definita le istituzioni del comune di Prata. Ne dà analitica descrizione la pubblicazione “Le istituzioni storiche del territorio lombardo”, edita nel 1999 da Regione Lombardia sotto la direzione generale di Roberto Grassi. “Il consiglio di giunta di Prata era formato da un rappresentante eletto da ciascuna lista o squadra e andava ad affiancarsi al consiglio ordinario ogni volta che si rendesse necessario discutere argomenti ritenuti rilevanti per la vita della comunità; in particolare, nella riunione del 31 dicembre di ogni anno, la scelta delle tre persone tra le quali scegliere per estrazione il nuovo console, e inoltre l’esecuzione di opere pubbliche, la predisposizione degli estimi, l’incanto del dazio del pane e dei beni comunali, i provvedimenti di spesa e di ordine pubblico, interessanti la comunità di Prata, la giurisdizione e il contado di Chiavenna. Il consiglio generale del popolo di Prata era formato dagli uomini capi di famiglia del comune, i quali, singolarmente avvisati, erano convocati nella piazza presso la chiesa di Sant’Eusebio per discutere ed approvare le questioni fondamentali della vita di comunità: l’elezione del console e del consiglio, l’incanto del dazio del pane, l’affitto dei beni comunali, la lettura degli ordini comunali e dei regolamenti dei boschi, la resa dei conti consolari. La validità dell’assemblea era condizionata dalla presenza di almeno due terzi degli aventi diritto. Il consiglio ordinario segreto o consiglio ordinario di Prata, che durava in carica un anno, si riuniva quasi sempre in giorno festivo, anche più volte al mese, per la trattazione degli affari della comunità. Era sua prerogativa, oltre all’elezione del console, la nomina, in occasione della sua prima sessione, generalmente il 6 gennaio, dei nuovi ufficiali di comunità e dei luoghi pii.


Lottano

Il consiglio era formato da quattro, cinque, sei o più persone, ciascuna eletta in rappresentanza della propria lista o squadra. Il 31 dicembre di ogni anno il consiglio uscente si riuniva per approvare l’elezione dei nuovi consiglieri del comune, i sei del consiglio ordinario e i sei della giunta, e per nominare le tre persone giudicate più capaci tra le quali eleggere il console. Il 1 gennaio seguente, il nuovo consiglio, convocato dal console uscente, nominava il nuovo console per estrazione a sorte. Nomina del console e del nuovo consiglio venivano quindi approvati dal consiglio generale.
I consiglieri, come il console e gli ufficiali di comunità e luoghi pii, davano giuramento all’inizio di ogni anno dinanzi al commissario di Chiavenna. La nomina del console, scelto ogni anno per estrazione da una rosa di tre nomi proposta dal consiglio ordinario, veniva approvata dal consiglio generale del popolo di Prata. In base ad una decisione ratificata nel 1734, il console spettava alternativamente alle tre squadre “al di fora” o “al di qua” del torrente Schiesone, rilevando che quando toccava alle prime avere il console, erano le altre che procedevano al ballottaggio. Secondo tale deliberazione, un console non poteva essere rieletto se non dopo passati sei anni dal suo ultimo mandato. Dal 1784 l’elezione del console, sempre per ballottaggio, fu demandata direttamente al consiglio generale.


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Il console convocava e presiedeva i consigli, riscuoteva e amministrava le entrate, delle quali rendeva pubblicamente conto al console dell’anno successivo, rappresentava il comune di Prata nei consigli di giurisdizione e di contado. Il console, come i consiglieri e gli ufficiali di comunità e luoghi pii, dava giuramento all’inizio di ogni anno dinanzi al commissario di Chiavenna. La nomina degli ufficiali di comunità e dei luoghi pii era prerogativa del consiglio ordinario di Prata, nella sua prima sessione annuale del 6 gennaio. Si trattava di due provisionari del pane, in carica per un biennio, ma subentrandone uno nuovo ogni anno, con il compito di valutare peso e qualità del pane; tre stimatori giurati per la formazione e l’aggiornamento degli estimi e per la valutazione dei beni ai fini della vendita o per l’attribuzione di nuovo valore; il deputato o commissario delle strade (chiamato anche commissario della strada imperiale), per la visita, controllo e manutenzione della strada imperiale e delle strade comunali; sei campari e sei postari, ciascuno eletto in rappresentanza della propria lista, preposti al controllo dei boschi, pascoli, bestiame e relative posterie e stalle; sei canepari delle liste, chiamati anche esattori o scoditori delle taglie, con il compito di valutare e riscuotere le taglie delle rispettive liste.


L'ex-latteria sociale di Prata Camportaccio

Ufficiali più strettamente amministrativi, numericamente differenziati e diversamente chiamati nel corso del tempo, erano il servitore del console, il servitore del comune, lo scrittore (in numero di due dalla metà del XVIII secolo) a volte chiamato anche cancelliere, con il compito di scrivere le rese dei conti, gli stabilimenti, i quinternetti, le stime, calcolare le taglie e registrare gli estimi, ricercare in archivio i documenti interessanti il comune. A questi ufficiali di comunità si aggiungevano gli ufficiali dei luoghi pii, cioè i due sindaci della chiesa, i due sindaci dei defunti, i sottopriori delle confraternite. Gli ufficiali di comunità e dei luoghi pii, come il console e i consiglieri, davano giuramento all’inizio di ogni anno dinanzi al commissario di Chiavenna.”


Il "campanile nero"

Giovanni Guler von Weineck pubblicò a Zurigo nel 1616 un’opera intitolata “Rhaetia”, nella quale offre un quadro assai analitico di Valtellina e Valchiavenna riferibile alla fine del secolo XVI. Vi si legge, in merito a Prata ed ai suoi crotti: “A Riva finisce il lago; poi, fra le montagne e la Mera, si stende un tratto di pianura proseguendo per la quale, lungo la sponda sinistra del fiume, si arriva dopo un buon miglio tedesco a San Cassiano. Più oltre s’incontra quasi subito un villaggio detto Malaguardia; e quindi si arriva al paese di Prata, sopra il quale sorge l’abbazia di Dona, dell’ordine dei Benedettini, dove generalmente non risiedono più di sei monaci. La sua fondazione risale a Valentina Visconti, duchessa d’Orleans e poi Regina di Francia. Più oltre, ma anche più a monte, vicinissimo però a Chiavenna, sorge un paese di circa sessanta case, chiamato Uschione; i suoi abitanti vivono quasi tutti dell’industria della pietra. Infatti essi cavano dalla roccia tenera di questa montagna, poi la trasportano sulle spalle a Chiavenna, dove viene opportunamente lavorata con dei torni idraulici e trasformata in pentole, che si chiamano laveggi. CROTTI E CANTINE. Alle falde di questo monte, vicino alla città di Chiavenna, esistono molte cantine appartenenti ai Chiavennaschi e da loro chiamate Crotti. Prima che questi ci fossero, poiché il calore estivo è grande nel territorio, gli abitanti potevan a stento conservare il loro vino. Ma dalla costruzione dei Crotti in poi, cessò tale iattura. Questa montagna è rotta qua e là da crepacci e da spiragli, i quali nelle loro grotte permettono di fabbricare grandi e capaci cantine; esse poi, per l’aria che spira dagli interni pertugi del monte, lasciati appositamente aperti, sono nella stagione estiva così fresche che, standovi dentro, quasi si patisce una sensazione di freddo; e il vino, al primo cominciare, quasi non si può berlo per la sua soverchia freschezza. … Al sopravvenire dei geli invernali queste cantine sono molto calde, a cagione dell’aria calda che viene emessa dalle viscere del monte, attraverso i menzionati spiragli.”


San Cassiano

La seconda metà del cinquecento vide una certa diffusione della fede riformata in Chiavenna, favorita dai Grigioni, la maggior parte dei quali aveva aderito alla Riforma, seguendo l’indirizzo dello zurighese Ulrich Zwingli. Il sostanziale clima di tolleranza, al di là di attriti e tensioni, favorì l’afflusso di profughi da diverse parti d’Italia, che avevano abbracciato le idee riformate e si stabilirono nella cittadina della Mera per sfuggire alle persecuzioni. Tutto ciò costituì la premessa di un attrito sempre più acuto fra una parte importante delle popolazioni di Valtellina e Valchiavenna ed i governatori Reti, destinato ad esplodere nel secolo successivo. Queste vicende toccarono anche la comunità di Prata, dove le due chiese di S. Eusebio e dei santi Cristoforo e Pancrazio vennero divise fra le due confessioni: la prima fu riservata al culto cattolico, la seconda al culto riformato.


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Il Seicento, dunque. Secolo di segno ben diverso, nel quale le ombre sopravanzarono di gran lunga le luci, nel Chiavennasco ed in Valtellina. Un anno, sopra tutti, merita di essere ricordato come funestamente significativo, il 1618: in Europa ebbe inizio la Guerra dei Trent’Anni, nella quale Valtellina e Valchiavenna furono coinvolti come nodi strategici fra Italia e mondo germanico; a Sondrio, al colmo delle tensioni fra cattolici e governanti grigioni, che favorivano i riformati in valle, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture; la medesima sera della sua morte, il 5 settembre 1618, dopo venti giorni di pioggia torrenziale, al levarsi della luna, venne giù buona parte del monte Conto, seppellendo le 125 case della ricca e nobile Piuro e le 78 case della contrada Scilano, un evento che suscitò enorme scalpore e commozione in tutta Europa.


Dona

Due anni dopo, il 19 luglio del 1620, si scatenarono la rabbia della nobiltà cattolica, guidata da Gian Giacomo Robustelli, la sollevazione anti-grigione e la caccia al protestante, nota con l’infelice denominazione di “Sacro macello valtellinese”, che fece quasi quattrocento vittime fra i riformati. Il “macello” non toccò la Valchiavenna, dove le tensioni fra le due confessioni erano decisamente minori ed il rapporto con il governo grigione meno conflittuale (il che non significa del tutto tranquillo). Fu l’inizio di un periodo quasi ventennale di campagne militari e battaglie, che videro nei due schieramenti contrapporsi Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra. “Se Chiavenna non partecipò alla insurrezione, ne sentì le conseguenze politiche: per una ventina d’anni, al posto dei Grigioni, rimasero come protettori gli Spagnoli, poi le truppe pontificie” (Guido Scaramellini, op. cit.). Gli Spagnoli, infatti, vennero in soccorso ai ribelli cattolici ed occuparono Chiavenna nel 1621. Dopo una breve parentesi che vide la comparsa delle truppe pontificie, che dovevano interporsi fra le due parti in conflitto, ecco di nuovo gli Spagnoli, che dovettero, però, nel marzo del 1625 cedere la città per l'offensiva convergente dei Grigioni e del marchese di Coeuvres, che risalì la Valchiavenna dopo aver ripreso la Valtellina.


Prata Camportaccio

La tregua di Monzòn liberò, nel 1626, Valtellina e Valchiavenna dagli eserciti delle due parti, ma di lì a poco, nel 1629, un nuovo flagello sarebbe sceso d'oltralpe, portando la più feroce epidemia di peste dell’età moderna, resa celebre dalla descrizione manzoniana. Non era certo la prima: altre, terribili e memorabili avevano infierito nei secoli precedenti. Scrive, per esempio, il von Weineck: “L’aria, per tutta la Val Chiavenna, è buona e pura; soltanto è da osservare che, durante la calda stagione, il vento di sud apporta nel paese qualche impurità dalle paludi del lago… La peste qui infierisce di raro: ma quando principia, infuria tremendamente. Infatti quando essa, nel novembre del 1564, penetrò nella valle, distrusse in quattordici mesi i tre decimi della popolazione”. Ma quella del 1629 fu più tragica. I lanzichenecchi, al soldo dell'imperatore Federico II, scesero dalla Valchiavenna per la guerra di successione del Ducato di Mantova; alloggiati per tre mesi nel Chiavennasco ed in Valtellina, vi portarono la peste, che, nel biennio 1629-30, uccise almeno un terzo della popolazione (altri calcoli, probabilmente eccessivi, parlano di una riduzione complessiva della popolazione a poco meno di un quarto).”


Panorama dal Motto dell'Orso

Neppure il tempo per riaversi dall'epidemia, e la guerra di Valtellina tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali; nel biennio 1635-37 Chiavenna fu di nuovo occupata dai Francesi. Poi, nel 1637, la svolta, determinata da un inatteso rovesciamento delle allenze: i Grigioni si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica.
Nel "De Rebus Vallistellinae" (Delle cose di Valtellina) di don Giovanni Tuana (edito, a cura della Società Storica Valellinese e di don Tarcisio Salice, nel 1998 a Sondrio), leggiamo alcune note riferibili alla terza decade del Seicento: “[Chiavenna] ha da mezzogiorno una montagna piena di castagne, non molto alta, né molto erta, ma con diversi dossi, ornata di vigne, prati ed altre contrate. In questa sponda si cavano le pietre lavizare. Confina ancora con Prata, terra situata alle radici di questo monte, un miglio lontano."
Un corollario tragico di questi tragici tempi fu una recrudescenza della caccia alle cosiddette streghe, già in atto in Europa dal secolo XIII, che toccò nel Seicento il suo culmine. Vi furono processi per stregoneria anche a Prata, dove nel 1695 in Prata fu decapitata Domenica Guida fu Pietro.


San Cassiano

Un quadro sintetico della situazione di Prata metà del settecento ci viene offerto dallo storico Francesco Saverio Quadrio, che, nell’opera “Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi oggi detta Valtellina” (Edizione anastatica, Bologna, Forni, 1971), scrive: ”La quarta parte [del contado di Chiavenna] è costituita di cinque comunità, che sono Prata, Movato, Gordona, Mese e Samolico. Prata è situata al sinistro lato della Mera e le sue vicinanze sono Dona, celebre per l’Abbazia, …, Stova, Pradella, Uschione, Lodeno, Val Bovera, e in piano Malaguarda e Bellaspada."
Nel 1784 la già viceparrocchia di Prata, staccatasi da Chiavenna già nel 1605, divenne parrocchia.


Prata Camportaccio e la Val Schiesone

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Nel Settecento il malcontento contro il dominio delle Tre Leghe Grigie nelle due valli crebbe progressivamente, soprattutto per la loro pratica delle di mettere in vendita le cariche pubbliche. Tale vendita spettava a turno all'una o all'altra delle Leghe e chi desiderava una nomina doveva pagare una cospicua somma di denaro, di cui si sarebbe rifatto con gli interessi una volta insediato nella propria funzione, esercitandola spesso più per amore di lucro che di giustizia. Gli abusi di tanti funzionari retici, l'egemonia economica di alcune famiglie, come quelle dei Salis e dei Planta, che detenevano veri e propri monopoli, diventarono insopportabili ai sudditi.


Lottano

Non bisogna, peraltro, pensare che a Chiavenna i commissari grigioni avessero lasciato sempre un cattivo ricordo. Anzi, spesso operarono con tanta saggezza e senso di giustizia da meritarsi la riconoscenza dei Chiavennaschi, che eressero in loro onore sei portoni, ancora visibili al principio dell'Ottocento, a Bette, all'imbocco della strada per S. Fedele, sul ponte della Mera presso S. Rosalia, presso il ponte "di sopra", presso la chiesa di S. Maria (il "pórtón de sànta marìa" eretto in onore di Ercole Salis di Soglio, commissario fra il 1739 ed il 1741: ancora oggi lo si vede) e fuori Chiavenna, a Reguscio. Nondimeno, il barometro della popolarità dei governanti grigioni era, per così dire, in caduta libera ed annunciava tempesta. Il malcontento culminò, nell'aprile del 1787, con i Quindici articoli di gravami in cui i Valtellinesi (cui si unirono i Valchiavennaschi, ad eccezione del comune di S. Giacomo) lamentavano la situazione di sopruso e denunciavano la violazioni del Capitolato di Milano da parte dei Grigioni, alla Dieta delle Tre Leghe, ai governatori di Milano e, per quattro volte, fra il 1789 ed il 1796, alla corte di Vienna, senza, peraltro, esito alcuno.


Prata Camportaccio e la Val Schiesone

Fu la bufera napoleonica a risolvere la situazione, con il congedo dei funzionari Grigioni e la fine del loro dominio, nel 1797. Per alcuni mesi, dopo il 1797, comunque, rimase in piedi l'ipotesi di un'aggregazione di Valtellina e Valchiavenna come Quarta Lega alla federazione grigiona, cui non erano contrari né Napoleone né Diego Guicciardi, cancelliere di Valle del libero popolo valtellinese. Il soprendente voto nei comuni delle Tre Leghe Grigie, di cui giunse notizia il primo settembre 1797, chiuse, però, definitivamente questa prospettiva: 24 si espressero contro, 21 a favore, 14 si dichiararono incerti e 4 si astennero. Di conseguenza il 10 ottobre 1797 Napoleone dichiarò Valtellinesi e Valchiavennaschi liberi di unirsi alla Repubblica Cisalpina.
Seguì, il 22 ottobre, l'unione della Valtellina e dei Contadi di Bormio e Chiavenna alla Repubblica Cisalpina ed il 28 ottobre la confisca delle proprietà dei Grigioni in Valtellina. Nel marzo del 1798 il comune di Prata fu inserito nel distretto di Gordona. Nell’assetto definitivo della repubblica cisalpinadel 1803 Prata, con 1220 abitanti, era uno dei settanta comuni che costituivano il III distretto III di Sondrio del dipartimento del Lario.


Piazza del Municipio a Prata Camportaccio

Dopo l’istituzione del Regno d’Italia il comune denominativo di Prata, con 811 abitanti complessivi, figurava composto dalle frazioni di Uschione (160), Lottano (200), Stova (151), Malaguardia (90), San Cassiano (80), Prata (130). Due anni dopo Prata venne aggregato a Chiavenna, per cui il 21 settembre 1815 delegati di Prata trasmisero istanza per la separazione da Chiavenna, istanza accolta nel 1816: il comune di Prata, di nuovo autonomo, con Malaguardia e San Cassiano era compreso nell’elenco riordinato dall’imperial regia delegazione provinciale come comune di Prata con Stovano, Lottano, San Cassiano e Malaguardia. Aveva però perso Uschione, che rimase, non senza rimostranze del comune, a Chiavenna.
Il dominio asburgico portò importanti novità, che diedero un impulso importante all'economia di Chiavenna e della Valchiavenna, prima fra tutte la realizzazione, fra il 1818 ed il 1822, della strada dello Spluga, progettata da quel medesimo ingegnere Carlo Donegani cui si deve la strada dello Stelvio. Era la prima grande strada che attraverso le Alpi centrali mettesse in comunicazione Milano con la valle del Reno. Ad essa si aggiunse, poco dopo, la strada che collegava Chiavenna, attraverso la val Bregaglia ed il passo di Malojam all'Engadina.


Lottano

Prata venne sfiorata dai moti risorgimentali del 1848, perché alla notizia dell'insurrezione milanese, il celebre patriota chiavenasco Francesco Dolzino innalzò sulla fontana del "Cantòn" l'albero della libertà. Tornati nell’agosto del 1848 gli Austriaci, tentò la controffensiva in Val Bregaglia. Respinto, resistette per qualche tempo, a Verceia, con 200 uomini contro circa 1000 austriaci. Ma alla fine il generale austriaco Haynau, passato alla storia come la "iena", incendiò per rappresaglia Verceia e Campo e riprendese "l'infame città di Chiavenna".

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La proclamazione del Regno d'Italia, nel 1861, portò in dote al comune, nel 1863, una denominazione ampliata, l’attuale “Prata Camportaccio”, per evitare omonimie. Il primo prefetto di Sondrio, Scelsi, curò una statistica pubblicata nel 1866, che offre, fra le altre, le seguenti informazioni sul comune di Prata Camportaccio:

A Prata erano attive, nell’ordinamento primario, 4 scuole, 2 maschili e 2 femminili. Gli alunni erano 178, 92 maschi ed 86 femmine. Per il loro funzionamento il comune spendeva 633 lire annue.
Nel 1865 l’importante fabbrica di birra di Chiavenna, il cosiddetto “birrone”, si trasferì a Prata Camportaccio, dando un importante contributo all’economia del comune.
Gli abitanti di Prata erano 1091 nel 1861, 1096 nel 1971, 1245 nel 1881, 1275 nel 1901, 1248 nel 1911, 1414 nel 1921, 1443 nel 1931 e 1504 nel 1936.


Dona

Il monumento ai caduti presso la chiesa di Prata Camportaccio riporta i nomi dei seguenti soldati morti nella prima guerra mondiale: Del Grosso Mario, Guidi Emanuele, Magnocchi Giulio, Ciabarri Vittorio, Dolzadelli Lorenzo, Gianoli Egidio, Gianoli Eusebio, Gianoli Santino, Muletta Vittorio, Muletta Paolo, Muletta Emilio, Osteiner Attilio, Pasini Carlo, Pasini Duilio e Pasini Battista. Morirono per cause di guerra Guidi Alfonso, Baldovini Giovanni, Pasini Carlo e Guidi Lorenzo.
Ecco lo spaccato che di Prata Camprtaccio ci offre, nel 1928, Ercole Bassi, in “La Valtellina – Guida illustrata”: “Prata Camportaccio (m. 351 – ab. 1334 – P. T. - telef. - R. C. - da Chiavenna km. 3 – società agricola di Mutuo Soccorso – latteria sociale) merita una visita. La chiesa è del principio del 600. Possiede quadri del Seicento e del Settecento. Nonché vasi, croce processionale e altri arredi d’argento della stessa epoca, doni degli emigrati a Napoli. L’altar maggiore e alcune belle colonne di granito che si vedono sul piazzale (da cui si gode un largo panorama) appartenevano a un’antica chiesa rovinata dal torrente. Di questo comune è il maggiore di fanteria Mario Del Grosso, caduto nel 1917 sul monte Cucco, e decorato di medaglia d’oro per suo eroico valore.”


Chiesa di S. Eusebio a Prata Camportaccio

Il 1937 consegna agli annali del comune la rovinosa alluvione del Torrente Vallaccia che, fra il 14 ed il 16 agosto che colpisce duramente il nucleo di San Cassiano, il più meridionale del comune.
Nella seconda guerra mondiale morirono Ghezzi Alfonso e Siorel Aldo; risultarono dispersi Pasini Ugo, Zucchelli Bartolomeo, Antonelli Alceste, Del Grosso Remo, Guidi Celso F., Pasini Deo, Pasini Mario, Pasini Albino, Signo Luciano e Zanardelli Giovanni. Morì, infine, per cause di guerra Dolzadelli Franco.
Nel secondo dopoguerra la crescita demografica di Prata Camportaccio continuò con progresso costante, fino agli anni Ottanta: i 1583 abitanti del 1951 salirono a 1706 nel 1961, 1926 nel 1971, 2239 nel 1981, 2570 nel 1991, 2727 nel 2001 e 2921 nel 2007.
Nel 1981 la popolazione complessiva del comune, 2239 abitanti, risultava così distribuita: 904 nel centro di Prata, posto a 352 m. s.l.m., 48 a Tanno, posto a 294 m. s.l.m., 6 in case sparse, 1102 a San Cassiano, posto a 226 m. s.l.m. e 179 a Porettina, posta a 219 m. s.l.m.
Degna di nota, nel 1953, è la rovinosa alluvione del torrente Schiesone, che sommerse numerose case e vigne.


Testata della Val Schiesone

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Bibliografia

Crollalanza, G. B., “Storia del contado di Chiavenna”, Serafino Muggiani e comp., Milano, 1867

Anonimo, "Notizie chiavennasche del primo decennio del 1800" , con presentazione ed annotazioni di don Peppino Cerfoglia, in "Raccolta di studi storici sulla Valchiavenna", Sondrio, Tipografia Mevio Washington, 1960

Buzzetti, Pietro, "Le chiese nel territorio dei comuni di Chiavenna - Mese - Prata", Chiavenna, Centro di studi storici valchiavennaschi, 1964

Salice, Tarcisio , "Prata Camportaccio dalle origini ad oggi", in Clavenna, 1977

Falcinella, Giuseppe, "Prata Camportaccio: appunti di storia e vita sociale", a cura del Comune di Prata Camportaccio, Rotalit, Chiavenna, 1999


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