L'anello Primolo-S. Giuseppa-Primolo, per le alpi Pradaccio, Braccia, Girosso e Lagazzuolo
CARTA DEL PERCORSO - ESCURSIONI A CHIESA IN VALMALENCO - GALLERIA DI IMMAGINI
Lago ed alpe Lagazzuolo
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Primolo-Alpe Pradaccio-Alpe Braccia-Alpe Girosso-Lago e rifugio di Lagazzuolo-Mulattiera-Primolo |
7 h |
1050 |
E |
SINTESI. SINTESI. Da Sondrio portiamoci a Chiesa in Valmalenco (che dista
14 km dal capoluogo) e, di qui, saliamo, con altri 4 km di automobile,
a Prìmolo. Entrati in paese, prima di
raggiungere la chiesetta prendiamo a sinistra, seguendo le indicazioni
relative al parcheggio e lasciamo l’automobile nei pressi del punto
in cui termina la strada asfaltata, lasciando il posto ad una pista sterrata
(m. 1350 circa). Proseguiamo sulla pista, che svolta a sinistra e termina ad una piazzola. Da qui partono due sentieri: prendiamo quello di destra, per l'alpe Pradaccio. Superato il vallone del Rovinone, dopo una serie di tornanti ed un traverso a sinistra, siamo ai prati dell’alpe Pradaccio (m. 1725). Non ci portiamo però alle baite dell'alpe, ma alle sue soglie dobbiamo piegare a destra, seguendo le indicazioni del cartello
che indica l’alpe Braccia ad un’ora di cammino. Nel primo
tratto saliamo in direzione est, sormontando anche qualche facile roccetta,
circondati da simpatici pini mughi, fino a raggiungere, a quota 1800,
il filo di un dosso, oltre il quale il sentiero prosegue piegando verso
sinistra (nord). La salita
prosegue fino a lambire quota 1900, e dobbiamo attraversare due ripidi
canaloni principali (il secondo è il Rovinone; attenzione ad eventuale presenza di neve). Superati questi luoghi dirupati,
ci immergiamo in un bel bosco di larici. Dobbiamo, ora, prestare attenzione
ai segnavia, perché il sentiero non mantiene la quota guadagnata,
ma scende per qualche decina di metri, fino ai 1864 metri dell’alpe
Braccia. Dobbiamo ora proseguire verso nord-nord-ovest,
in direzione dell’alpe Girosso. Dopo una breve salita ad una quota approssimativa di 1950 metri,
ci ritroviamo al bivio, al quale prendiamo a sinistra.
Proseguiamo, quindi, nella salita, fino a quota 2170, dapprima nella
boscaglia, poi fra la bassa vegetazione (attenzione in caso di terreno bagnato), per poi perdere leggermente
quota, superando anche un impressionante vallone, che sembra scende
a picco sul fondovalle, e qualche valloncello minore. Superato un ultimo crinale, ad una quota approssimativa
di 2060 metri, ci affacciamo all’ampio anfiteatro dell’alpe
Girosso superiore, costituito dal vasto versante di magri pascoli e
sfasciumi che si stende ai piedi della Cresta di Primolo e del monte
Braccia (m. 2909). Non perdiamo di vista i segnavia rosso-bianco-rossi,
perché non sempre il sentiero è evidente nella traversata dell’anfiteatro, fra massi anche di notevoli dimensioni
e magri pascoli, in leggera salita nel primo tratto, quasi pianeggiante
nel secondo. Alla fine della traversata, eccoci alle baite
dell’alpe, o meglio, a quel poco che resta di un paio di baite
(m. 2183).
A questo punto, il sentiero si biforca di nuovo e noi prendiamo a destra.
Il sentiero taglia il crinale che scende verso nord-est dal monte Braccia,
in un punto nel quale è interamente erboso, prosegue, per un
buon tratto, in una fascia di roccette, bassa vegetazione e radi larici,
a monte di alcuni valloncelli che confluiscono più in basso in
un vallone principale, ed approda, finalmente, al fianco erboso del
bastione di roccia meridionale dell’ampia conca del lago Lagazzuolo. Non dobbiamo, ora, scendere direttamente verso il lago, ma piegare a
destra e seguire la traccia di sentiero indicata dai segnavia, che scende,
ripida, sul
crinale erboso, verso nord. Superata una ganda, il sentiero raggiunge la fascia di larici ad est
del laghetto, posto ad una quota di 1992 metri: pochi passi ancora,
e siamo alla sua riva orientale.
Non perdiamo di vista i segnavia: ci guidano nella rapida
discesa alle quattro baite ed alla croce dell’alpe Lagazzuolo (m. 1974), ad est del laghetto. Fra esse troviamo il rifugio Lagazzuolo. Scendendo ancora leggermente verso destra, troviamo,
sul limite di un bel bosco di larici, la partenza del sentiero ben marcato
che scende
al fondovalle. La discesa è rapida ed agevole. Il sentiero, scende con molti tornantini, ed alla fine, dopo un ultimo traverso
a destra (sud-est), raggiungiamo un ponticello sul Mallero (m. 1408),
appena a valle di due massi ciclopici. Sull’altro lato del ponte,
troviamo una pista sterrata e la partenza del sentierino che consente
di salire al parcheggio di S. Giuseppe, nei pressi della chiesetta. Noi, però, proseguiamo il cammino seguendo, in discesa, la pista,
per un buon tratto, accompagnati dal poderoso fragore del torrente,
che supera con rabbiose cascate alcune prese in muratura. Giungiamo,
così, ad un secondo ponticello (m. 1323), che ci riporta sulla
riva destra del Mallero. Qui troviamo la mulattiera per Primolo (stràda o strèda de prémul), che
propone un primo tratto in leggera salita ed un suggestivo passaggio
in una sorta di corridoio costituito da una radura circondata dalla
macchia. Poi comincia la discesa, ed il fondo della mulattiera
si fa più largo, leggermente sopraelevato rispetto al piano da
un bordo in sassi.
La discesa ci porta a quota 1270, dove troviamo un bivio, al quale dobbiamo
prendere a destra. Ci attende qualche leggero saliscendi.
Un ultimo strappo, un’ultima fatica, nella pineta di Primolo,
ci attendono prima di chiudere l’anello. Raggiungiamo, così,
le case del lato settentrionale del paese, e torniamo all'automobile. |
Rifugio Lagazzuolo
Questo
itinerario escursionistico permette di conoscere un volto meno noto
della Valmalenco, la cui immagine è associata ai grandi spazi
aperti, alla maestà delle cime, a ghacciai e rocce. Esistono,
però, anche i sentieri che si snodano nella stupenda cornice
di boschi di larici, immersi nell’atmosfera chiaroscurale che
si apre, improvvisa, alla luminosità degli alpeggi.
Il sentiero dei cervi è uno di questi. Il suo percorso si snoda
su una direttrice che parte da Primolo, sale all’alpe Pradaccio,
passa per l’alpe Braccia (“bràcia", alpeggio denominato, in un documento del 1544, “alpis et montis de bragia”) e l’alpe Grosso superiore, raggiunge
il lago Lagazzuolo, scende a S. Giuseppe e, su una comoda e storica
mulattiera torna a Primolo. Un percorso che non garantisce incontri
ravvicinati con i cervi, ma un’ottima camminata ed una varietà
assai ricca di scenari.
Raggiunta Chiesa Valmalenco (sgésa), proseguiamo, seguendo le indicazioni che
si trovano nel centro della località, per Primolo ("prémul", m. 1270, già citato come "primollo" nel sec. XV),
lasciando l’automobile nel parcheggio che si trova al suo ingresso,
o a quello della sua parte alta. Non possiamo, in ogni caso, mancare
di visitare il bel santuario della Madonna delle Grazie, edificato fra
la fine del Seicento e la seconda metà del Settecento. Dal piazzale
antistante il panorama su Caspoggio, Lanzada ed il pizzo Scalino è
davvero suggestivo. Si tratta di un santuario assai amato dagli abitanti
di Chiesa. La settecentesca statua lignea della Madonna che regge il
Bambino è circondata da numerosi ex-voto, donati dai fedeli riconoscenti
per i suoi interveti miracolosi. Si dice anche che fra le grazie elargite
dalla Madonna vi sia anche quella di far trovare marito alle ragazze
che più faticano a farsi maritare, purché con fede e devozione
grattino il vetro che custodisce la statua. Se
abbiamo problemi di questo genere, possiamo approfittarne, prima di
ricominciare a salire, guadagnando la parte alta del paesino. La strada
asfaltata lascia il posto ad una pista in terra battuta.
Incontriamo, un po’ più avanti, sulla nostra destra, un
cartello che segnala la partenza del sentiero Cesare Palaveri, che da
qui sale fino all’alpe Braccia (“bràcia", alpeggio denominato, in un documento del 1544, “alpis et montis de bragia”), data ad un’ora e mezza di
cammino, per poi biforcarsi: il ramo di destra prosegue per le alpi
Girosso (giròos) inferiore e Lagazzuolo, mentre il ramo di sinistra conduce all’alpe
Pradaccio, data a 2 ore e 30 minuti dalla partenza del sentiero. Dobbiamo,
ora, scegliere se percorrere la versione integrale o quella abbreviata
del Sentiero dei Cervi. Nel primo caso, ignoriamo il cartello e proseguiamo
sulla pista; nel secondo, invece, la lasciamo per salire lungo il sentiero
segnalato che punta, ripido e diretto, ai 1864 metri dell’alpe
Braccia.
Questo sentiero ha una pendenza davvero severa, attraversa luoghi impervi
e, in qualche tratto, esposti (per cui neve, ghiaccio o fondo reso scivoloso
dalla pioggia possono costituire un’insidia da non sottovalutare).
Se, però, non resistiamo al fascino dell’avventura in un
ambiente di selvaggia ed un po’ orrida bellezza, teniamo presenti
almeno due avvertenze: all’inizio del sentiero prestiamo attenzione
ad una biforcazione, alla quale dobbiamo prendere il ramo (meno evidente)
di sinistra, che comincia a salire; non perdiamo, poi, mai di vista
i segnavia bianco-rossi, peraltro abbondanti: la traccia, infatti, ogni
tanto tende un po’ a perdersi ed è assolutamente da evitare
una salita a vista, perché il rischio di impelagarsi in un dedalo
di dirupi, soprattutto nella parte superiore del sentiero, non è
affatto remoto. Il sentiero
non fa complimenti: sale tirando quasi diritto, con qualche svolta,
attraversando anche una fascia di rocce aspre selvagge. Alla fine, raggiungiamo
il cartello che annuncia l’alpe Braccia. Non aspettiamoci, però,
solari e verdeggianti radure: di alpe non ce n’è ormai
più, se l’è mangiata il bosco, ed ora resta solo
una baita diroccata. Ma vediamo, ora, come arrivare fin qui con un giro
più lungo, ma anche più tranquillo, che passa per l’alpe
Pradaccio.
Torniamo al cartello del sentiero Cesare Palaveri: lasciamolo, però,
ora alla nostra destra e proseguiamo sulla pista, fino alla sua conclusione.
Qui troviamo due cartelli. Uno, più grande, annuncia, su fondo
giallo, la partenza del sentiero per l’alpe Pirlo (pérlu o pìrlu) e l’alpe
Lago di Chiesa (data a 2 ore), segnalando che da qui si può proseguire
per il rifugio Bosio, che si raggiunge in 3 ore e 10 minuti; un secondo
cartello, sempre giallo, segnala che per il medesimo sentiero (passando
per l’alpe Pirlo, ma non per l’alpe Lago) si possono raggiungere,
in 6 ore, i laghetti di Sassersa, il passo Ventina (pas de la venténa) e, dopo 6 ore di
cammino, Chiareggio. Un cartello più piccolo, poi, a destra di
questi due, segnala la presenza del meno marcato sentiero che conduce,
in un’ora, all’alpe Pradaccio ed in 2 ore all’alpe
Braccia.
Apri qui una fotomappa dei sentieri intorno a Primolo
Per questo secondo sentiero possiamo raggiungere, quindi, l’alpe
Pradaccio: si tratta di un sentiero tranquillo, che, attraversato un
vallone, porta direttamente alle baite dell’alpe (m. 1725), adagiate
in una piccola ed amena conca verde sul cui fondo si apre, imponente,
arcano ed ombroso, il grande vallone di Sassersa. Ben conoscono questa
aspra porta coloro che hanno percorso la seconda tappa dell’Alta
Via della Valmalenco, dal rifugio Bosio ai rifugi Ventina e Gerli-Porro:
si tratta, infatti, della faticosa porta di accesso alla stupenda quanto
desolata val Sassersa, che regala le perle dei suoi laghetti prima della
faticosa salita al passo di Ventina, per il quale si accede all’omonima
valle, in alta Valmalenco (val del màler). Luoghi stupendi, indimenticabili.
Ma per il vallone saliremo un’altra volta.
No ci portiamo alle baite dell'alpe, ma alle sue soglie prendiamo a destra, seguendo le indicazioni del cartello
che indica l’alpe Braccia ad un’ora di cammino. Nel primo
tratto saliamo in direzione est, sormontando anche qualche facile roccetta,
circondati da simpatici pini mughi, fino a raggiungere, a quota 1800,
il filo di un dosso, oltre il quale il sentiero prosegue piegando verso
sinistra (nord). Attraversiamo, ora, una zona che non presenta molte
attrattive, se non agli occhi degli amanti dell’orrido. La salita
prosegue fino a lambire quota 1900, e dobbiamo attraversare due ripidi
canaloni principali (il secondo è denominato, sinistramente,
Rovinone (acqua de zumpràa), ed è quello che, nella parte più bassa, abbiamo
attraversato su un ponte dopo l’ultimo tornante prima di Primolo),
che scaricano a valle anche pericolose slavine (non a caso nei pressi
del sentiero vedremo diversi dispositivi di segnalazione dei movimenti
della massa nevosa). In inverno, con neve o anche solo con ghiaccio,
passare di qui è del tutto sconsigliabile. Nella bella stagione,
invece, il discorso è diverso. Superati questi luoghi dirupati,
ci immergiamo in un bel bosco di larici. Dobbiamo, ora, prestare attenzione
ai segnavia, perché il sentiero non mantiene la quota guadagnata,
ma scende per qualche decina di metri, fino ai 1864 metri dell’alpe
Braccia.
Apri qui una fotomappa del versante Girosso-Lagazzuolo
Eccoci, dunque, di nuovo qui: arrivati per via direttissima, o passando
dall’alpe Pradaccio, dobbiamo ora proseguire verso nord-nord-ovest,
in direzione dell’alpe Girosso (giròos). Consultando la carta, vedremo
che di alpi Girosso (giròos) ce ne sono due, una inferiore (m. 1779) ed una superiore
(m. 2183): dobbiamo sciogliere da noi stessi il dilemma, perché
il sentiero è percorribile in entrambe le varianti, che si ricongiungono
al lago di Lagazzuolo. Dopo una breve salita, viene il momento di sciogliere
il dilemma, perché, ad una quota approssimativa di 1950 metri,
ci ritroviamo al bivio, segnalato, con il sentiero
di destra che procede per un buon tratto pianeggiante e poi scende all’alpe
Girosso (giròos) inferiore, e quello di sinistra che continua la salita, alla
volta dell’alpe Girosso (giròos) superiore. Il primo si sviluppa interamente
nel bosco, il secondo propone, invece, più aperti e panoramici.
Suggerisco il secondo, anche se, come avverte il cartello al bivio,
diventa impegnativo e richiede prudenza se il terreno è bagnato.
Proseguiamo, quindi, nella salita, fino a quota 2170, dapprima nella
boscaglia, poi fra la bassa vegetazione, per poi perdere leggermente
quota, superando anche un impressionante vallone, che sembra scende
a picco sul fondovalle, e qualche valloncello minore. Anche qui, lo
scenario sembra piuttosto desolato. Superato un ultimo crinale, sorvegliato
da radi larici un po’ malinconici, ad una quota approssimativa
di 2060 metri, ci affacciamo all’ampio anfiteatro dell’alpe
Girosso (giròos) superiore, costituito dal vasto versante di magri pascoli e
sfasciumi che si stende ai piedi della Cresta di Primolo e del monte
Braccia (m. 2909). Non perdiamo di vista i segnavia rosso-bianco-rossi,
perché non sempre il sentiero è evidente.
La traversata dell’anfiteatro, fra massi anche di notevoli dimensioni
e magri pascoli, in leggera salita nel primo tratto, quasi pianeggiante
nel secondo, è piuttosto monotona. Possiamo, però, gustare
il bel panorama che si apre a nord e a nord-est, cioè davanti
a noi. In primo piano la triade dei pizzi Tremoggie (piz di tremögi) e Malenco e del
Sasso d’Entova (sasa d’éntua; le tre vette, nel loro insieme, erano chiamate, localmente, “i tremögi”; la denominazione distinta deriva da un interesse alpinistico); alla loro destra il poderoso massiccio che dalla
cima del Sasso Nero (umèt) scende alla bocchetta del Torno; alle spalle del
massiccio, occhieggiano i giganti della testata della Valmalenco, i
pizzi Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio), Scerscen, Bernina, Argient e Zupò (che significa “nascosto”, da “zuper”, nascondere). In basso, alla
nostra destra, invece, l’alpe lascia il posto ai boschi ed alle
rocce fra i quali si incide il ripido canalone della val Fura. Se è
destino che si debbano vedere dei cervi,
è questo il luogo in cui con maggiore probabilità ci potrà
capitare incontrarli. Alla fine della traversata, eccoci alle baite
dell’alpe, o meglio, a quel poco che resta di un paio di baite
(m. 2183).
A questo punto, il sentiero, che deve sormontare il versante che separa
l’alpe dall’ampio vallone che ospita il laghetto e l’alpe
di Lagazzuolo, si biforca di nuovo: la variante alta (di sinistra) prevede
la salita alla bocchetta di Girosso (giròos) superiore (m. 2333), mentre quella
inferiore (di destra: si tratta in realtà della prosecuzione
del sentiero) prosegue perdendo leggermente quota. Quale opzione scegliere?
La prima ha il vantaggio della panoramicità, perché dalla
bocchetta il colpo d’occhio sulla testata della Valmalenco è
più ampio e suggestivo, ma ha anche lo svantaggio di non essere
segnalata (io, almeno, non ho visto segnavia) e di imporre attenzione,
soprattutto nella discesa al laghetto di Lagazzuolo. Scegliamo, dunque,
la seconda.
Il sentiero taglia il crinale che scende verso nord-est dal monte Braccia (còrgn de bracia, m. 2909),
in un punto nel quale è interamente erboso, prosegue, per un
buon tratto, in una fascia di roccette, bassa vegetazione e radi larici,
a monte di alcuni valloncelli che confluiscono più in basso in
un vallone principale, ed approda, finalmente, al fianco erboso del
bastione di roccia meridionale dell’ampia conca del lago Lagazzuolo.
Il lago si mostra, intesso e bellissimo, circa centro metri più
in basso, con le sue acque di un azzurro intenso, che non accolgono
l’immagine dei larici e delle gande che le ricordano.
Non dobbiamo, ora, scendere direttamente verso il lago, ma piegare a
destra e seguire la traccia di sentiero indicata dai segnavia, che scende,
ripida, sul
crinale erboso, verso nord. Se guardiamo, nella discesa, alla nostra
sinistra, distinguiamo nettamente il profilo regolare della punta Rosalba
(m. 2803), che deve il suo nome all’epoca pionieristica dell’alpinismo,
nella quale era abbastanza diffusa la consuetudine di dedicare le cime
alle donne amate. Alla sua destra, quello più tozzo della cima
quotata 2648 metri. Fra le due cime, il netto intaglio, a cui sale un
largo canalone di sfasciumi, del bocchel del Cane (m. 2551), la porta
per la quale si può effettuare una classica traversata da S.
Giuseppe a Chiareggio, scendendo in Val Ventina.
Superata una ganda, il sentiero raggiunge la fascia di larici ad est
del laghetto, posto ad una quota di 1992 metri: pochi passi ancora,
e siamo alla sua riva orientale. Camminiamo da circa 4 ore/4 ore e mezza
(o poco più di 3 e mezza, se abbiamo scelto la versione più
breve dell’anello), ed una sosta in questo incantevole spazio
di fresco silenzio è quanto mai opportuna e godibile.
Non perdiamo di vista i segnavia: nel ritorno, ci guidano nella rapida
discesa alle quattro baite ed alla croce dell’alpe Lagazzuolo (alp del lagazzö, m. 1974), ad est del laghetto. Una di queste baite, però, è tornata a nuova vita per iniziativa degli Alpini di Chiesa in Valmalenco che, nel 2009, ne hanno ricavato un rifugio, il rifugio Lagazzuolo, tenuto aperto nella stagione estiva. Chi volesse maggiori informazioni o intendesse ritirare le chiavi per utilizzare la struttura, può contattare Pietro Schenatti (tel. di casa: 0342 452135; cell.: 340 7764161); Fausto Pedrotti (tel. di casa: 0342 452576; cell.: 349 5089697).
Una serie di cartelli presso il rifugio segnalano, nella
direzione dalla quale proveniamo, l’alpe Girosso (giròos) ad un’ora,
l’alpe Braccia a 2 ore e 30 minuti, l’alpe Pradaccio a 4
ore e Primolo a 4 ore e 30 minuti. Nella direzione che dobbiamo seguire,
invece, la località di S. Giuseppe è data ad un’ora.
Teniamo presente che, alla nostra destra, un po’ più in
alto (cioè sul limite orientale dell’alpe), si trova un
corridoio erboso che termina al limite del bosco: i segnavia ci indicano
che da lì proviene il ramo più basso del sentiero dei
cervi, quello che, come abbiamo già segnalato, passa per l’alpe
Girosso (giròos) inferiore. L’erba nasconde la traccia di sentiero, che
però si fa più evidente nel bosco.
Torniamo a noi: scendendo ancora leggermente verso destra, troviamo,
sul limite di un bel bosco di larici, la partenza del sentiero ben marcato
che scende
al fondovalle. La discesa è rapida ed agevole (anche se le nostre
ginocchia, forse, non saranno dello stesso avviso). Il sentiero, con
i suoi molti tornantini, ci regala anche qualche colpo d’occhio
sui prati a monte di S. Giuseppe. Alla fine, dopo un ultimo traverso
a destra (sud-est), raggiungiamo un ponticello sul Mallero (m. 1408),
appena a valle di due massi ciclopici. Sull’altro lato del ponte,
troviamo una pista sterrata e la partenza del sentierino che consente
di salire al parcheggio di S. Giuseppe, nei pressi della chiesetta.
Noi, però, proseguiamo il cammino seguendo, in discesa, la pista,
per un buon tratto, accompagnati dal poderoso fragore del torrente,
che supera con rabbiose cascate alcune prese in muratura. Giungiamo,
così, ad un secondo ponticello (m. 1323), che ci riporta sulla
riva destra del Mallero (màler). Qui troviamo la mulattiera per Primolo (stràda o strèda de prémul), che
propone un primo tratto in leggera salita ed un suggestivo passaggio
in una sorta di corridoio costituito da una radura circondata dalla
macchia. Alla nostra sinistra incontriamo anche alcune rocce levigate,
che affiorano dal verde del prato, e che ci separano dal Mallero (màler), che
scorre oltre cento metri più ad est. Il luogo è davvero
ameno e riposante. Poi comincia la discesa, ed il fondo della mulattiera
si fa più largo, leggermente sopraelevato rispetto al piano da
un bordo in sassi.
Si intuisce subito l’importanza di questa via: è un tratto
della strada del Muretto (pas de mürét, l'antico monte dell'Oro), l’antichissima via per la quale si risaliva
l’intera Valmalenco, ci si affacciava al passo del Muretto e,
per la valle omonima, si scendeva in Engadina. Di qui passò,
il 25 luglio del 1618, l’arciprete di Sondrio Niccolò Rusca,
rapito da sessanta armati della Lega Grigia e successivamente condotto
al Thusis, dove morì, per le torture, il 18 settembre successivo.
La discesa ci porta a quota 1270, dove troviamo un bivio, al quale dobbiamo
prendere a destra, ignorando la mulattiera che scende a sinistra fino
al ponte sul Mallero che si incontra salendo in automobile da Chiesa
a S. Giuseppe. Ci attende qualche leggero saliscendi, mentre alla nostra
destra si impone uno spettacolo che sicuramente non lascia indifferenti:
il fianco occidentale del crinale che scende dal monte Motta (“sas òlt”, dove si
trova il punto di arrivo dell’impianto di risalita Chiesa-Palù)
è letteralmente squarciato da un’immensa cava di serpentino.
Un ultimo strappo, un’ultima fatica, nella pineta di Primolo,
ci attendono prima di chiudere l’anello. Raggiungiamo, così,
le case del lato settentrionale del paese, fino al cartello che ci segnala
che quello che la mulattiera percorsa, in tre quarti d’ora circa,
da S. Giuseppe a Primolo costituisce il percorso B del Museo della Valmalenco.
Si chiude qui, dopo circa 7 ore di cammino, l’interessantissimo
anello. Forse di cervi non ne avremo visti, ma emozioni e suggestioni
hanno sicuramente accompagnato ogni nostro passo, ripagando la fatica
necessaria per superare un dislivello in salita approssimativo di 1050
metri.
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
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