CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Il settore 3 del Sentiero Italia Lombardia nord disegna una lunga traversata dalla Val Codera alla Valmalenco:
fra Val Codera e Val Masino corre, per buona parte, parallelamente al Sentiero Roma, rimanendo però su quote più basse; in Valmalenco coincide con le tappe dell’Alta Via della Valmalenco che vanno dalla seconda alla settima (cioè dal rifugio Bosio al rifugio Cristina).
Il settore 4 è la sua prosecuzione, dalla Valmalenco a Tirano, e si può articolare in tre o quattro tappe.
La prima tappa viene però qui articolata in due presentazioni, corrispondenti ad altrettante semitappe, in quando risulta abbastanza complessa, per cui le indicazioni tecniche debbono essere più numerose del solito.
Partiamo dal rifugio Cristina
(a m. 2335, non 2387, come indicato su alcune carte: se ne tenga conto, se si vuole tarare l’altimetro),
percorrendo qualche passo a ritroso rispetto alla trappa precedente (cioè ci incamminiamo sul sentiero della settima tappa dell’Alta Via della Valmalenco, in direzione nord, cioè verso la depressione che si staglia, ben visibile, in lontananza ed alla cui sommità è collocato il passo di Campagneda.
Poco oltre la bandiera italiana posta all’ingresso dell’alpe Prabello,
troviamo un cartello, che segnala la partenza della prima tappa del Sentiero Italia Lombardia nord settore 4. Su un masso, poi, è scritto, a grandi caratteri, “Passo Ometti”, perché è proprio da questo passo che tale tappa deve passare.
Ultima indicazione: i segnavia che ci guidano al passo sono costituiti da un bollo rosso circondato da uno bianco, a mo’ di bersaglio.
I segnavia meritano una considerazione particolare: se è vero che ad essi va sempre prestata attenzione, lo è ancor più in questo percorso, in quanto la traccia di sentiero che pure in molti tratti troviamo non è continua, e non siamo nelle condizioni di poter procedere a vista. Inoltre duecento metri circa del dislivello superato in salita comportano l’attraversamento di una fascia di sfasciumi, cioè di massi di diverse dimensioni, ed il percorso disegnato dai segnavia ci può aiutare parecchio nel risparmio di tempo e di energie.
Una seconda considerazione merita la fascia appena menzionata. Quando ci si muove fra questi massi, soprattutto su un declivio che ha una certa pendenza, bisogna moltiplicare attenzione e prudenza, innanzitutto perché è sempre possibile scivolare (e, rispetto a questo pericolo, calzature con una suola idonea ed in perfetto ordine sono di importanza essenziale), in secondo luogo perché non tutti i massi sono perfettamente assestati, per cui possono oscillare sotto i nostri piedi, quando non mettersi in modo, e le conseguenze possono andare da un semplice spavento ad una caduta dalle conseguenze anche serie.
Se poi, per somma disdetta, il masso che abbiamo messo in movimento ci cade addosso, le conseguenze possono essere molto serie. Morale: dobbiamo procedere senza fretta, concentrati (questo vale soprattutto per chi scende ed è più facile preda della smania di raggiungere la meta), vagliando prima con la vista, poi con una pressione prudente la consistenza e la stabilità di ciascun masso.
Bene: poste queste premesse, possiamo anche partire (ma qualcuno, spaventato dalle avvertenze, potrebbe decidere di scegliere mete più tranquille…). Il sentiero si stacca dal quello dell’Alta Via sulla destra e corre per un buon tratto in direzione sud-est, nei pressi del limite del lungo dosso che, dal crinale Valmalenco-Val di Togno (o meglio, Val Lanterna-Val Painale) scende fino alle soglie del rifugio, sul bordo di uno dei molti ed ameni prati dell’alpe. Raggiungiamo, così, il piede del versante montuoso che dovremo vincere: si tratta del versante che scende dallo spigolo di sud-ovest del pizzo Scalino (m. 3323), che domina la scena dell’alpe, con il suo inconfondibile profilo. Lo vediamo bene, alla nostra sinistra, mentre ci accingiamo a salire, su un terreno che alterna magri pascoli a terriccio franoso, frammisto a qualche sasso.
In diversi punti vediamo una traccia di sentiero, che però spesso di perde. Di qui l’importanza di prestare attenzione ai segnavia, attenendosi alla regola aurea di non procedere oltre un segnavia senza prima aver individuato il successivo. Ci sono, per la verità, anche numerosi ometti che accompagnano la nostra salita: il passo deve il suo nome alla loro presenza. Procediamo, dunque, su un tracciato piuttosto ripido, seguendo una direttrice che tende con molta gradualità a destra rispetto alla verticale che porta al crinale.
Guadagniamo, in questo modo, rapidamente quota, ma una prima fascia di grandi massi rallenta di molto la salita. Oltretutto proprio qui i segnavia sono meno facili da individuare (per esempio, raggiunto un grande masso con un segnavia ben visibile disegnato sopra, potremmo spendere parecchio tempo nell’inutile ricerca del successivo, che se ne sta nascosto dietro la piega del masso medesimo, ad indicare che la salita deve procedere alla sua sinistra, in prossimità del bordo di un nevaietto. Una diagonale ci fa, poi, allontanare dal nevaio, ed un successivo traverso ci porta a sormontare un dosso poco pronunciato che sta alla nostra destra, per poi affrontare una nuova fascia di massi.
Nel caso si dovesse perdere il riferimento dei segnavia, si tenga presente, per non sbagliare, che l’ultima parte del tracciato corre a pochi metri dal piede roccioso del crinale, verso destra, per cui, nel dubbio, alziamoci un poco verso tale piede, piuttosto che procedere troppo nella direzione alla nostra destra, dove potremmo ritrovarci sul limite di canalini esposti. Chi legge capirà da sé che un tracciato siffatto va accuratamente evitato in caso di condizioni di scarsa visibilità.
Bene: dopo gli ultimi sforzi ginnico-scimmieschi, ecco di nuovo la traccia di sentiero, che ci porta, con un ultimo traverso a destra, all'intaglio del passo, posto, a 2766 metri
(non è esatta l'indicazione di 2758 metri di alcune carte, e la specificazione può essere preziosa per chi controlla l'altimetro, anche per osservare se la pressione sta aumentando o diminuendo), proprio laddove la fascia rocciosa del crinale lascia il posto ad un terreno erboso. In realtà, non si tratta di un vero e proprio intaglio, tanto che il passo non è individuabile dal rifugio Cristina, se non si sa che è collocato laddove alla roccia subentra il crinale erboso. Che dire, in sede di bilancio, della salita? E’ certamente faticosa, e richiede, per superare poco più di 500 metri di dislivello, quasi un paio d’ore. Ma non è solo fatica.
Nei momenti di sosta, infatti, volgendo lo sguardo alla Valmalenco possiamo godere di uno spettacolo incomparabile. Fra le mete escursionistiche in Valmalenco, questa è certamente la più pregevole dal punto di vista panoramico, in quanto, man mano che ci avviciniamo al passo, si apre progressivamente al nostro sguardo l’intera compagine delle cime di Valmalenco,
dai Corni Bruciati al Monte Disgrazia, dalla testata della val Sissone alla cima di Val Bona ed al monte del Forno, dal sasso d’Entova ai pizzi Glüschaint e Gemelli, dalla triade Roseg-Scerscen-Bernina ai pizzi Argient, Zupò, Palù e Varuna.
Le soste per riprendere fiato, quindi,
non sono certamente inutili perdite di tempo.
Ma torniamo al passo: per nostra fortuna il versante opposto, sull’alta Val Painale (la valle che chiude la Val di Togno), è ben più dolce e tranquillo. L’ampia conca della valle si dispiega di fronte al nostro sguardo, con un aspetto rassicurante.
Là in fondo, al piano dell’alpe, il bucolico laghetto di Painale (m. 2098) attira subito il nostro sguardo, con l’intenso colore azzurro della sua superficie. Se guardiamo con più attenzione, scorgeremo, non lontano dal lago, poche baite, fra le quali vi è anche il rifugio De Dosso (m. 2119). L’alpe Painale è sovrastata da alcune cime dal profilo scuro e severo. Proprio davanti a noi si impone la massiccia parete settentrionale della punta Painale (m. 3248),
mentre alla sua destra possiamo riconoscere le cime ravvicinate del pizzo Canino (m. 2916) e della cima Vicima (m. 3122).
A sinistra della punta Painale è facilmente riconoscibile il passo Forame (m. 2830), che dovremo raggiungere dopo la traversata dell’alta val Painale. Procedendo verso sinistra, osserviamo il lungo crinale che termina con l’elevazione del pizzo Scalino: vi potremo distinguere la poco pronunciata cima di Val di Togno (m. 3054).

Dal passo partono due possibili itinerari. Il primo scende all’alpe, e può essere sfruttato da chi voglia tornare a valle percorrendo interamente la Val di Togno (oppure fermarsi al rifugio De Dosso, o al più basso rifugio Val di Togno). Lo troviamo alla nostra destra, seguendo per un tratto il crinale, guidati dai segnavia ormai familiari. Una traccia di sentiero, peraltro molto labile, ci fa perdere gradualmente quota, sul fianco nord-occidentale della valle, all’ombra del monte Acquanera (m. 2806). Il percorso supera la strettoia costituita dal fianco roccioso della cima, a monte, e da una fascia di rocce, più a valle, e raggiunge un lungo e tranquillo crinale erboso, dal quale possiamo proseguire la discesa anche a vista. Se vogliamo lasciare la valle, dobbiamo rimanere sul suo lato di nord-ovest, lasciando il corso d’acqua alla nostra sinistra. In fondo al pianoro ci avviciniamo al torrente Antognasco e lo fiancheggiamo attraversando un corridoio nella roccia, che ci immette nell’alta Val di Togno. Scendendo ancora, lasciamo alle nostre spalle le alpi Guat, Carbonera e Rogneda, fino a Ca’ Brunai, nucleo di baite che precede di poco il rifugio Val di Togno (m. 1317).

Il secondo percorso che comincia dal passo degli Ometti è la prosecuzione del Sentiero Italia. I segnavia, ora, tornano ad essere le bandierine rosso-bianco-rosse, e sono distribuiti sul cammino con molta parsimonia, anche se la loro posizione permette di scorgerli anche da lontano. Si tratta della traversata al passo Forame, che, visto da qui, non sembra lontano. Siamo tentati di cercare un bel percorso diretto, che eviti perdite di quota, ma la fascia di rocce che precede il passo Forame non ci lascia troppe speranze.
Comunque nel primo tratto di quota ne perdiamo ben poca: scendiamo, di poco, ai bei pianori dove i magri pascoli si alternano alle rocce, ed incontriamo anche due piccoli e graziosi specchi d'acqua. In questo incantevole scenario possiamo concederci una sosta rigeneratrice, concludendo la prima semitappa. Per il resoconto della seconda, apri la relativa presentazione.

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