- GALLERIA DI IMMAGINI - CARTE DEL PERCORSO


Apri qui una panoramica sulla Val Tartano dalla bocchetta di Cogola

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
GIORNATA UNICA: La Pila-Arale -Val Dordonella-Passo di Dordonella-Baita Vallocci Alta-Valle della Matta-Val Boninvento-Valle e bocchetta di Cogola-Casera del Gerlo-La Pila
10 h
1700
EE
PRIMA GIORNATA: La Pila-Arale -Val Dordonella-Passo di Dordonella-Baita Vallocci Alta-Rifugio Casera di Dordona
5 h
1110
E
SECONDA GIORNATA: Rifugio Casera di Dordona-Baita Vallocci Alta-Valle della Matta-Val Boninvento-Valle e bocchetta di Cogola-Casera del Gerlo-La Pila
5-6 h
700
EE
SINTESI. Percorrendo la ss 38, dopo il viadotto sul Tartano la lasciamo per prendere a destra (per chi proviene da Milano) e poco dopo ancora a destra, imboccando la strada che dopo 12 tornanti raggiunge Campo Tartano. Proseguiamo fino a Tartano e qui imbocchiamo la strada asfaltata e poi la pista che percorre la Val Lunga, fino alla galleria paravalamghe, subito dopo la quale parcheggiamo allo slargo della località Pila (m. 1280). Ci mettiamo in cammino, portandoci appena oltre l’ultima casa, dove vediamo un breve vialetto con fondo in erba, delimitato da una staccionata in legno, che introduce ad un sentierino il quale volge a sinistra e sale alle spalle delle case, sui ripidi prati del versante orientale della Val Lunga. Dopo una serie di svolte a destra ed a sinistra, il sentiero, acciottolato, porta alle baite del Costo (m. 1310). Il sentiero volge a destra e, superata una valletta, sale alle vicine baite del Basìsc’ (m. 1315). Procediamo verso nord sul sentierino che confluisce in una pista sterrata, ed in breve, superata una valletta, raggiungiamo il Dosso dei Principi, o dei Turchi (Dos di Prinzep, m. 1432). Riprendiamo la camminata verso nord, quasi in piano e, traversata una nuova valletta, giungiamo alla chiesa di S. Antonio, nell’antica contrada di Sparavera (oggi più frequentemente denominata S. Antonio, m. 1443). Ci rimettiamo in cammino, sulla pista sterrata che ci porta alle Tegge (m. 1425) ed a Pra di Ules (m. 1490). Oltrepassato il torrente Cuminello siamo ad Arale (m. 1485), dove si trovano i due rifugi Beniamino e Il Pirata. Procediamo sulla pista verso nord, portandoci alla località Cesura e seguiamo la pista fino al punto nel quale volge a destra e comincia a scendere verso il fondovalle., e qui la lasciamo per immetterci, procedendo diritti, sul sentiero che procede in direzione sud-sud-est. Dopo tre strappi severi alternati a tratti meno aspri, raggiunge il ponticello in cemento che scavalca il torrente che scende dalla val Dordonella. Non ci portiamo al ponte, ma un buon tratto prima, nel punto in cui il sentiero volge leggermente a sinistra e si interrompe un muretto alla nostra sinistra, sul limite basso dei prati, cerchiamo a monte la partenza di una traccia che risale i prati con un breve tratto a destra ed una diagonale a sinistra, e portando alle due baite di quota 1699 (se non troviamo la traccia, possiamo ugualmente salire, senza troppa difficoltà, a vista). Lasciamo, dunque il sentiero per la casera di Porcile ed imbocchiamo questo sentierino, che ci porterà in val Dordonella. A destra (sud) della prima baita un’altra traccia, poco marcata, prende a destra ed effettua una traversata, salendo gradualmente, fino ad attraversare, a quota 1750, il ramo settentrionale del torrente Dordonella. Sul lato opposto, piega a sinistra, risale per un tratto il dosso, fino ad intercettare un sentiero più marcato che proviene da sinistra. Lo seguiamo verso destra ed attraversiamo il ramo meridionale del torrente Dordonella, a 1800 metri circa, poco a monte rispetto ad un curioso panettone roccioso, iniziando, poi, ad inanellare una serrata serie di tornanti, che risalgono un versante dominato da ontani. La traccia è sempre visibile, ma putroppo in diversi tratti assai sporca: ontani invadenti la nascondono, l'erba la colonizza. Ai tornanti segue una diagonale verso destra, che ci porta nei pressi del roccioso fianco meridionale della valle, ed una nuova svolta a sinistra. Dopo qualche tornante, raggiungiamo una zona battuta da slavine, e qui la traccia diventa assai incerta, ed in alcuni tratti quasi indistinguibile; non ci sono, però, problemi, perché, quando gli ontani si aprono un po', vediamo, più o meno sulla nostra verticale, la casera più bassa di Dordona (m. 1989), che possiamo raggiungere anche salendo a vista (ma dobbiamo ben memorizzare il percorso per la discesa). Dobbiamo salire alla casera di quota 2071, a nord-est della prima (si tratta di un bel baitone che vediamo in alto a sinistra): anche in questo caso se perdiamo la traccia (cosa non difficile, dal momento che è visibile solo a tratti), possiamo salire a vista, in diagonale, puntando al baitone e cercando di non stare troppo bassi. Per raggiungerlo dobbiamo superare il vallone scavato dal ramo meridionale del torrente Dordonella, che il sentiero riattraversa, da destra a sinistra, in un tratto in cui è ben visibile e sostenuto da un muretto a secco; il problema, però, è arrivare al guado, perché prima la traccia non è sempre visibile e, nel punto in cui aggira il modesto dosso prima del vallone, è ben nascosta da una fascia di antipaticissimi ontani. Oltre il vallone, la traccia ci lascia di nuovo, ma, dopo aver piegato a destra e risalito senza difficoltà un dosso erboso (da studiare in funzione della discesa), siamo, alfine, al bel baitone (m. 2071). La traccia prosegue verso sinistra (nord), passando per la baita superiore. Salendo ancora ci affacciamo al gradino di soglia dell’alta valle, puntando ad un grande ometto. Ci affacciamo così al gradino di soglia dell’alta valle, dove, proseguendo verso nord-est (leggermente a destra), guadiamo il torrente Dordonella, attraversiamo un bàrek (il recinto di bassi muretti in pietra costruito per contenere il bestiame dopo il pascolo) utilizzando gli zapèl (porte, aperture nel muretto) e ci portiamo alla baita della Cima, che è posta proprio sotto la verticale della cima Vallocci. Volgiamo ora a destra (sud-est), attraversando un ampio recinto delimitato da bassi muretti a secco, per poi proseguire, su traccia, verso il fondo della valle (nella sua parte centrale), sempre rimanendo a sinistra del torrente. In prossimità dell’attacco del facile versante sotto il passo la traccia si fa più evidente e porta, con alcuni tornanti, ai 2316 metri del passo di Dordonella. Dal passo dominiamo l’intera alta Val Madre, con il passo di Dordona alla nostra destra. Scendiamo prendendo leggermente a sinistra (nord-est), su debole traccia, passando per il rudere di quota 2225 m. e raggiungendo la baita di Vallocci alta (m. 2057). Da qui possiamo scendere facilmente verso destra e raggiungere il rifugio Casera di Dordona, aperto d'estate, se vogliamo dividere in due giornate la traversata. Dalla baita di Vallocci Alta inizia la parte più difficile della traversata, non per la presenza di passaggi delicati o esposti, ma per la necessità di prestare attenzione a non perdere la traccia. Proseguiamo diritti, verso nord, seguendo il sentierino che taglia il versante che scende ad est della cima Vallocci, segnato da tre valloncelli. Sempre prestando attenzione a non perdere la traccia, discontinua, ci affacciamo all’alta Valle della Matta, il cui nome non rimanda allo squilibrio mentale, ma probabilmente agli ometti che vi si trovano (chiamati anche “matt”). Il sentierino passa a valle del rudere quotato 2095 metri e tocca il rudere quotato 2059 metri, mentre a sinistra la valle è dominata dalla rocciosa cima quotata 2487 metri, scendendo poi ad intercettare un sentiero più basso e marcato (possiamo utilizzare anche questo, intercettandolo scendendo verso nord-est dalla baita Vallocci Alta), che si porta al costone roccioso che separa la Valle della Matta dalla Valle di Boninvento. Tagliato il costone, ci affacciamo alla Valle di Boninvento, ad una quota di circa 2000 metri. Il sentiero scende verso nord, passa per la baita isolata di quota 1998, attraversa una valletta, tocca la baita isolata di quota 1943, supera una seconda valletta e raggiunge la casera di Boninvento, a quota 1821 metri. Qui ignoriamo il sentiero che scende verso destra, portandosi al fondovalle, e proseguiamo diritti, verso nord, superando il torrente principale della valle. Pieghiamo quindi leggermente a destra e scendiamo alla baita di quota 1772, proseguendo verso nord-est, in direzione del margine superiore del bosco. Superato un vallone raggiungiamo la baita Palà (m. 1764), sulla parte alta della valle omonima. Dalla baita proseguiamo piegando decisamente a sinistra (ovest-nord-ovest) e traversando quasi in piano, fino ad attraversare il vallone terminale della Valle Palà. Ci affacciamo così alla parte mediana della Val Cògola ed aggirato un dosso, verso ovest, vediamo davanti a noi la casera di Cogola (m. 1795). Non procediamo però sul sentiero principale che scende alla casera ma pieghiamo decisamente a sinistra, salendo verso ovest ed iniziando la lunga salita che porta alla bocchetta di Cogola. Passiamo così per le baite isolate di quota 1900 e 2029. Alla seconda baita pieghiamo leggermente a destra, seguendo il sentiero che scavalca un vallone e si approssima ad uno sperone che divide in due rami la parte alta della Val Cogola. Il sentiero attraversa una noiosa fascia di ontani e taglia lo sperone, traversando in piano sul lato opposto. Uscito dalla selva di ontani, il sentiero procede quasi in piano verso nord. Dobbiamo prestare attenzione ad una deviazione che prende a sinistra ed attraversa una nuova fascia di ontani, uscendone in vista della testata della valle. Seguiamo ora il sentiero che per un buon tratto sale ripido verso ovest, fino ad un grande ometto. Qui piega a destra e comincia a traversare verso nord il circo terminale della valle, fra massi e radi pascoli, con quale saliscendi, fino a raggiungere la base del ripido canalino che adduce alla bocchetta Cogola. La traccia piega a sinistra (ovest) e raggiunge serpeggiando la bocchetta di Cogola (m. 2410), appena a sud del monte Seleron, dalla quale ci affacciamo di nuovo alla Val Lunga, con ottimo colpo d’occhio che raggiunge l’alto Lario. È questo il punto più alto della traversata e da qui inizia la lunga e diretta discesa che riporta alla Pila. Scendiamo su un largo e tranquillo canalone erboso, verso ovest-nord-ovest, tendendo leggermente a destra e giungendo in vista delle baita di quota 2112, nella parte alta dell’alpe Canale. Qui seguiamo il sentiero che prende a destra (nord) e traversa al crinale che separa l’alpe Canale dall’alpe del Gerlo, raggiungendone il filo in corrispondenza di un grande ometto, per poi scendere alla baita di quota 2112 metri. Iniziamo da qui la discesa in diagonale, verso destra (ovest) dell’ampia alpe del Gerlo. Lasciamo alla nostra destra, ad una certa distanza, il baitone dell’alpe, portandoci al caratteristico doppio terzetto sfalsato delle baite della Casera del Gerlo (m. 1897). Qui ignoriamo il sentiero che va a destra e traversa all’alpe Torrenzuolo e scendiamo verso sinistra, tagliando una fascia di radi larici e portandoci presso la parte alta di una fascia di prati. Il sentiero, molto marcato, resta basso, alla sua destra, e scende diritto fino alla sua parte bassa, proseguendo poi con qualche serpentina fra larici ed ontani, prima di prendere a destra ed attraversare il torrente del Gerlo. La discesa prosegue sul lato opposto, con rapide serpentine, fino ad uscire dalla selva alla parte alta dei prati a monte della Pila. Ignorata una deviazione a sinistra, scendiamo diretti, con pochi tornanti, fino ad intercettare la pista di Val Lunga appena prima della galleria paravalanghe della Pila. Sul lato opposto della galleria recuperiamo l’automobile.


Apri qui una fotomappa della salita al passo di Dordonella

Una lunga e bellissima traversata, effettuabile in una singola giornata da grandi camminatori, in due da camminatori medi, con appoggio estivo al rifugio Casera di Dordona, è quella che disegna un anello fra versante orientale della Val Lunga (Val di Tartano) e versante occidentale della Val Madre, con punto di partenza ed arrivo in località Pila, sulla pista di Val Lunga.


Pra di Ules e Arale

Per raggiungere il punto di partenza dobbiamo salire in Val Tartano, staccandoci dalla ss 38 dello Stelvio sulla destra, per chi proviene da Milano, dopo il viadotto del Tartano. Imbocchiamo così la Pedemontana orobica ma la lasciamo quasi subito prendendo a destra e salendo lungo la provinciale della Val Tartano, che dopo 12 tornanti ci porta a Campo Tartano. Proseguiamo fino a Tartano e qui prendiamo a sinistra la strada di Val Lunga. Dopo l'asfalto c'è un tratto in cemento, cui segue l'ultimo pezzo con fondo in ghiaia. Superata una breve galleria paravalanghe, troviamo su entrambi i lati della pista uno slargo, in località Pila.


Costo e Basisc'

Parcheggiamo qui l’automobile, ad una quota approssimativa di 1280 metri. Sul lato di sinistra ci sono alcune case, con una targa commemorativa delle 5 vittime dell’alluvione della notte fra 27 e 28 settembre del 1885. Vi leggiamo: “In questa casa cercarono scampo Amalia e Carolina prima di essere travolte, con la sorella Caterina, la mamma Maria Bulanti e la cognata Luigia Mainetti, dalle acque furenti del Tartano la notte dal 27 al 28 settembre 1885. I Tartanesi memori di tanta sventura la tramandano ai posteri nel primo centenario. Pila di Tartano 27-9-1985”. Purtroppo due anni dopo la data di collocazione della targa la tragica alluvione del 1987 colpì ancora duramente la valle, alle porte di Tartano, mietendo numerose vittime ospitate dall’albergo La Gran Baita. Il Tartano ora scorre alle nostre spalle, e difficilmente si può immaginarlo tanto potente e furioso da travolgere una casa sul lato opposto del fondovalle. Ma, come tutti i fiumi di una certa portata, quando si “veste a festa” e fa la voce grossa costringe l’uomo a misurare tutta la propria impotenza.


Dosso dei Principi

Accompagnati da questi mesti pensieri ci mettiamo in cammino, portandoci appena oltre l’ultima casa, dove vediamo un breve vialetto con fondo in erba, delimitato da una staccionata in legno, che introduce ad un sentierino il quale volge a sinistra e sale alle spalle delle case, sui ripidi prati del versante orientale della Val Lunga. Dopo una serie di svolte a destra ed a sinistra, il sentiero, acciottolato, porta alle baite del primo nucleo toccato dalla passeggiata, il Costo (m. 1310). Il sentiero volge a destra e, superata una valletta, sale alle vicine baite del Basìsc’ (m. 1315), il secondo nucleo di mezza costa, dove ci accoglie una fontana coperta ricavata in un tronco cavo. Da qui il panorama sia verso il fondo della Val Lunga, con il passo di Porcile, il monte Valegino ed il passo di Tartano, che in direzione opposta, verso nord (Val Tartano con il Culmine di campo e, sul fondo, la cima del Desenigo nel gruppo del Masino) è già molto suggestivo.


Dosso dei Principi

Procediamo verso nord sul sentierino che confluisce in una pista sterrata, ed in breve, superata una valletta, raggiungiamo un ripiano, inatteso su un versante caratterizzato da una ripidità che pare una sfida alla gravità newtoniana. Dosso dei Principi, o dei Turchi (Dos di Prinzep, m. 1432), così veniva chiamato (oggi viene semplicemente identificato con il Dosso). Non stupisce il dosso, ma Principi e Turchi sembrano centrare poco con questi ameni prati e con le baite che si trovano a monte ed a valle della pista. Che ci sia una vaga allusione all’amenità del luogo che forse poteva indurre a qualche concessione edonistica di troppo? Vero è che il soprannome degli abitanti della frazione era “Tetuu”, che vale “grandi bevitori”. Fra le famiglie che lo abitavano in passato gli archivi hanno conservato i nomi di Laurenzo de Bulanti del Fondrino (1503), Giovanni e Camino del Fondrino, Francesco detto Turco (1556), Turco Battista (1614), Turco Matteo (1556), Carlo Laurenzi (1580), Brisa Giò Antonio (1558) e Giò Pietro Turco (1670). I Turchi, quindi, c’erano davvero.


Sant'Antonio

Riprendiamo la camminata verso nord, quasi in piano e, traversata una nuova valletta, giungiamo all’epicentro di questo collage di contrade, annunciato dal campanile della chiesa di S. Antonio, l’antica Sparavera (oggi più frequentemente denominata S. Antonio, m. 1443). Sparavera è nome intrigante, riconducibile al milanese “sparavée”, cioè “sparviero”. Esiste anche, nei luoghi più remoti a monte di Prata Camportaccio, in Val Chiavenna, un’alpe Sparavera. Qui, in Val Lunga, sono rimaste tracce ed attestazioni dell’antico legame con il versante orobico bergamasco, cioè con Foppolo e Cambrembo. L’origine stessa dei fondatori di diverse contrade di Val Lunga era bergamasca. La forma di alcuni portali e finestre tradisce un influsso veneziano (in età moderna Bergamo e le sue valli appartenevano alla Serenissima Repubblica di Venezia), ed alcuni documenti nell’archivio parrocchiale parrebbero dimostrare la dipendenza della chiesa dei Santi Giovanni ed Antonio dalla parrocchia di Valleve Bergamasco.


Sant'Antonio

Questa chiesetta è, poi, una delle più pittoresche del versante orobico, posta com’è su un poggio panoramico che domina l’intera Val Lunga. Vi passò anche San Luigi Guanella, il quale scrisse, il 29 settembre 1885: “A sublime altezza, in Vallunga, è con ossario, la Chiesa di S. Antonio che fu il primo tempio parrocchiale un dì di Tartano perché è tradizione che i Bergamaschi venissero i primi a scavar, fra questi monti, il ferro ed a fissarvi poi residenza benevola”. Il vescovo Feliciano Ninguarda, nel resoconto della sua visita pastorale del 1589, scrive: “A un miglio e mezzo oltre Tartano c’è Sparavera con poche famiglie. Qui c’è un’altra chiesa dedicata a S. Antonio Abate con il battistero in disuso così che bisogna asportarlo. Al di là di questa chiesa vi è il monte che divide la regione dal territorio di Bergamo.” Ed in effetti guardando a sud i due principali passi verso la bergamasca, di Porcile e di Tartano, si distinguono facilmente. Vicino alla chiesa alcune baite mostrano la tipica struttura con parte superiore, adibita a fienile, lignea ed inferiore, adibita a stalla, in muratura. I tronchi della parte lignea, poi, sono incastrati negli angoli con la tecnica del block-bau o cardana, importata in Valtellina dai Walser. Questo tipo di baite, abbastanza comuni in alta Valtellina ed in Valle Spluga, sono invece sul versante retico ed orobico quasi del tutto assenti, eccezion fatta, appunto, per la Val Tartano. Troviamo qui anche alcuni esempi ben conservati di ballatoi in legno. Un lavatoio coperto in cemento (che ha sostituito quello precedente probabilmente in pietra) resta come muto testimone di un’antica vita di comunità che oggi rivive parzialmente nei mesi estivi, quando le case rammodernate diventano sede di una gradevole villeggiatura.


Tegge

Ci rimettiamo in cammino, sulla pista sterrata che ci porta alle Tegge (m. 1425), dove su una baita troviamo un dipinto che raffigura la Beata Vergine del Carmine con a sinistra San Francesco ed a destra San Luigi. Un teschio ai piedi di San Francesco ci ammonisce sulla brevità e fragilità della vita umana. La scritta in alto attesta che il dipinto fu commissionato da Gusmeroli Luigi e dal fratello Francesco (il che spiega la scelta dei santi). Anche qui troviamo una baita costruita con la tecnica della cardana.
La pista, che ora ha fondo in cemento, prosegue verso l’interno della valle e porta ai nuclei vicini di Pra di Ules (m. 1490) e di Arale (m. 1485), posti allo sbocco della Val Comunello o Cuminello. Su una baita ristrutturata di Pra di Ules troviamo un secondo dipinto, che raffigura una Sacra Famiglia circondata da due santi. Superato il torrente Cuminello, siamo alle belle baite di Arale, che conservano l’antica struttura della base in muratura e della parte rialzata parzialmente in legno. Qui troviamo il tradizionale rifugio Beniamino, riconoscibile per la caratteristica facciata a diedro, ed il nuovo rifugio Il Pirata.


Arale

Procediamo sulla pista verso nord, portandoci alla località Cesura, il cui nome segnala che qui termina la media valle ed inizia l’alta. Lasciamo alle spalle una cappelletta e seguiamo la pista fino al punto nel quale volge a destra e comincia a scendere verso il fondovalle. Qui la lasciamo per proseguire diritti ed i mmetterci sul sentiero che, procedendo in direzione sud-sud-est, porta alla casera ed ai laghetti di Porcile (si tratta del "sentér de la Crus de Purscìl").
Dopo un primo tratto in un bosco di larici, il sentiero prosegue all’aperto, diritto, sul fianco orientale della valle: i segnavia sono pochi, e sono quelli “storici” rosso-giallo-rossi. Alla nostra destra il pannello del Parco delle Orobie Valtellinesi ed un tavolo in legno con panche per una sosta amena. Ci attende il primo di tre strappi piuttosto severi, al termine del quale un tratto quasi pianeggiante supera un modesto corso d'acqua. Al termine del secondo strappo troviamo, sulla nostra sinistra, una vasca di cemento per la raccolta dell'acqua. Nel successivo tratto con pendenza assai più dolce superiamo un secondo modesto corso d'acqua. Poi il terzo strappo, al termine del quale attraversiamo una brevissima macchia di larici, uscendo in vista della cascata del torrente Tartano, più in alto, di fronte a noi. Alla nostra sinistra, invece, una lunga e ripida fascia di prati con alcune baite, mentre sulla destra, più in basso, vediamo la baita chiamata Bianca. Guardando a sinistra, infine, vediamo, alte su una ripida fascia di prati, due baite quotate 1699 metri. Fra queste due baite ed il ponte, nel punto in cui il sentiero volge leggermente a sinistra e si interrompe un muretto alla nostra sinistra, sul limite basso dei prati, possiamo individuare, con un po’ di attenzione, la partenza di una traccia che se ne stacca sulla sinistra, risalendo i prati con un breve tratto a destra ed una diagonale a sinistra, e portando alle due baite di quota 1699 (se non troviamo la traccia, possiamo ugualmente salire, senza troppa difficoltà, a vista).
Lasciamo, dunque il sentiero per la casera di Porcile ed imbocchiamo questo sentierino, che ci porterà in val Dordonella. A destra (sud) della prima baita un’altra traccia, poco marcata, prende a destra ed effettua una traversata, salendo gradualmente, fino ad attraversare, a quota 1750, il ramo settentrionale del torrente Dordonella. Sul lato opposto, piega a sinistra, risale per un tratto il dosso, fino ad intercettare un sentiero più marcato che proviene da sinistra (dalle baite della Corna, m. 1785, a monte delle due baite di quota 1699: volendo, possiamo anche scegliere, quindi, di salire, per prati, a vista, dalle due baite a quelle della Corna, stando a sinistra di una macchia di larici, per poi imboccare questo sentiero che parte sul loro lato di destra). Il sentiero procede verso destra e ci porta ad attraversare il ramo meridionale del torrente Dordonella, a 1800 metri circa, poco a monte rispetto ad un curioso panettone roccioso, iniziando, poi, ad inanellare una serrata serie di tornanti, che risalgono un versante dominato da ontani. La traccia è sempre visibile, ma putroppo in diversi tratti, al momento (agosto 2008) assai sporca: ontani invadenti la nascondono, l'erba la colonizza. La speranza è che si proceda alla sua pulitura, perché la val Dordonella è fra gli angoli più belli ed escursionisticamente più interessanti della Val Tartano.


Cima Vallocci ed alta Val Dordonella

Ai tornanti segue una diagonale verso destra, che ci porta nei pressi del roccioso fianco meridionale della valle, ed una nuova svolta a sinistra. Davanti a noi, in alto, la rocciosa e caratteristica cima di Val Lunga, mentre sulla destra, in fondo alla Val Lunga, distinguiamo facilmente la larga sella del passo di Tartano, sorvegliato dalla grande croce.
Dopo qualche tornante, raggiungiamo una zona battuta da slavine, e qui la traccia diventa assai incerta, ed in alcuni tratti quasi indistinguibile; non ci sono, però, problemi, perché, quando gli ontani si aprono un po', vediamo, più o meno sulla nostra verticale, la casera più bassa di Dordona (m. 1989), che possiamo raggiungere anche salendo a vista. Il problema, casomai, è nella discesa, perché solo qualche ometto aiuta, mentre la fascia di ontani è piuttosto disorientante (un tempo vi erano segnavia rosso-bianco-rossi, ora pressoché scomparsi). E', quindi, opportuno studiare bene la zona, nella salita; alla peggio, si può poi scendere a vista, con un po' di fatica, fra gli ontani, restando poco a sinistra di una macchia di larici, fino ad intercettare il sentiero nella diagonale sopra descritta.
La casera più bassa (alla cui sinistra è posta una baita più piccola) è circondata da una fascia di rigogliosi "lavàz", piante di romice o rabarbaro alpino, caratteristiche di molti alpeggi, perché prosperano nei terreni molto grassi, quindi concimati dalle mucche (intorno alle baite e nei "grass" dove alloggia la malga). La presenza delle piante testimonia che l'alpeggio era molto utilizzato, in passato; ora vi regna la solitudine. Un tempo le loro foglie erano molto apprezzate, perché il gambo è succoso e dolce, e con le foglie molto giovani e tenere si cucinava anche una minestra, la "menéstra cui lavazìi"; venivano, poi, utilizzate per avvolgere burro, mascarpa e stracchini. Possiamo ricordare un modo di dire riportato ne Dizionario dei dialetti della Val Tartano di Giovanni Bianchini: "diventà cumè na lavàza", cioè "diventare come una foglia di romice", in seguito ad uno spavento, vale a dire afflosciarsi, quasi, al limite dello svenimento.
a questo punto non possiamo, però, proseguire nel racconto dell'escursione senza prima presentare gli elementi di base per capire cos’è e come funziona un alpeggio. Ci aiuta Dario Benetti, nell’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota” (in “Sondrio e il suo territorio”, edito da IntesaBci nel 2001), nel quale descrive la struttura e l’organizzazione tipica degli alpeggi orobici nell’area del Bitto (dalla Val Lesina, ad ovest, alla valle del Livrio, ad est): “Gli alpeggi di questa zona, anche quelli comunali, erano prevalentemente dati in affitto a comunità di pastori. A tale tipo di gestione corrisponde una struttura architettonica ben precisa: il pascolo d’alpeggio è suddiviso in bàrech, un reticolo di muretti a secco, più o meno regolare, che delimita “il pasto” di una giornata di malga. Questa suddivisione permette di sfruttare razionalmente il pascolo. Il pascolo non è infatti ricco e, se il bestiame fosse lasciato libero, finirebbe con l’esaurirsi anzitempo. In ogni alpeggio il bestiame si sposta dunque quotidianamente da un bàrech all’altro, restando prevalentemente all’aperto (in pochi alpeggi sono previsti stalloni – baitùu – o tettoie aperte per il ricovero notturno o in caso di brutto tempo).


Val Dordonella

Numerose baite sono collocate sull’alpeggio in corrispondenza dei principali spostamenti. Al centro dell’alpeggio c’è la caséra, la costruzione dove si depositano i formaggi e le ricotte per la salatura e la conservazione temporanea… La necessità di sorvegliare il bestiame durante il pascolo di notte, lontano dalla baita dei pastori, era risolta con una particolare forma di ricovero temporaneo, il bàit. Si tratta di un rifugio trasportabile in legno con copertura inclinata rivestita, negli esempi più recenti, in uso fino a qualche anno or sono, in lamiera. Il bàit era diffuso in val Tartano e nelle valli del Bitto e del Lesina; a volte era a due posti. Nella parete laterale è ricavata una apertura trapezoidale per l’accesso con sportellino in legno, mentre in testata sono ricavati due fori per l’aria e per infilarvi due lunghi bastoni per il trasporto a spalla da una sede all’altra. Caratteristico delle valli del Bitto e Lesina, ma presente in passato anche in val Tartano, è il caléc. Esso era utilizzato nel caso in cui la permanenza dei pastori in una certa parte dell’alpeggio superava i 5-6 giorni. Questa struttura consiste essenzialmente nei quattro muri perimetrali e in una apertura a valle per l’accesso. La copertura veniva realizzata di volta in volta con elementi provvisori, per esempio una struttura in legno e un telo. La distribuzione interna degli spazi è simile a quella della baita in muratura, con il paiér (il focolare), il supporto girevole in legno per la culdèra e un ripiano sul quale si poggiavano i formaggi ad asciugare. In alcuni alpeggi, infine, è presente il baituu, una grande stalla per il ricovero delle mucche in caso di maltempo. Si tratta di una costruzione molto allungata (20-30 metri) a un solo piano, con muratura in pietrame a secco e tetto a due falde con manto di copertura in piode selvatiche (se il fronte verso valle è aperto la costruzione prende il nome di tecia)… I baituu ospitavano fino a 90 capi di bestiame. All’interno, in un soppalco ricavato nelle capriate del tetto alloggiavano due pastori.
Bene: è tempo di riprendere il cammino in direzione della casera di quota 2071, a nord-est della prima (si tratta di un bel baitone che vediamo in alto a sinistra): anche in questo caso se perdiamo la traccia (cosa non difficile, dal momento che è visibile solo a tratti), possiamo salire a vista, in diagonale, puntando al baitone e cercando di non stare troppo bassi. Per raggiungerlo dobbiamo superare il vallone scavato dal ramo meridionale del torrente Dordonella, che il sentiero riattraversa, da destra a sinistra, in un tratto in cui è ben visibile e sostenuto da un muretto a secco; il problema, però, è arrivare al guado, perché prima la traccia non è sempre visibile e, nel punto in cui aggira il modesto dosso prima del vallone, è ben nascosta da una fascia di antipaticissimi ontani. Comunque, con un po' di pazienza veniamo a capo anche di questa difficoltà. Oltre il vallone, la traccia ci lascia di nuovo, ma, dopo aver piegato a destra e risalito senza difficoltà un dosso erboso (da studiare anch'esso in funzione della discesa), siamo, alfine, al bel baitone, anch'esso preceduto da una fascia di rigogliosi "lavàz". Alle sue spalle, più o meno sulla sua verticale, si vedono una baita isolata e la cima Vallocci, che da qui mostra un profilo piuttosto sfuggente.
La traccia prosegue verso sinistra (nord) e riattraversa anche il ramo settentrionale del torrente Dordonella, piegando poi a destra e portando alla baita della Cima (m. 2175); possiamo anche accorciare la salita risalendo direttamente il dosso erboso a monte del baitone, superando la baita isolata sopra menzionata ed affacciandoci al gradino di soglia dell’alta valle, dove, proseguendo verso nord-est, guadiamo il torrente Dordonella, attraversiamo un bàrek (il recinto di bassi muretti in pietra costruito per contenere il bestiame dopo il pascolo) utilizzando gli zapèl (porte, aperture nel muretto) e ci portiamo alla baita della Cima, che è posta proprio sotto la verticale della cima Vallocci.
Di fronte a noi, dunque, l’ampio e ripido versante sud-occidentale della cima, che potrebbe essere affrontato, anche se con fatica, fin quasi sotto la cima, dove si deve piegare a destra per portarsi sul crinale meridionale. Più comodo e meno faticoso, anche se più lungo, è però il percorso che passa per il passo di Dordonella, posto sulla depressione che chiude ad est la valle.


Prima Baita in Val Dordonella

Per raggiungere il passo dalla baita della Cima dobbiamo volgere a destra (sud-est), attraversando un ampio recinto delimitato da bassi muretti a secco, per poi proseguire, su traccia, verso il fondo della valle, sempre rimanendo a sinistra del torrente. In prossimità dell’attacco del facile versante sotto il passo la traccia si fa più evidente e porta, con alcuni tornanti, ai 2316 metri del passo di Dordonella. Dal passo si apre l’ampio scenario dell’alta Valmadre, con il passo di Dordona (m. 2061), cui giunge una sterrata che prosegue scendendo a Foppolo.
Dal passo dominiamo l’intera alta Val Madre, con il passo di Dordona alla nostra destra. Scendiamo prendendo leggermente a sinistra (nord-est), su debole traccia, passando per il rudere di quota 2225 m. e raggiungendo la baita di Vallocci alta (m. 2057). Da qui possiamo scendere facilmente verso destra e raggiungere il rifugio Casera di Dordona (m. 1930), aperto d'estate, se vogliamo dividere in due giornate la traversata.


Passo di Dordonella

Dalla baita di Vallocci Alta inizia la parte più difficile della traversata, non per la presenza di passaggi delicati o esposti, ma per la necessità di prestare attenzione a non perdere la traccia. Proseguiamo diritti, verso nord, seguendo il sentierino che taglia il versante che scende ad est della cima Vallocci, segnato da tre valloncelli. Sempre prestando attenzione a non perdere la traccia, discontinua, ci affacciamo all’alta Valle della Matta, il cui nome non rimanda allo squilibrio mentale, ma probabilmente agli ometti che vi si trovano (chiamati anche “matt”). Il sentierino passa a valle del rudere quotato 2095 metri e tocca il rudere quotato 2059 metri, mentre a sinistra la valle è dominata dalla rocciosa cima quotata 2487 metri, scendendo poi ad intercettare un sentiero più basso e marcato (possiamo utilizzare anche questo, intercettandolo scendendo verso nord-est dalla baita Vallocci Alta), che si porta al costone roccioso che separa la Valle della Matta dalla Valle di Boninvento.


Discesa in Val Madre dal passo di Dordonella

Tagliato il costone, ci affacciamo alla Valle di Boninvento, ad una quota di circa 2000 metri. Il sentiero scende verso nord, passa per la baita isolata di quota 1998, attraversa una valletta, tocca la baita isolata di quota 1943, supera una seconda valletta e raggiunge la casera di Boninvento, a quota 1821 metri. Qui ignoriamo il sentiero che scende verso destra, portandosi al fondovalle, e proseguiamo diritti, verso nord, superando il torrente principale della valle. Pieghiamo quindi leggermente a destra e scendiamo alla baita di quota 1772, proseguendo verso nord-est, in direzione del margine superiore del bosco. Superato un vallone raggiungiamo la baita Palà (m. 1764), sulla parte alta della valle omonima. Dalla baita proseguiamo piegando decisamente a sinistra (ovest-nord-ovest) e traversando quasi in piano, fino ad attraversare il vallone terminale della Valle Palà. Ci affacciamo così alla parte mediana della Val Cògola ed aggirato un dosso, verso ovest, vediamo davanti a noi la casera di Cogola (m. 1795).


La Casera di Cogola

La Casera di Cogola vista dal sentiero per la bocchetta del Pizzolo

Non procediamo però sul sentiero principale che scende alla casera ma pieghiamo decisamente a sinistra, salendo verso ovest ed iniziando la lunga salita che porta alla bocchetta di Cogola. Passiamo così per le baite isolate di quota 1900 e 2029. Alla seconda baita pieghiamo leggermente a destra, seguendo il sentiero che scavalca un vallone e si approssima ad uno sperone che divide in due rami la parte alta della Val Cogola. Il sentiero attraversa una noiosa fascia di ontani e taglia lo sperone, traversando in piano sul lato opposto. Uscito dalla selva di ontani, il sentiero procede quasi in piano verso nord. Dobbiamo prestare attenzione ad una deviazione che prende a sinistra ed attraversa una nuova fascia di ontani, uscendone in vista della testata della valle.


Bocchetta di Cogola

Seguiamo ora il sentiero che per un buon tratto sale ripido verso ovest, fino ad un grande ometto. Qui piega a destra e comincia a traversare verso nord il circo terminale della valle, fra massi e radi pascoli, con quale saliscendi, fino a raggiungere la base del ripido canalino che adduce alla bocchetta Cogola. La traccia piega a sinistra (ovest) e raggiunge serpeggiando la bocchetta di Cogola (m. 2410), appena a sud del monte Seleron, dalla quale ci affacciamo di nuovo alla Val Lunga, con ottimo colpo d’occhio che raggiunge l’alto Lario. Ma il panorama più bello è quello verso est, e mostra uno splendido spaccato delle cime della catena orobica centrale. È questo il punto più alto della traversata e da qui inizia la lunga e diretta discesa che riporta alla Pila.


Panorama orientale della bocchetta di Cogola

Scendiamo su un largo e tranquillo canalone erboso, verso ovest-nord-ovest, tendendo leggermente a destra e giungendo in vista delle baita di quota 2112, nella parte alta dell’alpe Canale. Qui seguiamo il sentiero che prende a destra (nord) e traversa al crinale che separa l’alpe Canale dall’alpe del Gerlo, raggiungendone il filo in corrispondenza di un grande ometto, per poi scendere alla baita di quota 2112 metri. Iniziamo da qui la discesa in diagonale, verso destra (ovest) dell’ampia alpe del Gerlo. Lasciamo alla nostra destra, ad una certa distanza, il baitone dell’alpe, portandoci al caratteristico doppio terzetto sfalsato delle baite della Casera del Gerlo (m. 1897).


Apri qui una fotomappa della salita alla bocchetta di Cogola

Qui ignoriamo il sentiero che va a destra e traversa all’alpe Torrenzuolo e scendiamo verso sinistra, tagliando una fascia di radi larici e portandoci presso la parte alta di una fascia di prati. Il sentiero, molto marcato, resta basso, alla sua destra, e scende diritto fino alla sua parte bassa, proseguendo poi con qualche serpentina fra larici ed ontani, prima di prendere a destra ed attraversare il torrente del Gerlo. La discesa prosegue sul lato opposto, con rapide serpentine, fino ad uscire dalla selva alla parte alta dei prati a monte della Pila. Ignorata una deviazione a sinistra, scendiamo diretti, con pochi tornanti, fino ad intercettare la pista di Val Lunga appena prima della galleria paravalanghe della Pila. Sul lato opposto della galleria recuperiamo l’automobile.


Casera del Gerlo

CARTE DEL PERCORSO SULLA BASE DI GOOGLE-EARTH

Copyright © 2003 - 2024 Massimo Dei Cas La riproduzione della pagina o di sue parti è consentita previa indicazione della fonte e dell'autore (Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)

Copyright © 2003 - 2024 Massimo Dei Cas Designed by David Kohout