La chiesa di San Giacomo-Filippo

San Giacomo-Filippo (nome assunto nel 1866, per evitare omonimie; prima solo "San Giacomo", localmente "San Giacùm") è il primo dei tre comuni della Valle Spluga che si incontra salendo, oltrepassata Chiavenna, lungo la strada statale 36 dello Spluga. La sua storia, fino al 1816, si innesta nelle vicende di quella che oggi è conosciuta come Valle Spluga, ed in passato era chiamata Valle del Liro, dal fiume che la percorre interamente, per 34 km, dal passo dello Spluga alla confluenza nella Mera. Veniva però anche chiamata, più propriamente, Valle di San Giacomo, dal suo centro amministrativo, San Giacomo-Filippo, appunto. I suoi abitanti, però, orgogliosi dei suoi tratti peculiari, amano chiamare la loro valle "Val di Giüst", a significare l'ampia autonomia di cui godettero nei secoli passati o anche l'assenza di protestanti nel periodo di maggiore dissidio religioso fra Cinquecento e Seicento.


San Giacomo-Filippo

La storia della Valle di San Giacomo è legata all'antichissima ed importantissima via che, salendo da Chiavenna, valicava il passo dello Spluga, unendo il bacino padano ai paesi di lingua tedesca. Due documenti di età imperiale romana, infatti, riportano la via dello Spluga: si tratta dell'Itinerarium Antonini, redato al tempo di Diocleziano, e della Tavola Peutingeriana, copia medievale di una carta romana di età imperiale. Vi si menziona Tarvedese, probabilmente Campodolcino, dove la strada vera e propria terminava, lasciando il posto alla mulattiera percorsa appunto da muli, che superava l'aspro versante della Valle del Cardinello e raggiungeva Cunu Areu, cioè Montespluga, pero poi salire al passo. Fino all'età medievale fu questa l'unica via per valicare il passo. Ad essa dal 1223 si affiancò quella che da Campodolcino saliva a Madesimo ed al passo di Emet. La prima rimase però la più utilizzata nella stagione invernale. Raggiunto il passo dello Spluga, tenuto aperto anche d'inverno, il percorso scendeva fino alla valle del Reno Posteriore ed a Coira, seguendo la Viamala. Questo fu l'itinerario percorso per secoli dalle merci più diverse, fra cui cereali, riso, sale, latticini, vino, pelli, cuoio, tessuti, argenteria, armi, armature, spezie, con 300-400 passaggi giornalieri nell'età moderna. Teniamo presente anche l'evoluzione del clima: fino al Medio-Evo le temperature dovettero essere particolarmente elevate, tanto che nella piana di Montespluga, oggi brulla, vennero rinvenuti, scavando, resti di larici e cermoli. Poi, a partire dal tardo secolo XVI, le temperature medie si abbassarono decisamente, ed iniziò la cosiddetta Piccola Età Glaciale, durata fino alla metà del secolo XIX.


Valle di San Giacomo a Cimaganda

Accando alla vita dei commerci e dei transiti si svolgeva paziente e tenace quella dura ed improba dei valligiani che vivevano delle risorse della pastorizia e delle scarse colture. Tutto ciò segnò profondamente il carattere di queste genti, così descritto, nel 1827, nel diario Onofrio Piazzi pubblicato nel numero del 1968 di "Clavenna" (Bollettino del Centro di Studi Storici Valchiavennaschi): "Il carattere dei montanari di Valle St. Giacomo è deciso, fermo, pronuciato, ricopiando esso in certo modo la severità dei boschi e gioghi locali. Anche le donne sono robiste ed ardite a segno di dividere coi loro mariti il rigore di grandi stenti, ora perigliando con essi di rupe in rupe ad atterrar piante e raccoglierne la legna, ora spogliando di selvatico fieno ermi dirupamenti, ed ora spingendo i passi alla custodia delle loro vetture sino alle vette dello Spluga, talvolta i mezzo al furente grandinar di nevi e di piogge, e tra il soffio crudele degli aquiloni. Di ogni disagio è consigliera la necessità! Siccome questi abitanti hanno brevissima circoscritta agricoltura di campi, nè in alcun modo sufficiente ai mezzi di vivere, così non perdonano essi a sorte di fatiche onde sussistere."


Olmo

Mentre oggi il suo territorio è occupato dai comuni di San Giacomo-Filippo, Campodolcino e Madesimo, in passato dal punto di vista amministrativo essa fu, fino all'età contemporanea, un'unica comunità regolata da Statuti propri, la cui prima stesura nota è del 1538, ma che risalgono ad epoca antecedente e sanciscono il distacco dalla giurisdizione civile (ma non penale) di Chiavenna. L'autonomia della Valle di San Giacomo risale infatti alla fine del secolo XII. Nel 1205 Valle e Mese comparivano come comuni e università, ovvero vicinie, corpi distinti con diritto di essere rappresentati da consoli nel comune di Chiavenna, e nel 1252 Chiavenna e la Valle avevano già estimi distinti. Di origine medievale, e documentata dal 1119, è anche la chiesa di San Giacomo, la prima e per lungo tempo (fino al Trecento) l'unica della valle. Nel 1335, anno in cui Valtellina e Valchiavenna vennero incluse nei territorio del Signore di Milano Azzone Visconti, gli Statuti di Como menzionano la comunità come “comune locorum de Valle”. Il 10 settembre 1346 si radunò un convocato del comune degli uomini di Valle in San Giacomo. Da tale documento il Buzzetti deduce che il territorio era allora abitato da Ugia a Porpiano, e Campodolcino si trovava ai limiti della zona abitata permanentemente, mentre il centro del comune era San Giacomo.

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Il Santuario di San Guglielmo

La vita di questo borgo fu segnata spiritualmente, sul finire del Trecento, dall'arrivo del futuro San Guglielmo de Orenga, originario di una famiglia di Menaggio. Raccontano che in origine si fosse stabilito sulla riva sinistra del torrente Liro, quella stessa di San Giacomo-Filippo, ma un po' più a monte (dove ancora si vede una cappella a lui dedicata, a lato della ss 36 dello Spluga), in una località chiamata “crot del Gianinèt”. Secondo una leggenda le sue lunghe ore di preghiera venivano non di rado molestate da alcuni pastorelli che, dovendo riempire lunghe e noiose ore di guardia alle greggi, non trovavano di meglio da fare che tirargli dei sassi. Il santo decise allora di lasciare la valle, ma fu convinto a rimanere da un abitante di San Giacomo, per cui si stabilì in un eremo più appartato, sulla sponda opposta del Liro, la grotta, appunto, che fu sua dimora fino alla morte e che ancora oggi si vede all'interno del santuario secentesco. Si narra anche che dalla questa grotta sgorgò una fonte d'acqua, ancora oggi visibile presso il sagrato del santuario. Non acqua comune, ma taumaturgica, capace cioè di operare miracolose guarigioni. Purtroppo la sua vena si è esaurita. Dopo la sua morte nel suo eremo sorse, prima del 1327, la chiesa, poi rifatta nel Seicento (tra il 1613 ed il 1616, con affreschi di Giovan Battista Macolino senior e junior). In quel medesimo secolo, e precisamente nel 1387, risulta presente a San Giacomo un prete beneficiale.


Il Santuario di San Guglielmo

Alle soglie dell'età moderna (1447) lo sviluppo demografico di Fraciscio, Isola, Pianazzo e Madesimo fece perdere a San Giacomo il suo primato, ed il centro del comun della valle si spostò a Campodolcino. Quando le Tre Leghe Grigie divennero signore di Valtellina e Valchiavenna, nel 1512, confermarono l'autonomia privilegiata del comune e stabilirono di nominare un commissario a Chiavenna ed un podestà a Piuro, mentre la Val San Giacomo, in virtù di un rapporto privilegiato, eleggeva da sè il proprio ministrale, che giudicava autonomamente, coadiuvato da un luogotenente, nelle cause civili. In materia criminale, invece, la giurisdizione del commissario di Chiavenna si estendeva su tutto il contado.
Gli Statuti del 1538 dividevano la valle in otto quartieri, San Giacomo, Monti di San Bernardo, Monti di Olmo e Somma Rovina, Campodolcino, Fraciscio, Starleggia e Pianaccio, cui si aggiungevano quattro squadre, due per Isola, Tegge e Rasdeglia. La comunità di valle veniva retta da un console elettivo, che a sua volta sceglieva un consigliere per ciascun quartiere e squadra, con poteri specifici sui lavori necessari a ponti e strade. Ogni quartiere della Val San Giacomo aveva un proprio consiglio di quartiere e propri consoli; al di sopra c’era un consiglio generale di valle. Massimo organo del comune era il consiglio di valle: l’ultima sua riunione risale all’11 gennaio 1798. Il consiglio di quartiere, convocato dal consigliere di ogni quartiere della Val San Giacomo con preavviso settimanale, radunava i vicini, dapprima i soli capifamiglia, poi tutti gli uomini dai quindici anni in su, e si riuniva di domenica sulle piazze o all’interno delle chiese del quartiere. Il consiglio generale del comune coincideva con l’assemblea generale della Val San Giacomo, e rappresentava il consiglio dei quartieri e del popolo di valle: non era dunque assemblea unica, ma espressione di più assemblee decentrate. Il consiglio di valle era formato dal console o ministrale ed era ema­nazione diretta del consiglio generale. Si riuniva anche più volte al mese, nominava il ministrale, il luogotenente, i consoli di quartiere e gli ufficiali di comunità. Il luogo di riunione dei consigli, dapprima nel villaggio di San Giacomo, dal 1477 passò a Campodolcino.


Il Santuario di San Guglielmo

Pochi anni dopo, un miracolo segnò profondamente la vita di San Giacomo-Filippo e dell'intera valle. In una selva ai piedi di una grande e brulla parete, quasi verticale, eloquentemente denominata "mota séca", presso Gallivaggio, il 10 ottobre del 1492 la Madonna apparve a due ragazze che vi si erano recate per raccogliere castagne, fondamentale alimento che integrava la misera dieta contadina dei secoli passati. Un'apparizione che fu anche metamorfosi, perché la Beata Vergine si mostrò dapprima come bambina circonfusa di luce, poi come regale Signora. Una copia secentesce del racconto originale dell'evento, redatto su pergamena, le attribuisce queste parole: "Io vado in ogni luogo per la conversione dei peccatori... Dite che se i peccatori non si convertiranno e non osserveranno con maggiore puntalità i giorni festivi, certamente la punizione di mio Figlio, loro Signore, non tarderà ad arrivare." Il riferimento all'osservanza del precetto festivo (dai vespri del sabato all'intera domenica) si riferisce forse alla tendenza a violarlo (e per la sensibilità religiosa di quel tempo era violazione grave) a causa dell'incremento dei traffici lungo la strada dello Spluga, che proprio nella seconda metà del secolo XV si affermò come asse primario nei commerci fra bacino padano e paesi di lingua tedesca, grazie al miglioramento del tratto della Val Mala. I trasportatori dovevano mantenere ritmi serrati di lavoro per soddisfare alla richiesta di passaggio delle merci che valicavano il passo dello Spluga. Non sappiamo se il monito mariano abbia sortito i suoi effetti, ma è certo che le cronache narrano di una serie di miracoli che da questo ebbero inizio, dalla guarigione dalla paralisi della madre di una delle due ragazze alla risurrezione di un bimbo appena morto posto sul masso dove aveva posato i piedi la Madonna.


Il Santuario di Gallivaggio

La Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio nel 1884 (II edizione), a cura di Fabio Besta, così presenta la sezione della Valle di San Giacomo fra San Giacomo-Filippo e Campodolcino, la più angusta e selvaggia: "La valle del Liro qui è tutta cosparsa da un ammasso caotico di rupi staccatesi dall'alto delle montagne vicine. Sono massi compositi di gneis bianco, a cui l'azione dell'atmosfera fa assumere una tinta rossastra. All'aspetto selvaggio di questo deserto bacino fanno strano contrasto e un verde castagneto che appare in fondo alla Valle e la bianca torre della Madonna di Gallivaggio (800 m.)."
Attorno al masso dell'apparizione venne costruita una prima chiesetta con annessa una casa. La chiesa venne benedetta il 31 maggio del 1493 dall'arciprete di Chiavenna Giovan Battista Pestalozzi. L'edificio venne però ampliato nel 1510 e nel 1598, quando assunse la forma attuale a tre navate, e fu consacrato nel 1615 da Mons. Filippo Archinti, vescovo di Como. L'imponente campanile (52 metri) venne edificato dal 1729 al 1731, staccato dal corpo della chiesa. Si volle che fosse il più alto dell'intera Valchiavenna, per sottolinearne il significato di centro della spiritualità della valle. Il santuario venne retto dal 1515 al 1990 dal clero diocesano.


Il Santuario di Gallivaggio

Numerose e pregevoli le opere d'arte che lo impreziosiscono, dal gruppo ligneo sopra l'altare maggiore, raffigurante la scena dell'apparizione, alle tre cappelle affrescate da Domenico Caresana di Cureglia (1605-1606), dal dipinto del Crocifisso di Cesare Ligari (1739) a quello dell'Incoronazione di Maria di Paolo Camillo Landriani detto Duchino (1606), senza dimenticare la cassa lignea e la balconata dell'organo, realizzate grazie ai contributi degli emigranti di Palermo.


Il Santuario di Gallivaggio

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Nella "Storia del Contado di Chiavenna" di G. B. Crollalanza (Milano, 1867), leggiamo: "Presso San Giacomo principia a strepitare il Liro, rivolgendosi con le sue acque in profondo burrone attiguo alla strada da cui si ammira il grandioso spettacolo che offrono i circostanti monti, sulle cui elevate pendici la religiosa pietà de' nostri padri eresse cappelle ed oratori. ... Poco lungi da San Giacomo si veggono sulla sinistra le rovine di un ponte a tre archi di vivo, che traversando il Liro comunicava colla vicina chiesa di San Guglielmo, in pericolo di essere anch'essa travolta dalle onde precipitose del fiume che ne lambe quasi le fondamenta. A misura che la strada, ombreggiata da malinconici castagni, si avvicina al Santuario di Gallivaggio, un sorprendente e varissimo aspetto assume la valle, i cui monti di sinistra sollevano superbi le loro altissime vette verdeggianti di alberi rigogliosi, mentre le loro falde elevantesi in piccoli colli son ricoperte di un verde tappelo, sul quale veggonsi errare pascolando gli armenti, e dove in mezzo a gruppi di castagni sorge qualche umile casolare. E volgendo quindi lo sguardo sulla destra del cammino, si vede spuntar subitaneo da folta selva di castagni l'elegante Campanile bianco del Santuario di Gallivaggio, dove la pia tradizione ricorda essere apparsa Maria Vergine nel 1492. Sorge il magnifico tempio a ridosso di un enorme masso altissimo perpendicolare, che sembra voglia ad ora ad ora schiacciarlo colle sue ruine. Qui la strada si rivolge con alcuni andirivieni sino al piccolo paese di Gallivaggio, presso cui s'incontrava il magnifico ponte di granito ad un arco solo di ben 26 metri di luce, opera stupenda dell'esimio ingegnere dell'Acqua, scalzato nel 1860 dalle fondamenta, e fracassato dal rovinoso torrente che scende dalla valle d'Aver, o meglio dal Pizzo Stella, il più alto de' monti chiavennaschi, il quale è coperto di eterne nevi e d'inesauribili ghiacciai."


Il pizzo Stella sulla testata della Val d'Avero

Un breve scorcio della San Giacomo di fine Cinquecento ci è offerto da Guler von Weineck, che, nell'opera Rhaetia, pubblicata a Zurigo nel 1616, annota: "Non lungi da questa chiesa, tornando di bel nuovo sulla sponda sinistra del fiume, si perviene al villaggio di S. Giacomo, così chiamato dalla chiesa in onore di questo santo, che dà pure il nome a tutta la vallata. Essa finisce al di sotto di questo villaggio, pur comprendendo altre frazioni e alcuni miseri casali, sparsi qua e là per il monte, sino a Mese. Il territorio, selvatico e sterile, non produce nè viti, nè alberi da frutta; quindi gli abitanti traggono il loro nutrimento in gran parte dal bestiame; ma i poveri sono molti e d'inverno campano recandosi altrove a chiedere l'elemosina; i loro figliuoli poi, rimasti in paese, non cessano di chiedere la carità in nome di Dio, sino a che viene lor dato qualcosa; essi allora augurano al viandante buona fortuna cosi nell'andata come nel ritorno."


Dalò

Di pochi decenni successiva è la descrizione offerta da don Giovanni Tuana, nel "De rebus Vallistellinae": "L'altra è della già detta chiesa della Vergine Santissima di Valle, divisa in due contrate, cioè Vou e Liron; quali contrate fanno 50 fameglie. Il territorio è tutto sassoso, con precipitosi rupi di qua e di là. Ha pascoli nelli monti et boschi; vicino alle contrate hanno alquante castagne, ma di puoco utile, perché rare volte arrivano a maturanza et, se maturano, si perdono tra sassi. L'ultima, et più vicina a Chiavenna, è Sant Giacomo, così chiamata dalla chiesa vice parochiale. Il vice curato di questo luoco, per esser il più antico di questa valle, ha particolar raggione in tutte le chiese della valle al mancamento dell'arciprete di Chiavena. Le fameglie sarranno circa 60. Il territorio è alquanto più fertile dell'altri di questa valle, perché vi sono alcune viti, frutti, alcuni campi et prati; li monti confinano con il monte di Lovero sopra Chiavena. Questo luoco è lontano da Chiavena duoi miglia; et di là dal Lirino vi sono due contrate, a mezzo la montagna: cioè li monti di Somma Ruina et Monti di mezzo. In somma tutta questa valle è poverissima; molti vivono d'elemosina, molti portando mercantia a vendere altrove, altri con vitture."


San Giacomo-Filippo

Fortunat Sprecher von Bernegg, infine, commissario a Chiavenna nel 1617 e nel 1625, nel libro X dell'opera "Pallas Rhaetica" (traduzione di Cecilia Giacomelli), ci offre queste notizie della Valle di San Giacomo: "La terza parte della giurisdizione di Chiavenna è la Valle di S. Giacomo o di Campodolcino. La vallata è suddivisa in dodici quartieri: 1) San Giacomo e San Guglielmo, dove deve essere sepolto il corpo di questo santo. 2) Vhò, dove è stata eretta una chiesa in onore della Vergine Maria e Lirone. 3) Campodolcino, chiamato anche S. Giovanni per via della sua chiesa. 4) Fraciscio, dove si trova un castello. 5) Le montagne di S. Bernardo. 6) I Monti di Mezzo. 7) Madesimo, tempo fa chiamato Tarvedese o Torvaedes, come afferma Antonino. 8) Pianazzo. 9) Portarezza. 10) Stambilone. 11) Starleggia. 12) Isolato, Torni, Teggiate e Rasdeglia, dove si trova l'inizio del Cardinell. Così viene infatti chiamata la strada scoscesa e difficile che conduce sulla montagna dello Spluga, che è la parte più importante dei monti Adula e si chiama anche Adula a causa della sua altezza. Da essa nasce il Liro, il corso d'acqua della Valle di S. Giacomo, che nei pressi di Mese si riunisce alle acque della Mera... Questa vallata ha una propria amministrazione in ambito civile, per le quali dodici consiglieri eleggono un Console, un Luogotenente ed un Cancelliere. Questi dodici vengono a loro volta scelti dal Console e dal Luogotenente. I ricorsi vanno indirizzati agli stessi Dodici Consiglieri della Valle. Per quanto riguarda le questioni tributarie i processi devono ssere tenuti davanti al funzionario del Tribunale di Chiavenna. L'8 febbraio 1513, in occasione della Dieta federale di Ilanz, il vescovo Paul e le Tre Leghe confermarono alla Valle gli stessi privilegi di cui essa aveva goduto sotto il Duca di Milano."


Apri qui una panoramica del Bacino del Truzzo

Si avvicinava il periodo più cupo della storia di Valtellina e Valchiavenna, legato alle tensioni religiose suscitate dal tentativo delle Tre Leghe Grigie di favorire la diffusione del Protestantesimo nelle due valli. A Sondrio, al colmo delle tensioni fra cattolici e governanti grigioni, che favorivano i riformati in valle, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture; la medesima sera della sua morte, il 5 settembre 1618, dopo venti giorni di pioggia torrenziale, al levarsi della luna, venne giù buona parte del monte Conto, seppellendo le 125 case della ricca e nobile Piuro e le 78 case della contrada Scilano, un evento che suscitò enorme scalpore e commozione in tutta Europa.


Dalò e, sul fondo, la Valle del Drogo

Due anni dopo, il 19 luglio del 1620, si scatenarono la rabbia della nobiltà cattolica, guidata da Gian Giacomo Robustelli, la sollevazione anti-grigione e la caccia al protestante, nota con l’infelice denominazione di “Sacro macello valtellinese”, che fece quasi quattrocento vittime fra i riformati. Il “macello” non toccò la Valchiavenna, dove le tensioni fra le due confessioni erano decisamente minori ed il rapporto con il governo grigione meno conflittuale (il che non significa del tutto tranquillo). Fu l’inizio di un periodo quasi ventennale di campagne militari e battaglie, che videro nei due schieramenti contrapporsi Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra. Chiavenna non partecipò all'insurrezione, ma non poté sottrarsi alle sue conseguenze. Gli Spagnoli, infatti, vennero in soccorso ai ribelli cattolici ed occuparono Chiavenna nel 1621. Dopo una breve parentesi che vide la comparsa delle truppe pontificie, che dovevano interporsi fra le due parti in conflitto, ecco di nuovo gli Spagnoli, che dovettero, però, nel marzo del 1625 cedere la città per l'offensiva convergente dei Grigioni e del marchese di Coeuvres, che risalì la Valchiavenna dopo aver ripreso la Valtellina.


Dalò

La tregua di Monzòn liberò, nel 1626, Valtellina e Valchiavenna dagli eserciti delle due parti, ma di lì a poco, nel 1629, un nuovo flagello sarebbe sceso d'oltralpe, portando la più feroce epidemia di peste dell’età moderna, resa celebre dalla descrizione manzoniana. Non era certo la prima: altre, terribili e memorabili avevano infierito nei secoli precedenti. Scrive, per esempio, il von Weineck: “L’aria, per tutta la Val Chiavenna, è buona e pura; soltanto è da osservare che, durante la calda stagione, il vento di sud apporta nel paese qualche impurità dalle paludi del lago… La peste qui infierisce di raro: ma quando principia, infuria tremendamente. Infatti quando essa, nel novembre del 1564, penetrò nella valle, distrusse in quattordici mesi i tre decimi della popolazione”. Ma quella del 1629 fu più tragica. I lanzichenecchi, al soldo dell'imperatore Federico II, scesero dalla Valchiavenna per la guerra di successione del Ducato di Mantova; alloggiati per tre mesi nel Chiavennasco ed in Valtellina, vi portarono la peste, che, nel biennio 1629-30, uccise almeno un terzo della popolazione (altri calcoli, probabilmente eccessivi, parlano di una riduzione complessiva della popolazione a poco meno di un quarto).


Chiesa della SS. Trinità ad Olmo

Neppure il tempo per riaversi dall'epidemia, e la guerra di Valtellina tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali; nel biennio 1635-37 Chiavenna fu di nuovo occupata dai Francesi. Poi, nel 1637, la svolta, determinata da un inatteso rovesciamento delle allenze: i Grigioni si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica. I Grigioni restaurarono l'antica struttura amministrativa, ed in un documento del 1639 ribadirono lo status di particolare autonomia concesso alla Valle di San Giacomo: "Di più separiamo tutta la detta valle Santo Giacomo nelle cose politiche da Chiavenna, in modo che essa valle Santo Giacomo nelle cose politiche sia un corpo separato, e non incorporato nel contado, anzi che abbia di fare e avere li suoi particolari e propri estimi, consoli di giustizia, ed altre ragioni politiche". La condizione di relativo privilegio della valle, già affermata in età viscontea, deve la sua ragione alla posizione strategica per i commerci da e per i paesi della Germania meridionale.
Un documento d'archivio del 1627 ci offre il seguente quadro delle famiglie (fuochi) del comune di Val San Giacomo:
Archivio della comunità di Val San Giacomo, Protocollo anno 627, n° 104
1. Dal quarterio de Madesimo fuochi n° 57
2. Dal quarterio de Planatio (Pianazzo) fuochi n° 35
3. Dal quarterio d’Isola fuochi n° 115
4. Dal quarterio de Starleggia fuochi n° 51
5. Dal quarterio de Fraciscio fuochi n° 70
6. Da Porcaregia fuochi n° 42
7. Dal quarterio de Vho fuochi n° 60
8. Dal quarterio de Lirone fuochi n° 21...
9. Dal quarterio Sant Giacomo fuochi n° 76
10. Dal quarterio de monti di Olmo fuochi n° 100
11. Dal quarterio de Monti di Sant Bernardo fuochi n° 100
12. Per il quarterio di Campodolcino fuochi n° 98
Totali fuochi n° 825


Scannabecco

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A metà del secolo XVII con il sindacato generale del 27 febbraio 1650 la valle di San Giacomo venne divisa in tre terzieri (nuclei dei futuri comuni), il "terzero di fuori" o di San Giacomo, con Monti di San Bernardo e Sommarovina e Lirone, il "terzero di mezzo" o Campodolcino, con Fraciscio, Starleggia, Vho e Portarezza, ed il "terzero di dentro", o di Isola, con Madesimo e Pianazzo, oltre alle squadre di Teggiate e Rasdeglia. Tale suddivisione è rappresentata nella bandiera della valle, divisa in tre fasce orizzontali, ognuna delle quali è a sua volta divisa in quattro strisce di colore nero, verde, rosso e giallo che rappresentano i quartieri di ogni terziere. Al centro compare uno scudetto rettangolare con l'immagine di San Giacomo, con la scritta “Vallis San Jacobi”.
Un documento del 1701 riporta poi il numero di uomini atti alle armi nel comune:
Anno 1701, li 21 Marzo... notta delle persone habile per la militia:
Il quartiere di Campodolcino persone n° 165
Il quartiere di S. Giacom homini n° 116
Isola homini n° 212
Madesimo homini n° 55
S. Bernardo homini n° 105
Starleggia homini n° 74
Vho homini n° 68
Portarezia homini n° 68
Fraciscio homini n° 56
Olmo homini n° 104
Pianazzo homini n° 56
Liron homini n° 20

A metà del Settecento (1748) san Giacomo divenne parrocchia autonoma.
Nel Settecento il malcontento contro il dominio delle Tre Leghe Grigie in Valtellina e Valchiavenna (ma non nella Valle di San Giacomo) crebbe progressivamente, soprattutto per la loro pratica delle di mettere in vendita le cariche pubbliche. Tale vendita spettava a turno all'una o all'altra delle Leghe e chi desiderava una nomina doveva pagare una cospicua somma di denaro, di cui si sarebbe rifatto con gli interessi una volta insediato nella propria funzione, esercitandola spesso più per amore di lucro che di giustizia. Gli abusi di tanti funzionari retici, l'egemonia economica di alcune famiglie, come quelle dei Salis e dei Planta, che detenevano veri e propri monopoli, diventarono insopportabili ai sudditi.


Dalò

Il malcontento culminò, nell'aprile del 1787, con i Quindici articoli di gravami in cui i Valtellinesi, cui si unirono i Valchiavennaschi, lamentavano la situazione di sopruso e denunciavano la violazioni del Capitolato di Milano da parte dei Grigioni, alla Dieta delle Tre Leghe, ai governatori di Milano e, per quattro volte, fra il 1789 ed il 1796, alla corte di Vienna, senza, peraltro, esito alcuno. I delegati del Comune della Valle di San Giacomo, però, non si unirono a questa protesta, a riprova dei buoni rapporti che la valle intratteneva con le Tre Leghe Grigie.
Fu la bufera napoleonica ad imporre una svolta, con il congedo dei funzionari Grigioni e la fine del loro dominio, nel 1797. All'epopea napoleonica seguì la Restaurazione sanzionata dal Congresso di Vienna, e Valtellina e Valchiavenna vennero inserite nel Regno Lombardo-Veneto sotto il dominio dell'Impero Asburgico. Nel 1816 il comune unitario della Valle di San Giacomo venne diviso nei tre comuni attuali di San Giacomo-Filippo, Campodolcino e Isolato (poi Madesimo), per indebolire il partito favorevole all'annessione ai Grigioni, segnalato dalla Prefettura di Sondrio. San Giacomo, con Gallivaggio con Lirone, Vhò, Cima­ganda e Sommaruina con Albareda, divenne comune inserito nel distretto VII di Chiavenna. Nel 1853 San Giacomo, con le frazioni Gallivaggio con Lirone, Vhò, Cimaganda e Sommarovina con Albareda, Uggia e Dalò, contava una popolazione di 1.538 abitanti ed era inserito nel distretto IV di Chiavenna.


Scannabecco

Durante la dominazione asburgica della prima metà dell'Ottocento importanti opere viarie diedero un nuovo impulso alla via dello Spluga. L'ingegner Carlo Donegani progettò infatti la nuova strada realizzata tra il 1818 ed il 1823, che, sul versante italiano, abbandonava le pericolose gole del Cardinello sfruttando un percorso più sicuro con l'ardito tracciato che saliva a Pianazzo. Dopo l'alluvione del 1834 che ne danneggiò gravemente diversi tratti da Campodolcino ad Isola, venne costruito l'arditissimo tratto che coincide con il tracciato attuale, e che da Madesimo sale direttamente a Pianazzo, tagliando fuori Isola e risalendo il vertiginoso versante dello Scenc'. La nuova strada, aperta nel 1838, diede un grande impulso ai transiti commerciali e turistici, regalando per qualche decennio al passo dello Spluga il primato indicusso fra i valichi delle Alpi Centrali, tanto da giustificare i non indifferenti sforzi per tenerlo aperto lungo l'intero arco dell'anno.
Nella seconda metà dell'Ottocento, però, lo Spluga perse la sua centralità strategica, per l'apertura delle gallerie del Brennero (1867), del Moncenisio (1872) e del San Gottardo (1882). Per ovviare a questo declino venne formulato il progetto del traforo dello Spluga, che però non si concretizzò mai. I transiti commerciali terminarono, lasciando però il posto ai più diradati ma anche suggestivi transiti di turisti e viaggiatori.
Divrsi abitanti di San Giacomo-Filippo parteciparono alle guerre risorgimentali: Barilani Giovanni Battista (1848), Bellela Ferdinando (1848), Braga Giuseppe (1848), Braga Biagio (1848), Cerletti Maria Guglielmo (1848), Cerletti Lorenzo (1848), Cerletti Stefano (1848), Daverio Vincenzo (1848), Destefani Michele (1848), Destefani Giacomo (1848), Fustella Bernardo (1848), Fibbioli Paolo (1848), Fibbioli Davide (1848), Geronimi Giacomo (1866), Gadola Silvestro (1866), Gianera Cristoforo (1848), Gironimi Giacomo (1870), Gironimi Antonio (1870), Iemi Pasquale (1870), Longatti Antonio (1870), Pajarola Giovanni (1870), Pedretti Stefano (1870), Rizzi Guglielmo (1866), Rizzi Giacomo (1866), Sterlocchi Guglielmo (1060-61), Tognoni Vincenzo (1860-61), Valsecchi Rocco (1848).
La statistica curata dal Prefetto Scelsi, nel 1866, registrava i seguenti dati relativi al comune di San Giacomo-Filippo. Nel nucleo di San Giacomo vivevano 232 persone, 104 uomini e 128 donne, divisi in 50 famiglie; le case erano 54, di cui 6 vuote. A Gallivaggio vivevano 309 persone, 149 uomini e 160 donne, divise in 59 famiglie; le case erano 64, di cui 6 vuote. A San Bernardo e contrada Pascorta vivevano 220 persone, 98 uomini e 122 donne, divise in 42 famiglie; le case erano 47, di cui 7 vuote. Ad Olmo e contrada Crotto vivevano 366 persone, 201 uomini e 165 donne, divise in 91 famiglie; le case erano 86, di cui una vuota. A Summaruina e contrada Foppa vivevano 172 persone, 81 uomini e 91 donne, divise in 44 famiglie; le case erano 44, di cui una vuota. A S. Antonio di Albareda vivevano 185 persone, 90 uomini e 95 donne, divisi in in 42 famiglie; le case erano 42.


Avero

La Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio nel 1884 (II edizione), a cura di Fabio Besta, così presenta questa sezione della Valle di San Giacomo, la più angusta e selvaggia: "La valle del Liro qui è tutta cosparsa da un ammasso caotico di rupi staccatesi dall'alto delle montagne vicine. Sono massi compositi di gneis bianco, a cui l'azione dell'atmosfera fa assumere una tinta rossastra. All'aspetto selvaggio di questo deserto bacino fanno strano contrasto e un verde castagneto che appare in fondo alla Valle e la bianca torre della Madonna di Gallivaggio (800 m.).... Oltrepassato il borgo di San Giacomo (540 m. 1632 abitanti) che dà il nome alla valle, e la folta foresta di castagni che gli è vicina, appaiono i vigneti di Chiavenna..."
G. B. Crollalanza, nella sua "Storia del Contado di Chiavenna" (Milano, 1867), traccia questo quadro della valle nella seconda metà dell'Ottocento: "La Valle San Giacomo, sebbene vada distinta per l'abbondanza de' fieni e de' pascoli ch'essa possiede, è però assai scarsa, e si potrebbe anche dir quasi priva di ogni altro prodotto; e i suoi cinquemila abitanti non potrebbero trovarvi la loro annuale sussistenza, se non traessero sostentamento dal trasporto delle mercanzie, e più col recarsi nella stagione iemale nella Lombardia e in Piemonte a distillare l'acquavite, mentre i più arditi emigrano per l'America, donde dopo otto o dieci anni ritornano ai loro poveri ma sempre amati tuguri col noniscarso frutto de' loro travagli, de' loro risparmi. Questa emigrazione viene inoltre compensata dagli abitanti di Colico, Piantedo, Sant'Agata, Sorico ed altri paesi che nella stagione calda vengono a ricovrarsi nella valle a fine di fuggire l'aria malsana della pianura, e a respirarci invece quella balsamica della montagna, conducendo il più di essi innumerevoli armenti di ogni specie, che fra que' monti trovano in estesi pascoli abbondante alimento.... Il principal ramo d'industria degli abitanti del contado, e specialmente di quelli della val San Giacomo, consiste nel bestiame bovino e nelle capre. ... Scarso è il numero dei cavalli...; più scarso ancora è quello degli asini e dei muli.... Scarso vi è pure il numero dei majali e dei gallinacci, e ciò dipende dalla penuria delle granaglie proveniente dalla troppo limitata estensione dei poderi. ... Nelle foreste più aspre e selvaggie spesso si incontrano lupi e orsi."


Olmo

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La popolazione del comune all'unità d'Italia era di 1649 abitanti, saliti a 1746 nel 1871. Nel 1881 si contavano 1632 abitanti, 1721 nel 1901 e 1550 nel 1911. Il contributo del comune alla Prima Guerra Mondiale è riportato sul monumento ai caduti. Vi si leggono i nomi dei soldati Agosti Battista, Buzzetti Martino, Braca Lorenzo, Buzzetti Giuseppe, Cerletti Ferdinando, Cerfoglia Celestino, Cerfoglia Eugenio, Cerfoglia Luigi, Cerletti Antonio, De Stefani Battista, De Stefani Costante, Fibioli Davide, Fibioli Gentile, Geronimi Giuseppe, Lombardini Giuseppe, Longatti Guglielmo, Longatti Enrico, Micheroli Natale, Rizzi Battista, Sterlocchi Guglielmo, Tomera Albino, Tognetti Ercole e Tognoni Antonio. Il monumento ai caduti a San Bernardo riporta i seguenti caduti nella Prima Guerra Mondiale: Cerletti Ferdinando, Lombardini Giuseppe e Tomera Albino. Sono riportati anche i seguenti dispersi in Russia: Cerletti Bernardino, Cerletti Alfonso, De Stefani Guglielmo, Gadola Anselmo, Geronimi Dino, Lombardini Giuseppe, Maretoli Antonio e Rizzi Michele.
Gli abitanti di San Giacomo-Filippo erano 1548 nel 1921, 1244 nel 1931 e 1270 nel 1936.
La "Valtellina - Guida illustrata" di Ercole Bassi (1928, V edizione), ci offre queste informazioni sulla situazione del comune fra le due guerre mondiali: "Da Chiavenna si sacca e si dirige a nord per la Valle S. Giacomo la bellissima strada, lunga 30 km., che giunge a Giogo dello Spluga. Essa fu costruita dal 1819 al 1821 sugli studei dell'ing. Carlo Donegani. Vi è servizio di auto per Campodolcino, ed estivo per Madesimo e Monte Spluga. Lasciata la frazione di Bette (graziosa chiesetta a croce greca), la strada penetra tosto nell'angusta valle di S. Giacomo, sparsa di castagneti, e giunge, dopo km 4, da Chiavenna, al villaggio di S, Giacomo e Filippo, sede del comune omonimo (m. 520 - ab. 229-1721 - Poste e Telegrafi - Poste anche alla frazione Lirone - circolo ricreativo - osterie - piccola industria di gerli e canestri; bell'orrido sotto al ponte ove si produce l'energia elettrice per Chiavenna).


Dalò

Nella chiesa sono pregevoli gli altari per intagli e dorature, e diverse tele. Bella la statua nella Cappella del Rosario, bellissimi sette piccoli quadri incorniciati con stucchi lungo le pareti; interessante il dipinto di fronte al Battistero del 1644, del pittore Macolini. Sono del Prevosti di Chiavenna gli affreschi del coro e la tela dell'Immacolata. La chiesa possiede pure due croci astili del 500. A sinistra della nazionale verso Gallivaggio sul prospetto di una casa vedesi dipinta una bella Madonna col Bambino; altra si vede sulla facciata della chiesa da don P. Buzzetti attribuita a Sebastiano da Piuro. Vi è una bella lampada d'argento dono degli emigrati a Palermo, e vi si custodiscono le reliquie di San Guglielmo. Nel Santuario di questo santo vi sono dipinti di Ant. Caramolo da Vercana, ricordato da C. Cantù e da don Santo Monti, del Macolini e di Fr. Prevosti surricordati.
A San Giacomo nacquero gli storici G. Giac. Macolini, G. B. Tognoni, nonché John Silvani, che con attività ed intelligenza si fede un rilevante patrimonio a Londra ove morì nel 1892 lasciando lasciando erede il comune di Chiavenna. Interessante la Grotta dell'Eremita, boscosa valletta chiusa da alte rupi. A sinistra di essa un recente ponte in muratura conduce ai crotti di Scandolera; indi a Mese. Sul fianco del monte a sinistra si scorgono i villaggi di Sommarovina, Olmo e San Bernardo, sopra il quale a m. 2053 vi è l'ameno lago di Truzzo, ricco di trote, ove si vede il grandioso il grandioso impianto idroelettrico della Società Cisalpina. A Olmo,nella chiesetta della SS. Trinità, vi è un pregevole tabernacolo intarsiato proveniente dal monastero di S. Pietro di Chiavenna. L'ancona dell'altar maggiore è del Tagliaferri, che dipinse anche sulle pareti.
La chiesa di S. Bernardo possiede una ricca pianeta tessuta d'oro, due reliquiari intagliati e dorati, una croce d'argento acquistata dalla popolazione nel 1655. In alto, a m. 2140, trovasi il laghetto Vittoria, sulle cui sponde la sezione di Como del C.A.I. eresse, su disegno dell'ing. A. Giussani, la capanna Carlo-Emilio, in ricordo dei due alpinisti comaschi (Carlo Piatti e dott. Emilio Castelli) periti il 1 agosto 1909 sul pizzo Badile, capanna inaugurata il 1 agosto 1911 e che agevola la salita ai pizzi Sevino (m. 3021), Quadro (m. 3013), Truzzo (m. 2722), Pizzaccio (m. 2589), e ad altri minori. Proseguendo per l'alpe Truzzo, si sale al valico, e quindi si scende a Campodolcino.


Dalò

Dopo circa km. 3 da San Giacomo si giunge al Santuario di Gallivaggio (m. 800 - osteria), ove credesi che nel 1492 la Madonna apparisse a due contadinelle. Il Santuario, a tre navate, possiede pregevoli pitture: di Paolo Camillo Landriano, detto il Duchino, è il gran quadro dell'Incoronazione di M. V. del 1606, fatto a spese di Gio. Pietro Vertemate-Franchi; gli affreschi delle pareti e della volta del presbiterio sono così firmati: DOMINICUS CARESIANUS DE CUREGLIA VALLIS LUGANI HOC OPUS FECIT ANNO 1605. Rappresentano episodi della vita della Vergine sulla volta, la Natività di Gesù Cristo e l'Adorazione dei Magi sulle pareti (a figure maggiori del naturale). Sno in generale ben condotti e ben conservati. Sulla parete esterna, verso il fiume, si ammira una deliziosa dolcissima Maria del 400, dalla veste a fiorami e piena di espressione. Tiene in grembo il Bambino, coperto da una camiciola bianca e con un libretto rosso in mano. Il disegno è ottimo ed i colori morbidissimi. La chiesa possiede un paramento completo con paliotto in broccato del 1713. In un eremo di Gallivaggio dimorò per anni, e fu poi sepolto nel 1070, Guglielmo d'Orange, divenuto poi S. Guglielmo. Poco oltre Gallivaggio cessano le selve e, superara con diversi risvolti un'altura, si tocca Cimaganda (m. 897), indi si attraversa per qualche chilometro una falda cosparsa di massi di gneis bianco , su alcuni dei quali si vedono dei campicelli."


Bandiera del Comune della Valle di San Giacomo

Caddero nella seconda guerra mondiale Bellomi Vittorio, Cerletti Adolfo, Del Curto Abbondio, Geronimi Antonio, Ghelfi Martino, Giovanettoni Luciano, Stefanon Ettore, Silvani Albino e Tognoni Giuseppe. Risultarono, infine, dispersi in Russia nel 1943 Buzzetti Ermes, Cerletti Bernardino, Cerletti Alfonso, De Stefani Oreste, De Stefani Guglielmo (classe 1921), De Stefani Michele, De Stefani Guglielmo (classe 1919), Fabioli Guglielmo, Gadola Anselmo, Geronimi Dino, Lombardini Giuseppe, Longatti Giovanni, Longatti Vittorio, Maretoli Antonio, Rogantini Vito, Rogantini Adolfo, Rizzi Michele, Tognoni Giovanni Battista e Tomera Guglielmo.
Nel secondo dopoguerra gli abitanti passarono, con discesa costante, da 1206 nel 1951 a 1069 nel 1961, 865 nel 1971, 674 nel 1981, 576 nel 1991, 472 nel 2001, 395 nel 1911 e 354 nel 2018. I suoi nuclei, abitati permanentemente o nella sola stagione estiva, sono Avero (nella valle omonima), Dalò, a monte del celebre salto roccioso che si affaccia su Chiavenna, Sant'Antonio e Lendine, in Valle del Drogo, Olmo, San Bernardo e Scanabecco, allo sbocco della Valle del Drogo, Cimaganda, Gallivaggio e San Bernardo, distribuiti su una superficie complessiva di 61,75 kmq. Il suo territorio si articola dai 375 m. s.l.m., al confine meridionale con Chiavenna, ai 3163 m. del pizzo Stella, sulla testata della Val d'Avero.


Lirone

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Bibliografia

Geronimi, Eugenio, "Il Santuario di Gallivaggio", Como, 1892

Buzzetti, Pietro, "Le Chiese nel territorio dell'antico Comunità in Valle San Giacomo" Como, A. Volta di Caccia e Corti, 1922

Festorazzi, Luigi, "Dubiùn: il gergo di Olmo in Valchiavenna" (in Bollettino della Società Storica Valtellinese, 1983)

Zahner, G., "Il dialetto della Val San Giacomo (Valle Spluga)", Vita e Pensiero, Milano 1989

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