CARTA DEL PERCORSO
Cech:
cosa significa? La parola deriva forse da Franchi, perchè
da questa stirpe germanica, calata dallo Spluga in età alto-medievale,
derivarono molti dei colonizzatori della Costiera che da loro prende il
nome. O forse da Ciechi, perchè il paganesimo resistette
maggiormente fra queste popolazioni. In ogni caso c'è qualcosa
di questa gente e di questi luoghi che ne fa una realtà unica in
Valtellina. Sette giorni di cammino basteranno per capire di cosa si tratta?
Forse. Sicuramente basteranno per toccare tutti i luoghi più significativi,
di interesse storico, culturale ed escursionistico di questa costiera,
che costituisce una sorta di porta della Valtellina, poiché ne comprende
il fianco destro, dal monte Bassetta al Culmine di Dazio, che si presenta
in tutta la sua compattezza a coloro che percorrono la bassa valle.
Questa proposta di una settimana
fra i Cech può ovviamente essere adattata alle esigenze, alla preparazione
fisica, al gusto ed ai tempi dei singoli. Il periodo ottimale per immergersi
in questa esperienza è l'autunno, ma anche la tarda primavera può
dimostrarsi stagione assai propizia: la forte esposizione al sole di tutta
la costiera, infatti, può comportare qualche problema d'estate,
ma si rivela una felice risorsa nelle stagioni meno calde. Per questo
anche l'inverno, se non è troppo rigido e se la neve è ancora
scarsa, è un periodo da non scartare.
Mettiamoci in cammino, lasciando
l'automobile a Traona, nel cuore dei Cech: ci si arriva facilmente da
Morbegno, svoltando a sinistra (se si proviene da Lecco) al primo semaforo,
raggiungendo, dopo un secondo semaforo, il ponte sull'Adda, prendendo
a sinistra e percorrendo pochi chilometri. Dopo una visita al paese, che
non può mancare di avere come meta la bella chiesa di Sant'Alessandro,
imbocchiamo la strada che parte dal suo limite orientale e sale verso Mello. Dopo
qualche tornante, troveremo, in località Castello, un cartello
che indica Il castello ed indirizza ad una stradina che si stacca
a sinistra dalla
strada e diviene ben presto sentiero; seguendolo, in pochi minuti raggiungiamo
i ruderi del castello di Domòfole, ai quali, purtroppo, non possiamo
avvicinarci, perchè sono pericolanti. Il castello altomedievale,
di cui restano solo la torre, parte del muro e della cappella di Santa
Maria Maddalena, era chiamato popolarmente Castello della Regina,
essendo diffusa la credenza che vi avesse dimorato la regina longobarda
Teodolinda. E' probabile che la fortezza sia stata piuttosto prigione
di una meno nota regina longobarda, Guendelberga, accusata ingiustamente
di aver tramato per far morire il marito, il re Arioaldo. Nel tardo pomeriggio
sul lato occidentale della torre sembra ancora disegnarsi l'ombra della
calunnia che colpì la sventurata.
Ma saliamo ancora, verso il paese
di Mello (m. 696), ottimo terrazzo panoramico (come, del resto, gran parte
dei paesi che toccheremo) sulla bassa Valtellina e dimora di una gente
tenace ed intraprendente (da qui partirono quei contadini che colonizzarono
la celeberrima valle di Mello, che, prima di diventare paradiso per gli
alpinisti di tutto il mondo, fu pascolo che permise la sopravvivenza di
questi contadini). Avremo
modo di tornarci, per cui proseguiamo, in leggera salita, verso oriente,
raggiungendo le case di Civo.
Raggiunto il centro del paese, volgiamo a destra, verso la chiesa. E di
fronte alla chiesa parrocchiale di S. Andrea Apostolo ci fermiamo, stupiti
dalla sua bellezza: se ne sta staccata, ad est del paese, con uno splendido
sagrato dal quale si gode di un ottimo panorama.
Ecco cosa ne scrive Giovanni Guler von Weineck, che fu governatore della
Valtellina nel 1587-88, nella sua opera “Rhaetia”, pubblicata
a Zurigo nel 1616, “…Civo…sorge quasi a mezza montagna
sopra il piano dell’Adda in un’amena conca; ivi passa in un
valloncello un piccolo rivo che serve per i mulini e per l’irrigazione.
Questo villaggio è assai antico ed in buona posizione: venne così
denominato dal suo fondatore Caio Livio, il quale, si dice, sia venuto
dalla Grecia in Italia con l’imperatore Teodosio ed abbia in seguito
combattuto contro i Goti sotto Stilicone
generale dell’impero romano; poi, varcato il passo di Bormio, sia
capitato col suo seguito in questa località della Valtellina inferiore.
E il luogo tanto gli piacque che egli e i suoi vi fissarono la propria
dimora; tanto più che nessuno osava loro impedirlo, perché
quel territorio era solo frequentato da pastori nomadi, che si aggiravano
qua e là fra la valle del Tovate e il vallone di Bioggio (termine connesso con la voce dialettale “bedoia”, betulla, oppure con “Biogio”, soprannome personale), a seconda
della opportunità dei pascoli. Il nome del paese così sorto
venne col tempo a ridursi per brevità da due parole ad una sola,
da Caio Livio trasformandosi in Clivio…poiché ordinariamente
Caio si scrive…C.; e questo C., seguito da Livio, diede la forma
Clivio. Fra i seguaci di Caio Livio vi dovettero essere alcuni Greci,
dai quali si dice discesa la casata dei Greco, che ancora ai di nostri
qui fiorisce, e numerosa, a Mello…Sotto Civo c’è Acqua
Marcia, pi Pratogrosso, Civasca, Corlazzo e S. Agata, tutti in buona posizione
vinifera”.
Imbocchiamo la pista sterrata che corre appena a monte della chiesa, passando
a sinistra del piccolo cimitero ed a destra di una bella cappelletta.
Se guardiamo in alto, alle spalle della cappelletta, riconosceremo una
sorta di corno, sul limite della val Toate: si tratta della cima che ospita
la Croce di Ledino, meta di un’interessante escursione. Poco oltre,
ecco, sulla destra, la solitaria chiesetta di San Bernardo, dalla quale
ottimo è il colpo d’occhio su Talamona e sulla bassa Val
Tartano. La pista, poi, prosegue attraversando una fascia di prati pianeggiante
ed entra in una selva, toccando una nuova cappelletta; ne esce di nuovo
e di nuovo rientra, prima di intercettare dopo circa 1,2 km da Civo, la
strada asfaltata che da Dazio sale a Caspano, passando per Serone. Ci
ritroviamo proprio nei pressi del centro di questo piccolo borgo, che
pure, nonostante le sue ridotte dimensioni (59 abitanti, 719 metri) è
centro amministrativo del comune di Civo. Ci accoglie la bella chiesetta
dedicata a S. Rocco, che risale alla fine del Cinquecento. Ma non possiamo
soffermarci più di tanto: dobbiamo seguire, ora, la strada asfaltata
in salita.
Dopo
700 metri circa, ci accoglie, a valle della strada, sulla destra, Naguarido (774 m., 23 abitanti), con la sua bella chiesetta dedicata alla Beata
Vergine, di origine settecentesca. Una nota di colore: le donne di questo
borgo, denominate “Cecche di Naguarido”, si sono, in passato,
conquistate, nella zona, una controversa fama di libertà di pensiero
e di costumi, in quanto, stanche di grondare sudore durante le fienagioni
al solleone di luglio, decisero, un bel giorno, di presentarsi nei campi…a
gambe nude. Lavorare va bene, avran pensato, ma soffrire inutilmente la
calura per un eccessivo senso della decenza e del decoro, questo no.
Si impone, ora, un breve fuori-programma: come non puntare all’illustre
frazione di Roncaglia, anche se non si trova sul nostro cammino? Oltrepassata
Naguarido, appena prima di Chempo, ci stacchiamo, sulla sinistra, dalla
strada per Caspano, imboccando quella per Poira di Civo. Dopo una breve
salita, eccoci in vista della splendida chiesa prepositurale di S. Giacomo
di Roncaglia di Sopra (m. 895), edificata nel 1654 e consacrata vent’anni
più tardi. Una chiesa splendida, con un sagrato molto ampio, circondato
da 14 cappellette nelle quali sono raffigurate scene della Via Crucis.
Cediamo di nuovo la parola al von Weineck: “Al disopra del Dosso
Visconte, a circa millecinquecento passi da Caspano, sorge il popoloso
villaggio di Roncaglia, in un terreno pianeggiante cui sovrasta una foresta;
al disotto poi di Roncaglia, fra il torrente Tovate e Cermeledo, s’incontrano
sei frazioni: Tovate, Chempo, Naguarido, Sirone, Vallate, Cerido. In questo
territorio si alleva molto bestiame e si produce un genere speciale di
piccoli caci squisiti, i quali sono assai rinomati e si esportano qua
e là anche in paesi lontani. Fra Caspano e Roncaglia corre impetuoso
il torrente Tovate per una forra del monte; e quivi si scava un marmo
eccellente che viene condotto a Morbegno, a Traona e ad altri paesi circonvicini
per adornare porte e finestre; è bello e piacevole
alla vista, ma assai duro da scalpellare. Gli abitanti di Roncaglia, come
i terrieri di Mello, discendono dagli abitatori di Civo, dai quali si
sono separati, venendo a dissodare queste terre e dalla loro opera assunsero
il nome attuale. Roncaglia, infatti, può provenire dal dialettale
roncà (dissodare, liberare il terreno dal pietrame)”.
Torniamo,
ora, alla strada Serone-Caspano, e riprendiamo a salire. Ci si presenta
subito Chempo (808 m., 40 abitanti, ad un chilometro
da Serone), con la secentesca chiesetta di San Carlo. Facile intuire l’origine
del suo nome: dalla voce dialettale “chemp”, che significa
“campo”.
Oltre Chempo, la strada scavalca, su un ponte, il torrente Toate, e ci
porta, alla fine, alle soglie di Caspano (875 m., 225
abitanti, a 2 km da Serone). Scrive di questo borgo in von Weineck: “Il
grande e rinomato borgo di Caspano…situato com’è a
mezza altezza fra Dazio e la parte superiore della montagna, gode di una
larga vista, così verso la Valtellina inferiore come verso la Valtellina
di mezzo; di fronte ha sotto i suoi occhi la ridente piana di Dazio. Questo
luogo era in origine abitato da pastori; ma verso il 1250, quando infierivano
tremende le lotte fra i Guelfi e i Ghibellini, Domenico Paravicini figlio
di Straccia, sopraffatto dal prevalere dei nemici, si rifugiò nella
Valtellina con un servo e con tutto il denaro e i tesori che poteva trasportare,
arrivando su questi monti che a lui non dispiacquero. E poiché
la torre dei Paravicini, sua ordinaria residenza che sorgeva non lungi
da Lecco, durante la sua assenza era stata abbattuta dai Ghibellini milanesi
e tutti i suoi beni erano stati distrutti, si decise a passare la sua
vita quassù, dove, edificandovi un palazzo, diede origine al borgo
di Caspano. Dal suo matrimonio egli ebbe nel 1259 un figliuolo che egli
chiamò Montanaro…da Domenico e Montanaro discendono adunque
i Paravicini
di Caspano, i quali per la benedizione avuta da Dio crebbero a dismisura
di numero, propagandosi quassù ed in altri luoghi, così
in Valtellina che fuori…In Caspano risiede parecchia nobiltà:
alcuni hanno conseguito il dottorato in entrambe le facoltà, altri
sono valenti nella carriera delle armi e nella politica. Durante la stagione
estiva, quando avvampa la canicola, così per questo motivo come
per l’aria corrotta che esala dalle paludi e dagli altri miasmatici
pantani, i paesi giacenti al basso nella pianura ed in altri luoghi soleggiati
cominciano a diventare insalubri. Ma allora la nobiltà e le persone
facoltose si trasferiscono quassù in questi luoghi freschi, particolarmente
a Caspano, dove l’aria è pura e temperata: ivi poi gentiluomini
e gentildonne trascorrono l’estate in svariati onesti passatempi,
divertendosi con concerti musicali e con esercizi sportivi sino all’autunno:
in cui tornano al piano alle loro ordinarie dimore”.
Possiamo integrare
queste notazioni con quanto scrive lo storico Enrico Besta: “A Caspano,
intorno al 1530 presso i Parravicini, Matteo Bandello trova cibi delicati
e vini preziosissimi, tratti dai solatii vigneti di Traona e le grasse
sue novelle allietavano la nobiltà locale e i mercanti grigioni
e svizzeri, nonché i gentiluomini milanesi e comaschi che giovavan
per la loro salute dei Bagni del Masino”.
Entriamo
dal lato occidentale, e ci accoglie il palazzo dei Parravicini, ancora
imponente. Poi, in breve, siamo alla piazza, dove fa splendida mostra
di sé la chiesa arcipretale di S. Bartolomeo, che si staccò
dalla pieve di Ardenno nella prima metà del Trecento e divenne
chiesa prepositurale e collegiata nel 1664. Dal suo porticato, che guarda
a sud, sostenuto da un imponente muraglione, si gode di un panorama davvero
eccellente, soprattutto sulla Val Tartano e la Val Gerola.
Terminata
la visita al paese, infatti, bisogna cominciare a scendere. E sarà
una discesa lunga. Usciamo
dal lato opposto del paese (est), scendendo fino alla strada principale
che corre tangente al paese, a sud, e prosegue per Bedoglio (dal dialettale “bedoia”, betulla), entrando
in Val Masino e scendendo a Cevo. Varrebbe la pena, avendo tempo, visitare
anche questo campanile. Sarà per un’altra volta. Ora imbocchiamo,
invece, la strada che scende verso Dazio, e che attraversa subito un nuovo
borgo, Cadelpicco (m. 796). Ne scrive il von Weineck: “A metà
fra Dazio e Bedoglio vi sono due frazioni; la una si chiama Ca’
del Picco e l’altra Ca’ del Sasso; questa è quasi sull’orlo
della Valmasino, mentre la prima è sulla linea retta fra Dazio
e Bedoglio.” Vi ammiriamo la bella chiesetta dedicata a S. Pietro
apostolo, edificata nel 1697, che domina, dall’alto, le case del
paese.
Scendendo ancora, ci portiamo a Cadelsasso (747 m., 33 abitanti), passando
proprio a lato della chiesetta dedicata a S. Pietro martire, ricostruita
nel Seicento a partire da un nucleo di origine più antica (forse
quattrocentesca). Scendendo ancora, cerchiamo, sulla sinistra, un tratturo
in cemento che si stacca dalla strada ed imbocchiamolo: dopo aver superato
un edificio con cartello indicatore “antico torchio”, ci immergiamo
in un bel bosco di castagni.
Il
tratturo diventa una mulattiera, con fondo discreto, che punta a sinistra
e passa accanto ad un piccolo rudere di baita, nel cui interno si vede
ancora un frammento di dipinto. Superati un secondo rudere di baita ed
una cappelletta, concludiamo la discesa nei pressi della chiesetta di
Regolido (m. 536), piccolo nucleo di case posto sul limite occidentale
della piana di Dazio.
Da
Dazio possiamo quindi scendere direttamente al ponte di Ganda, all'ingresso
di Morbegno, oppure allungare un po' l'itinerario, operando una puntata
a Cerido, piccola località che si raggiunge imboccando il primo
sentiero a destra che si stacca dalla strada che scende da Dazio a Morbegno.
Dopo un tratto in piano nella boscaglia, raggiungiamo le case di Cerido,
dove, nei giorni di giovedì e domenica, dalle ore 15.00 alle 17.00,
è possibile visitare un torchio storico del secolo XVII, posto
in un locale che funge anche da piccolo museo etnografico, ospitando numerose
testimonianze degli strumenti più tipici della vita contadina del
passato.
Torniamo sui nostri passi e, guadagnata
di nuovo la strada per Morbegno, lasciamola ben presto per imboccare,
sulla sinistra, la strada che da Cermeledo (m. 461) scende a Campovico,
terminando proprio sul sagrato della chiesa del paese. Da Campovico incamminiamoci,
infine, verso ovest: giungeremo in breve allo storico ponte di Ganda e,
dopo qualche chilometro, ritroveremo la nostra automobile a Traona, dopo
circa cinque ore di cammino (al netto, ovviamente, delle soste).
Per proseguire in questo viaggio,
aprila la presentazione della seconda tappa,
che porta al Culmine di Dazio.
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
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