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DA TORRE DI SANTA MARIA AL RIFUGIO BOSIO-GALLI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Parcheggio dei Piasci-Rif. Cometti-Alpe Palù-Rif. Bosio
1 h e 45 min.
420
E
Musci-Pra' Fedugno-Alpe Arcoglio inferiore e Superiore-Lago di Arcoglio-Sasso Bianco-Colma di Zana-Rif. Bosio
6 h
1550
E
Ciappanico-Rif. Cometti-Alpi Son, Acquabianca, Serra ed Airale-Rif. Bosio
3 h
1070
E

La prima tappa dell’Alta Via della Valmalenco parte da Torre S. Maria e si conclude al rifugio Bosio (m. 2086), in Val Torreggio (Val del Turéc'). L’itinerario classico parte dalla località Musci, a quota 1000.


La chiesetta della Madonna Regina della Pace ai Piasci

Usciti dal paese, procediamo in leggera salita verso sud, sulla carozzabile che porta alla cinquecentesca chiesetta di San Giuseppe che, secondo una leggenda, che ha però un fondamento storico, sorse alla fine del Cinquecento, nel luogo colpito, diversi anni prima, da una rovinosa valanga, che scese dalla soprastante valle del Venduletto e seppellì il nucleo di Bondoledo. Non fu più possibile recuperare le salme dei suoi abitanti, tutti morti. Venne, quindi, edificata la chiesetta, come segno di pietà per i defunti, ma nulla fu più costruito nei prati vicini, perché, dice la leggenda, quei prati costituiscono il cimitero degli sventurati abitanti di Bondoledo, ed è cosa empia edificare sopra un cimitero. Dalla chiesetta, guardando verso nord, possiamo godere di un buono scorcio sulla media Valmalenco e sul pizzo Malenco che in questa prospettiva pare essere signore della valle.


I Piasci

Ignoriamo poi la deviazione a sinistra che scende alla contrada dei Bianchi (Gianch), che merita però di esser menzionata per un episodio che ci riconsegna alle crudezze della storia. Correva l'anno 1731 quando un branco di lupi, resi più temerari dalla fame, calarono dai boschi della bassa Val Torreggio (Val del Turéc') sulla frazione, divorando alcuni bambini. Eventi del genere erano piuttosto rari, ma non del tutto eccezionali.
Proseguiamo dunque sulla stradina asfaltata che, dopo una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx-sx-dx, porta, in corrispondenza del successivo tornante sx, alla contrada dei Musci (Müsc'), a circa 1000 metri di quota.
Si tratta di una delle contrade più interessanti ed antiche di Torre, un tempo appartenente alla quadra di Bondoledo. Gli abitanti venivano soprannominati "mundulèe". Il nucleo ha conervato il volto antico, con le case costruite quasi a ridosso l'una dell'altra e separate da strette viuzze (stréci). Alcune famiglie avevano la cucina in un edificio e la camera da letto in quello attiguo, per cui anche nelle rigide sere invernali i bambini assonnati ed i neonati nella culla venivano portati dall'una all'altra percorrendo un tratto all'aperto. Un mulino macinava la segale con il quale poi veniva cotto il pane nel forno del paese. Fino all'anno scolastico 1946-47 vi funzionò anche una scuola elementare, mentre ora nessuno vi vive più permanentemente.
Qui, poco dopo il tornante sx, vediamo, sulla destra, il cartello che segnala la partenza dell'Alta Via della Valmalenco. Si tratta della storica mulattiera di accesso agli alpeggi di Arcoglio e Canale, ed anche del primo tracciato storico dell'Alta Via della Valmalenco, cui si sono poi aggiunte diverse varianti, tutte con meta finale il rifugio Bosio-Galli, nel cuore della Val Torreggio (Val del Turéc').


I Piasci

Seguiamo dunque il sentiero, sempre ben marcato, che sale con serrati tornantini in un fitto bosco, nel primo tratto verso ovest, poi verso nord-ovest. Dopo un quarto d'ora buono passiamo accanto ad una cappelletta (m. 965) dove un'immagine della Madonna da secoli veglia per difendere i viandanti dalle insidie che questi luoghi ombrosi e solitari non mancano di nascondere. Stiamo infatti salendo sul versante meridionale della Val de Lot, che scende verso est dai prati di Fedugno, sinistramente famosi, così almeno vuole un'altra leggenda, per i fantasmi avvistati nottetempo dagli impauriti contadini del luogo.
Il sentiero, che sale in un umido bosco di conifere, soprattutto larici, si allontana da un vallone sulla nostra sinistra e si porta ad una valletta che attraversiamo da sinistra a destra. Poi piega a destra e la riattraversa in senso opposto, e così ancora per due volte. A quota 1400 metri circa il sentiero piega a sinistra e procede sul suo fianco destro (per noi che saliamo) della valletta, in direzione ovest-sud-ovest, fino a quota 1470 metri circa. Qui piega a destra e si affaccia ai prati del maggengo del Sasso (m. 1490). Piegando ancora a destra passa a valle delle baite, poi piega a sinistra ed ancora a destra e sale, dopo un breve tratto nel bosco di conifere (soprattutto larici), alle baite di Pra' Fedugno (Fedögn, m. 1680). Il maggengo, costituito da abitazioni, stalle e fienili (ora abbandonato), è già citato in un documento del 1437 come "Fidugno" ed apparteneva alla quadra di Bondoldo.


I Piasci

Saliti i prati del maggengo, il sentiero rientra nel bosco di conifere, ne esce attraversando anche il maggengo delle Zocche, appena sopra, ed intercetta la carozzabile che sale fin qui da San Giuseppe (la stessa che abbiamo seguito nel primo tratto dell'escursione, da Torre ai Musci).
La seguiamo verso destra ed in breve siamo ad un bivio, poco sopra quota 1700: la pista di sinistra sale agli alpeggi di Arcoglio inferiore e superiore, mentre quella di destra procede verso i Piasci. Seguiamo quest'ultima, verso ovest, con alcuni saliscendi; la pista piega poi a destra (nord) attraversando due rami del torrente Arcoglio e termina al limite meridionale degli ondulati prati dei Piasci (ciaasc', m. 1720). Il maggengo, costituito da un'ampia fascia di prati con una conca in mezzo, è costituito da diversi nuclei che ricevono il nome dal soprannome della famiglia dei proprietari o dalla posizione.


Apri qui una panoramica dei Corni Bruciati visti dalla Val Torreggio

Lo sguardo verso nord raggiunge i giganti della testata della Valmalenco, i pizzi Roseg, Scerscen, Bernina, Argient, Zupò e Palù, che occhieggiano alle spalle del cupo massiccio del Sasso Nero. Ci accoglie una chiesetta (Gésa di Ciàasc'), dedicata alla Madonna Regina della Pace ed inaugurata il 19 settembre 1943. Fu voluta dai valligiani per ottenere la grazia che avessero fine le stragi di tutte le guerre. Alla nostra sinistra, in posizione rialzata, vediamo il rifugio Cometti-Grandi (Maréni, m. 1742), a gestione privata (tel.: 0342 452810). Il rifugio, di proprietà di Marino Cometti e dei suoi discendenti, venne aperto nel 1937 e nel secondo dopoguerra venne chiamato Capanna Grandi, ospitando famiglie acliste coordinate da Achille Grandi. Attualmente è aperto nei mesi di luglio ed agosto e dispone di 30 posti letto. Alla sua sinistra parte un sentiero che sale all'alpe di Arcoglio inferiore, attraversando una macchia di radi larici.

Vediamo, ora, come raggiungere la medesima alpe di Arcoglio inferiore per una via decisamente meno faticosa, cioè sfruttando (previo acquisto del pass di transito a Torre di S. Maria) la carozzabile citata Torre S. Maria-Piasci. Nel primo tratto, superata la chiesetta di San Giuseppe, sale verso sud, proponendo poi una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx, cui segue un nuovo tratto verso sud che passa per la località dei Pizzi. Una nuova sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx-sx-dx introduce all’ultimo lungo traverso, questa volta in direzione nord-ovest (attenzione, soprattutto nella sequenza di tornanti, ad alcuni tratti alquanto ripidi, che possono risultare insidiosi in presenza di ghiaccio o di neve). La pista, dopo aver attraversato il solco della valle del torrente Arcoglio, termina all’alpeggio dei Piasci, dove si trova il rifugio Cometti. Ben prima del suo termine e del solco della valle, però, si trova una deviazione a sinistra per l’alpe di Arcoglio inferiore. Nei pressi della deviazione vi è anche una piazzola nella quale è possibile (ma non probabile nel cuore della stagione estiva o nei giorni festivi) lasciare l’automobile. Inizia da qui (oppure dal rifugio Cometti, se preferiamo portarci fino ai Piasci, come sopra descritto), cioè da una quota approssimativa di 1700 metri, la traversata al rifugio Bosio.


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Seguiamo una sterrata e, dopo un buon tratto di salita, nel bosco, con pochi tornanti, usciamo all'aperto; con ultimo ripido strappo, raggiungiamo quindi le baite dell’alpe di Arcoglio inferiore (m. 1976 nella parte alta).
L’alpeggio, chiamato localmente
“arcói bas”, è disposto a destra (per chi sale) del torrente arcuias-ch. Viene ancora caricato e gli alpeggiatori si fermano con i capi a maggio e verso la fine della stagione d'alpeggio, mentre nel suo cuore le mandrie stazionano ad Arcoglio superiore. E' diviso in due nuclei di baite: il tratturo raggiunge quello settentrionale (sul lato di destra, per noi, del solco di un ramo del torrente Arcoglio). Da queste baite parte, alla nostra destra (segnalazione con bolli bianco-rossi e triangoli gialli) la salita verso l’alpe di Arcoglio superiore, lo splendido lago di Arcoglio ed il Sasso Bianco.

Val Torreggio (Val del Turéc') e Corni Bruciati

Dunque, per faticosa salita dalla localitù Musci, o per meno faticosa salita dal rifugio Cometti o dalla deviazione sulla carozzabile, siamo giunti all'alpe di Arcoglio interiore. Vediamo ora come procedere. Giunti in vista delle prime baite, gettiamo l'occhio sulla destra, dove parte, segnalato, in sentierino che sale ripido il versante dei prati (direzione nord), per giungere alla sommità di una sorta di poggio e piegare a sinistra (direzione ovest). Salendo ancora su traccia piuttosto ripida, passiamo per la caratteristica croce in legno chiamata "Cruus di Ciàn" e ci affacciamo all'alpe di Arcoglio superiore, a guardia della quale è posta una bella chiesetta, isolata, sulla destra (m. 2123). Si tratta della "Gésa de arcói", con annessa abitazione del parroco, dedicata al Sacro Cuore di Gesù ed inaugurata domenica 16 agosto 1931 dal parroco di Torre don Giovanni Mitta. La costruzione si avvalse dell'opera di volontariato degli abitanti di Torre che portarono fin qui a dorso di mulo o a spalla il materiale necessario. L'edificio è ora sconsacrato ed in futuro verrà forse riadattato ad ostello estivo.


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L'alpeggio è localmente chiamato “arcói ólt, ma anche “sö ‘nti cian”. Lo scenario dell'alpe è assai gentile, ed anche se percorreremo il sentiero fuori stagione troveremo probabilmente qualche presenza che non ci farà sentire troppo soli. Sempre seguendo i triangoli gialli proseguiamo nella salita, superando l'ultimo gradino roccioso e raggiungendo l'ampia conca dove ci attende la prima sorpresa del nostro itinerario: inatteso, appare il bellissimo laghetto di Arcoglio (lach de arcói, m. 2234), adagiato su un balcone che fronteggia, sul lato opposto della valle, il gruppo Scalino-Painale. Di fronte al nostro sguardo è visibile l'intero percorso che dovremo compiere durante l'ottava ed ultima tappa, dal rifugio Cristina a Caspoggio. Al lago, nella bella stagione, potremo trovare appassionati della pesca che attendono meditabondi che qualche pesce abbocchi.


Lago di Arcoglio

Può essere interessante leggere, a distanza di oltre un secolo, le note che sul lago stese il dott. Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, nell’operetta “I laghi alpini valtellinesi”, edita a Padova nel 1894: “Grazioso laghetto di forma lievemente arcuata, colla concavità rivolta a mezzodì e la convessità a N. è quello d' Arcoglio. Situato sulla sponda destra del torrente Torreggio, ha a S.O. il monte Arcoglio (2457 m.) dal quale si distacca una cresta montuosa che piegando a S. indi ad E. circonda il lago a guisa d'ampio anfiteatro e termina colla vetta del monte Canale (2523 m). Verso N. O. e N. E. è libero affatto da qualunque notevole rilievo montuoso, e dove le sue sponde di poco elevate, si mostrano dolcemente arrotondate dall'agente glaciale.
Presso le acque si estende un terreno alquanto torboso alternata. mente a lembi ghiaiosi, e si continua
tosto coi pascoli ridenti degli ameni rilievi circostanti. Qua e là, specialmente verso N. dove manca il terriccio, emergono piccoli cocuzzoli di roccia in posto, dai quali si può conoscere la natura di questa e l'origine del lago. La roccia è di gneiss micaceo e cloritico quasi crittomera, a finissimi elementi, con stratificazione ben evidente, pressoché perpendicolare all’orizzonte e diretta da N. a S. Questo lago è dunque, per la sua origine, orografico. Il detrito morenico, depositatosi fra i rilievi della roccia in posta, ha cooperato a rialzare il livello delle sue acque. Queste sono assai limpide e trasparenti e lasciano scorgere il fondo del lago per un largo tratto dalla sponda, il quale indi s’abbassa assai notevolmente, e le acque assumono il loro colore proprio, di un bel verde azzurrognolo, corrispondente al num. VI. della scala Forel. Ha un piccolo affluente a S. che vi trasporta dalle dirupate pendici sovrastanti, notevole quantità di detrito, ed un eguale emissario a N. che si apre fra i cocuzzoli della roccia viva o di poco elevati, onde le acque si mantengono costantemente al medesimo livello.
È situato all'altezza di 2230 m. secondo le misure dell'Istituto cartografico di Firenze. Presenta una superficie maggiore di quella assegnatavi dal Cotti, nel suo solito Elenco, cioè di 8300 m. q. e non di 7000.
La temperatura delle sue acque, alle 12 merid. del giorno 2 Sett. 1892, era di 11° C, mentre l'esterna era di 17°,3 C.Sulle sponde limacciose e torbose vive abbondante la Rana temporaria L. ma non ebbi indizio della esistenza di pesci: mi consta però che viveva un tempo la pregiata Trutta fario L. e che venne distrutta or è già qualche anno. Sarebbe certamente assai utile cosa il ripopolare anche questo lago del suo antico naturale abitatore, il quale come già per il passato dovrebbe trovarvi buone condizioni di sviluppo, avuto specialmente riguardo alla abbondante vita inferiore ed alla notevole profondità del lago. Per le speciali condizioni della spiaggia e della grande trasparenza delle acque, la reticella Müller mi tornò sempre senza alcun individuo di Entomostraci.


Lago di Arcoglio

Feci abbondante raccolta di saggi di limo per lo studio delle Diatomeo, delle quali determinai buon numero di specie, fra cui alcune che non soglionsi generalmente trovare che in rapporto alle formazioni calcaree, come già ebbi occasione più volte di osservare. Infatti a S. E. del monte Arcoglio, e precisamente sul fianco sovrastante al lago, esiste un affioramento calcareo-dolomitico, nel quale si aprono ampie fessure a guisa di caverne. Le specie cui ho accennato sono la Cymbella Ehrenbergii, la Navicula Tuscula e quelle del genero Epilhemia. Non rinvenni però l'unica specie del genere Achnanlidium, che pure si suole trovare con quelle ora menzionate. Compare la non comune Achnanthes delicalula (Falcatella delicalula Rab.) che incontrammo raramente nei laghi precedentemente studiati, che il Van Heurck indica proprie delle acque salmastre, ma che il Brun dice comune fra le roccie ed i muschi umidi delle cascate alpine.”


Chiesetta di Arcoglio superiore

Per illustrare meglio le caratteristiche di questo lago (e di quello di Zana) e dell'ambiente che lo ospita riportiamo le informazioni che ci vengono offerte dal bel volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993:
Li accomuna, oltre alla ipotesi di gita ricordata sopra. Il fatto di appartenere entrambi ai grande sistema di pianori (diciamo: declivi a gradoni, non troppo ripidi) che digradano da una parte (oriente) e dall'altra (occidente) della cresta rocciosa che si origina dal Monte Arcoglio scendendo giù verso la Valle del Torreggio. Più ampi e più irregolari quelli dove sta ben nascosto (quasi introvabile) il minuscolo laghetto di Zana, più definiti quelli verso Arcoglio, con pascoli un tempo fiorenti e popolati. La natura morbida e friabile dei terreni (micascisti) dà al paesaggio una nota di dolcezza segantiniana, mentre in distanza si osservano le forme aspre del Gruppo del Disgrazia, e, proprio dirimpetto al Lago di Zana, più lontano ancora, il massiccio dioritico del Bernina, sul lato aperto della conca di Arcoglio.

Pozza in Val Torreggio (Val del Turéc')

Si tratta, come si intuisce, di un ambiente di spazi aperti verso nord, estremamente gradevole e interessante dal punto di vista scenografico, oggi un po' trascurato forse come meta turistica, anche se assai più facilmente raggiungibile che in passato grazie alla strada che sale da Torre S. Maria, e alle sue diramazioni. Da ricordare ancora che la Cima Bianca di Arcoglio, così denominata dall'affioramento calcareo, offre, per quanto limitata e in scala ridotta, qualche illusione... dolomitica.
Lasciato il laghetto alla nostra sinistra, cerchiamo i segnavia che ci indirizzano ad una traccia di sentiero a tratti poco visibile. I segnavia ci fanno compiere un ampio arco che ci porta sul crinale fra l'alpe di Arcoglio e l'alpe Colina, in corrispondenza di una piccola sella erbosa. La traccia prosegue verso destra salendo sul fianco del Sasso Bianco e raggiungendone facilmente la cima.


Apri qui uno scorcio della Val Torreggio e del monte Disgrazia

E' però possibile seguire un itinerario più breve, che si stacca da quello segnalato per guadagnare facilmente bocchetta posta sul crinale che separa l'alpe di Arcoglio dalla Val Torreggio (Val del Turéc'). La bocchetta è facilmente individuabile perché si trova subito a destra del Sasso Bianco, cima che a sua volta si riconosce facilmente per il colore delle rocce che la costituiscono. Il laghetto rimane ancora ben visibile allo sguardo, mentre ci dirigiamo verso sinistra, puntando alla cima arrotondata del Sasso Bianco (Sas Biànch, m. 2490), che si raggiunge senza problemi seguendone il crinale sud-orientale. L'immagine invernale della cima non permette di comprendere il motivo della sua denominazione. Se però lo raggiungiamo quando la neve ha abbandonato la sua morsa sulle rocce, ne potremo ammirare il colore biancastro.

Val Torreggio (Val del Turéc')

Dietro il piccolo ometto posto sulla cima si staglia la severa e sassosa Val Airale (Val di Rai), prolungamento della Val Torreggio (Val del Turéc'); sul crinale che la separa dalla Valle di Preda Rossa si riconosce il passo di Corna Rossa, sul quale è posto il rifugio Desio, ora pericolante. Dalla cima possiamo dominare anche l'intera testata della Valmalenco, e l'intera catena orobica. La singolarità di questo monte non finisce qui: pochi metri sotto la vetta si può vedere una singolare cavità, detta "truna", legata a diverse leggende popolari. Si tratta di una spaccatura nella roccia biancastra, che si insinua per diverse decina di metri nelle viscere della montagna e di cui l'occhio non riesce a raggiungere il fondo. Non c'è da stupirsi, dunque, se la fantasia popolare vi ha costruito sopra una trama di leggende. Se, infine, guardiamo ad ovest, potremo seguire il disegno del crinale che separa la Val Torreggio (Val del Turéc'), nella quale dovremo scendere, dall'alta alpe Colina, sul versante retico della media Valtellina.
Dalla cima del Sasso Bianco scendiamo facilmente, seguendo una traccia di sentiero, alla piana che si stende ai suoi piedi, una selletta chiamata colma di Zana, che si affaccia a sinistra sul versante a monte dell'alpe Colina, sopra Postalesio.
Dalla colma di Zana seguiamo per un buon tratto, in leggera salita, i triangoli gialli ed il crinale, quindi lo lasciamo scendendo ad una conca, per poi risalire ad una piccola sella posta a destra di una cima costituita da rocce rotte. Oltre la sella ci attende una nuova discesa ad una più ampia conca, raggiunta la quale dobbiamo per un'ultima volta intraprendere una salita, che ci conduce ad una porta (m. 2500 circa) che ci permette di superare il crinale che scende dal monte Caldenno (m. 2669). Questi saliscendi ci impongono il superamento di un dislivello in salita di circa centocinquanta metri. La porta, infatti, è collocata circa alla medesima altezza della cima del Sasso Bianco. Oltre la porta inizia l'ultima discesa, inizialmente su un terreno disseminato di grandi massi: stanchi come siamo, questo supplemento di attenzione e di tormento per i nostri piedi non ci rallegra di certo!
Poi i massi lasciano il posto ai magri pascoli, che ci permettono una discesa più riposante. Il tracciato tende all'inizio leggermente a sinistra, per poi piegare a destra, superare un torrentello ed intercettare il sentiero che scende dal passo di Caldenno, che congiunge la Val Torreggio (Val del Turéc') alla valle di Postalesio. Pieghiamo a destra e raggiungiamo così un bel pianoro (Pian delle Pecore) dove è collocata una grande baita. L'ulteriore discesa, verso nord-est, ci permette di superare gli ultimi cento metri, raggiungendo il piano dell'alta Val Torreggio (Val del Turéc'), dove, in uno scenario ingentilito da radi larici e dai meandri di un quieto torrente, si trova il rifugio Bosio-Galli, a 2097 metri. Qui termina la prima tappa dell'alta via.


Apri qui una panoramica del versante settentrionale della Val Torreggio (Val del Turéc'), dal sentiero dell'Alta Via della Valmalenco (I tappa)

Ci sono due varianti, che partono sempre da Torre, e che sono degne di menzione.
La prima, che parte sempre dai Piasci, prevede, al bivio citato, che si prenda a destra, raggiungendo i prati dei Piasci. I Piasci (ciaasc', m. 1720) sono un maggengo costituito da un'ampia fascia di prati con una conca in mezzo, è costituito da diversi nuclei che ricevono il nome dal soprannome della famiglia dei proprietari o dalla posizione.
Lo sguardo verso nord raggiunge i giganti della testata della Valmalenco, i pizzi Roseg, Scerscen, Bernina, Argient, Zupò e Palù, che occhieggiano alle spalle del cupo massiccio del Sasso Nero. Ci accoglie una chiesetta (Gésa di Ciàasc'), dedicata alla Madonna Regina della Pace ed inaugurata
il 19 settembre 1943. Fu voluta dai valligiani per ottenere la grazia che avessero fine le stragi di tutte le guerre. Alla nostra sinistra, in posizione rialzata, vediamo il rifugio Cometti-Grandi (Maréni, m. 1742), a gestione privata (tel.: 0342 452810). Il rifugio, di proprietà di Marino Cometti e dei suoi discendenti, venne aperto nel 1937 e nel secondo dopoguerra venne chiamato Capanna Grandi, ospitando famiglie acliste coordinate da Achille Grandi. Attualmente è aperto nei mesi di luglio ed agosto e dispone di 30 posti letto.
Dal limite dei prati che guarda verso la Valmalenco, sulla sinistra, parte il sentiero, segnalato, che si addentra in Val Torreggio (Val del Turéc'), tagliandone il fianco meridionale, fino al rifugio Bosio-Galli.
La seconda variante parte, invece, da Ciappanìco (m. 1034), graziosa frazione di Torre. La si raggiunge percorrendo la strada che attraversa Torre, lascia a destra la chiesa parrocchiale di S. Maria e prosegue prendendo a destra (si ignora, invece, la deviazione a sinistra con la segnalazione per i rifugi alpini), attraversando, su un ponte, il torrente Torreggio, ignorando una successiva deviazione a destra e risalendo, con qualche tornante, il primo tratto del fianco settentrionale della bassa Val Torreggio (Val del Turéc'). Raggiunta Ciappanico (Ciapanìch nöf), che si trova a 2,7 km da Torre, possiamo proseguire, per un tratto, su una pista sterrata, che si stacca, sulla sinistra, dall’ultimo tratto della strada asfaltata e porta, in breve, ad una piazzola, dove possiamo lasciare l’automobile.
Qui troviamo, sulla parete di un’antica casa, la scritta “Benvenuti a Ciappanico alto” (Ciapanìch véc'), e, su un pannello arrugginito, l’indicazione “Sentiero Roma”, che si giustifica considerando che l’ultima tappa del celeberrimo sentiero alto prevede la traversata dalla Valle di Preda Rossa alla Val Torreggio (Val del Turéc'), con discesa finale a Chiesa Valmalenco oppure a Torre, passando appunto per Ciappanico. Il paesino, già citato in un documento del 1415 nella forma "giapanicho", deve forse il suo nome al curioso etimo che significherebbe "non prendi nulla", forse in riferimento alla natura piuttosto ripida dei terrazzamenti con prati e seminativi oggi incolti. I suoi abitanti venivano chiamati "néca". Il piccolo nucleo ha un fascino del tutto particolare: vi si osservano ancora l’edificio della vecchia scuola elementare, un po’ staccato dalle case, la Scöla de Ciapanìch, costruita nel 1934 ed utilizzata come edificio scolastico fino all'anno scolastico 1984-85. Il primo piano dell'edificio era adibito a latteria. Notiamo anche una graziosa chiesetta, la Gésa de Ciapanìch, dedicata alla Madonna del Rosario, costruita probabilmente nel 1838 e rifatta nel 1973. Vi si conserverebbero le reliquie dei santi Donati e Clemente ed il 5 novembre raccoglie i fedeli per la celebrazione della festa dei santi protettori.
La mulattiera, segnalata da qualche segnavia rosso-bianco-rosso, comincia a salire, dopo un interessante tratto rialzato rispetto alla superficie dei prati, in direzione dell’alpe Son, tagliando, in diversi punti, la pista sterrata, che prosegue fino alla medesima alpe. Nella salita possiamo osservare alla nostra sinistra il fianco meridionale della bassa Val Torreggio (Val del Turéc'), segnato da un imponente movimento franoso, mentre alla nostra destra si comincia a mostrare la dirupata formazione rocciosa nota come “Rocca di Castellaccio” (m. 1777), sede, secondo un’antica leggenda, di una feroce banda di predoni che scendevano nottetempo a depredare ed uccidere gli sventurati viandanti solitari nei pressi di Ciappanico. Alle nostre spalle, infine, si vede in primo piano l’aspra e scoscesa valle Dagua, dominata dal pizzo Palino (m. 2686), a sinistra, e dal monte Foppa (m. 2444), a destra, sulla dorsale che separa la Valmalenco dalla Val di Togno.


Apri qui una panoramica dell'alpe Son

Superato un primo gruppo di baite, a quota 1284, raggiungiamo il bel dosso dei prati dell’alpe Son (sun, 1364 metri). Si tratta di un maggengo diviso in due nuclei di baite, inferiore e superiore ("a la porta"), già citato in un documento del 1592 ("de campo in barco de sono"), caricato in primavera ed autunno da pastori di Ciappanico.
Ignoriamo la deviazione a sinistra segnalata dal cartello che indica il rifugio Cometti e l’Alta Via (anche se potremmo sfruttarla salendo ai Piasci per poi imboccare la cosiddetta "direttissima", sopra descritta: superato su un ponte il torrente Torreggio, una comoda mulattiera ci porta, infatti, senza problemi all'alpeggio), portiamoci alla parte alta dei prati e riprendiamo a salire, fino a raggiungere i prati dell’alpe Acquabianca (acquagianca, 1563 metri). Si tratta di un alpeggio di proprietà del comune di Spriana, caricato da fine giugno ai primi di settembre da 25-30 capi fin verso la fine del secolo scorso.


Apri qui una panoramica del monte Disgrazia dalla Val Torreggio

Anche qui portiamoci, seguendo l’indicazione per la Bosio segnata su un grande masso, alla parte alta, di sinistra, dell’alpe, dove, con un primo tratto un po’ nascosto dalla vegetazione, il sentiero riprende, assumendo la direzione nord ed inerpicandosi, dopo aver attraversato una radura, in un bellissimo bosco di conifere. Alla fine della salita si congiunge con il sentiero (ora pista agro-silvo-pastorale) che, dal pianoro dell’alpe Lago di Chiesa, si inoltra in Val Torreggio (Val del Turéc') tagliandone il fianco settentrionale. Percorrendo il sentiero verso sinistra passiamo leggermente a monte dell’alpe Serra (m. 1927), usciamo dal bosco, giungendo in vista dei Corni Bruciati, che chiudono la valle ad ovest, attraversiamo i prati dell’alpe Airale (m. 2097; localmente: "i Rai"; nel 1924 vi venne aperto un rifugio privato, la capanna Airale, poi dismesso) ed infine, attraversato il Torreggio sul nuovo ponte in legno costruito nel 2000 dai cacciatori, raggiungiamo il rifugio Bosio-Galli, dopo circa 3 o 4 ore di cammino.

Il rifugio Bosio-Galli (m. 2086) è posto al centro della Val Torreggio (Val del Turéc') (Torre di S. Maria, Valmalenco), su un poggio di verdi micascisti in un'incantevole piana dominata a nord dai Corni di Airale e ad est dai Corni Bruciati. La piana, sbarrata dal fronte di un'antica morena, ospitava un tempo un lago, di cui sono rimaste ora scarse tracce in un terreno di natura torbosa. Il rifugio, costruito da privati nel 1924 ed originariamente chiamato Capanna Airale, fu acquisito e dedicato nel 1934 dal CAI di Desio al cavalier Carlo Bosio, suo primo presidente, e dal settembre 1997 anche a sua figlia Anna Bosio Galli.


Il rifugio Bosio-Galli

Fu gestito per molti anni, insieme al rifugio Desio, dalla famiglia di Egidio Mitta, mentre attualmente è gestito dalla famiglia Lotti di Chuesa in Valmalenco. Un locale invernale più recente è dedicato a Dino Galimberti. Il rifugio è aperto dai primi di giugno fino alla fine di settembre, dispone di 50 posti letto in camerette e cameroni. Punto di arrivo della I tappa e punto di partenza della II tappa dell'Alta Via della Valmalenco, è punto di appoggio di numerose altre interessanti traversate. Ulteriori informazioni si possono trovare alla pagina web http://www.caidesio.net/joomla254/la-sezione/rifugi/rifugio-bosio-galli.

DALL'ALPE POVERZONE AL RIFUGIO BOSIO-GALLI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Alpe Poverzone-Bocchetta del Valdone-Alpe Canale-Alpe Arcoglio inferiore e Superiore-Lago di Arcoglio-Sasso Bianco-Colma di Zana-Rif. Bosio
7 h
900
EE
Alpe Poverzone-Alpe Colina-Colma di Zana-Rif. Bosio
6 h
670
EE

Vediamo, però, ora le varianti che permettono di raggiungere il rifugio partendo non da Torre, ma dal versante retico mediovaltellinese, e, più precisamente, dagli alpeggi sopra Triangia. Si tratta, anche in questo caso, di due varianti della prima tappa dell’Alta Via della Valmalenco, entrambe ricche di motivi d’interesse. Punto di partenza, in questo caso, può essere l’alpe Poverzone. La via per raggiungere l’alpe passa per Triangia, paesino che si trova nella piana a monte del colle omonimo, che domina, ad ovest, Sondrio.
Imbocchiamo, dunque, da Sondrio la strada che sale in Valmalenco, per lasciarla, però, abbastanza presto, non appena troviamo la strada, segnalata, che se ne stacca, sulla sinistra, per salire, con alcuni tornanti, a Triangia (m. 800). Qui, invece di proseguire sulla strada principale, che comincia a scendere verso Castione Andevenno, prendiamo a destra, attraversando il paese e passando davanti alla chiesa parrocchiale di San Bernardo. Usciti dal paese, continuiamo a salire su una strada che passa nei pressi del laghetto di Triangia (deviazione sulla destra) e per la bella e panoramica frazione di Ligari (m. 1092), dove si trova un grazioso oratorio settecentesco. Dopo una lunga traversata verso destra (nord-est), la strada raggiunge, poi, i prati Rolla (m. 1304), dai quali si apre un primo interessante scorcio della Valmalenco e della sua testata, che mostra i pizzi Tremoggia ed Entova (sasa d’éntua). Segue una serie di tornanti, su un fondo sterrato, fino ai prati della Forcola (m. 1518), ad 8 km da Triangia. Da qui si mostrano anche le rimanenti e più famose cime della testata della Valmalenco, cioè i pizzi Roseg, Scerscen e Bernina: si tratta di un primo assaggio degli scenari destinati a deliziare la vista di chi percorre interamente l’Alta Via della Valmalenco. Possiamo lasciare qui l’automobile, allungando il cammino di circa un’ora, oppure continuare a salire, su una strada dal fondo in alcuni punti sconnesso, in direzione ovest, fino all’alpe Poverzone (m. 1908), presidiata da una grande croce in metallo posta a monte di un dirupo, che domina Sondrio.
Lasciata qui l’automobile, incamminiamoci sulla pista sterrata che aggira il versante meridionale del monte Rolla (m. 2277) ed effettua una lunga traversata verso nord-ovest, fino all’alpe Colina (a 16 km da Triangia). Passiamo, così, a monte dell’alpe Prato Secondo (m. 1928), e raggiunge, dopo una curva a destra, il piede di un facile canalone erboso, che culmina nell’evidente bocchetta del Valdone (m. 2176), a destra del crinale meridionale del monte Canale (m. 2522). Qui dobbiamo scegliere fra le due varianti: entrare in Valmalenco per questa bocchetta ed attraversare gli alpeggi di Torre prima di entrare in Val Torreggio (Val del Turéc'), oppure proseguire fino all’alpe Colina e da qui salire alla Colma di Zana, sul fianco meridionale della Val Torreggio (Val del Turéc').
Esaminiamo la prima variante. Possiamo, dalla strada, salire facilmente alla bocchetta seguendo una traccia di sentiero (ma, se non la si trova, si può salire facilmente anche senza percorso obbligato). La bocchetta propone un singolare cambiamento di prospettiva: lasciato alle spalle l’ampio e luminoso versante retico che sovrasta Castione, ci affacciamo alla ripida ed ombrosa Val Valdone nome che deriva forse da "val domini", cioè valle del signore o del Signore), la prima laterale occidentale della Valmalenco.
Nella discesa, dobbiamo ora seguire con attenzione i segnavia rosso-bianco-rossi, che ci guidano su un sentiero che passa a monte delle baite dell’alpe Valdone, tagliando, verso sinistra, i ripidi pascoli del fianco del monte Canale (m. 2522). Il sentiero, dopo aver superato un valloncello, scende gradualmente, fino ad un bivio: mentre la traccia principale prosegue, più decisamente, la discesa in direzione del cuore della val Valdone (si tratta del sentiero che si immerge negli ombrosi boschi del versante settentrionale della valle, uscendone a Cagnoletti), una traccia meno marcata se ne stacca sulla sinistra, proseguendo nella diagonale che taglia il fianco orientale del monte Canale. Raggiunto un ampio dosso, il sentiero, con traccia debole, comincia a scendere, ripido, verso il limite superiore del bosco, per poi, poco al di sotto di quota 1900, piegare a sinistra, ed entrare in una macchia di larici. In questo tratto dobbiamo prestare attenzione a non perderla, seguendo i segnavia: se dovessimo, però, smarrirla, scendiamo fin quasi al limite del bosco di larici, rimanendo sul fianco del dosso, per poi piegare a sinistra ed effettuare una breve traversata nel bosco: giungeremo ad una conca facilmente riconoscibile per la presenza di una postazione di avvistamento degli animali collocata nei pressi di uno spuntone roccioso.


Apri qui una fotomappa della traversata dalla bocchetta del Valdone all'alpe Canale

Seguendo un sentiero quasi pianeggiante che passa appena a monte della postazione, ci riportiamo sul percorso principale.
Il sentiero segnalato, invece, dopo un primo tratto incerto e quasi pianeggiante nel cuore del bosco, scende, ripido, fino ad intercettare un sentiero quasi pianeggiante che, seguito in direzione nord, conduce ad una sorgente d’acqua, a quota 1847. Qui giunge anche un sentiero che sale dai Prati Fontani, alpeggio posto a sud-est, a quota 1714. Chi scendesse per questo sentiero, raggiunti i prati, potrebbe proseguire nella discesa, fino ad intercettare, a quota 1500 circa, la pista che da Torre sale agli alpeggi di Arcoglio e dei Piasci. Dalla sorgente, proseguendo sul sentiero principale (direzione nord), guadagniamo leggermente quota, affacciandoci, infine, ai prati dell’alpe Canale (m. 1900), dove troviamo diverse baite ed una croce in legno. Il panorama che si gode da qui è molto bello: la testata della Valmalenco, verso nord-est, mostra le sue più importanti cime, vale a dire, da sinistra, i pizzi Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3937), Scerscen (m. 3971) e Bernina (m. 4049), la cresta Güzza (m. 3869), i pizzi Argient (m. 3945), Zupò (che significa “nascosto”, da “zuper”, nascondere, m. 3995), Palù (m. 3905) e Varuna (m. 3453). A sinistra delle cime principali si distinguono, poi, altre cime illustri, la triade Tremoggia ( piz di tremögi, m. 3441)-Malenco (m. 3438)-Entova (m. 3329; le tre vette, nel loro insieme, erano chiamate, localmente, “tremögi”; la denominazione distinta deriva da un interesse alpinistico) ed i pizzi Gemelli (m. 3500). Più a sinistra a
ncora (nord), in primo piano, troviamo le cime del versante settentrionale della val Sassersa, vale a dire, da destra, il monte Braccia (còrgn de bracia, m. 2909) e la cima del Duca (m. 2969). Ad est, infine, sono riconoscibili, in primo piano, il pizzo Palino (m. 2686) ed il monte Foppa (m. 2444), sulla dorsale che separa la Valmalenco dalla Val di Togno.
L'alpe Canale appartiene al ricco sistema di alpeggi del comune di Torre. Ecco come descrive gli alpeggi di Valmalenco Dario Benetti, nell’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota” in “Sondrio e il suo territorio” (IntesaBci, 2001): “Gli alpeggi della Valmalenco hanno una morfologia a nucleo. Ogni famiglia aveva la propria baita. Non si spostava tutta la famiglia. Di solito andava il capofamiglia con due o tre insieme e gli altri rimanevano a lavorare i campi. Gli altri che rimanevano a casa, una volta alla settimana, andavano a portargli la roba, tutto a spalla, naturalmente, e portavano indietro il burro per venderlo e comprare farina. In alcuni casi la lavorazione del latte era effettuata in gruppi di tre o quattro famiglie che si impegnavano a turno. La produzione principale, più che il formaggio, era il burro, venduto al mercato di Sondrio (alpeggi di Lanzada) o in valle di Poschiavo in Svizzera (alpeggi di Torre). Tra gli alpeggi a nucleo più interessanti sono da considerare i due nuclei dell’alpe Arcoglio in comune di Torre, l’alpe Gembré (in pietra), Campaccio, Prabello, Brusada e l’alpe Musella in comune di Lanzada; in questi ultimi sono ancora presenti alcuni esempi antichi di edifici in legno con struttura a blockbau. Parte dei maggenghi (chiamati anche Barchi) era di proprietà comunale. Alcuni alpeggi (Gembré, Fellaria, Val Poschavina) sono a elevata altitudine e venivano utilizzati, al massimo, per un mese. In alcune alpi si falciava qualche piccolo appezzamento di prato (Pradaccio e Giumellino a Chiesa, Acquabianca, Canale, Palù a Torre) da utilizzare nelle stagioni peggiori unitamente al fieno selvatico raccolto sui versanti più alti delle creste montane”.
Dall’opera “La Valtellina (Provincia di Sondrio)”, di Ercole Bassi (Milano, Tipografia degli Operai, 1890), ricaviamo inoltre interessanti notizie statistiche sulla situazione degli alpeggi di Torre sul finire dell'Ottocento: si menzionano, infatti, le alpi Canale (60 capi, 80 giorni d'alpeggio, prodotto di 40 lire per capo, proprietà privata), Arcoglio (160 capi, 80 giorni d'alpeggio, prodotto di 49 lire per capo, proprietà privata e comunale), Zana (50 capi, 70 giorni d'alpeggio, prodotto di 35 lire per capo, proprietà privata), Airale, Serra ed Acquabianca (160 capi, 75 giorni d'alpeggio, prodotto di 40 lire per capo, proprietà privata) e Palù (80 capi, 75 giorni d'alpeggio, prodotto di 40 lire per capo, proprietà privata).

Dall’alpe Canale dobbiamo, ora, portarci all’alpe di Arcoglio inferiore, proseguendo sul sentiero che ritroviamo sul limite dei prati e che rientra nel bosco, aggirando il fianco che scende verso nord dal monte Canale. Dopo aver attraversato un torrentello su un piccolo ponte in legno, raggiungiamo, così, il limite degli ampi prati dell’alpe. Siamo alla conca che costituisce la sezione sud-orientale dell’alpe (m. 1960), e dobbiamo attraversarla per portarci alle baite della sezione nord-occidentale, cui giunge anche un tratturo che si stacca dalla pista che sale da Torre S. Maria. Qui troviamo un cartello della Comunità Montana Valtellina di Sondrio, che ci indica l’alpe di Arcoglio inferiore (quota 1976).
Salendo ancora su traccia piuttosto ripida, ci affacciamo all'alpe di Arcoglio superiore, a guardia della quale è posta una bella chiesetta, isolata, sulla destra (m. 2123). Si tratta della "Gésa de arcói", con annessa abitazione del parroco, dedicata al Sacro Cuore di Gesù ed inaugurata domenica 16 agosto 1931 dal parroco di Torre don Giovanni Mitta. La costruzione si avvalse dell'opera di volontariato degli abitanti di Torre che portarono fin qui a dorso di mulo o a spalla il materiale necessario. L'edificio è ora sconsacrato ed in futuro verrà forse riadattato ad ostello estivo.
L'alpeggio è localmente chiamato “arcói ólt, ma anche
“sö ‘nti cian”. Lo scenario dell'alpe è assai gentile, ed anche se percorreremo il sentiero fuori stagione troveremo probabilmente qualche presenza che non ci farà sentire troppo soli. Sempre seguendo i triangoli gialli proseguiamo nella salita, superando l'ultimo gradino roccioso e raggiungendo l'ampia conca dove ci attende la prima sorpresa del nostro itinerario: inatteso, appare il bellissimo laghetto di Arcoglio (lach de arcói, m. 2234), adagiato su un balcone che fronteggia, sul lato opposto della valle, il gruppo Scalino-Painale. Di fronte al nostro sguardo è visibile l'intero percorso che dovremo compiere durante l'ottava ed ultima tappa, dal rifugio Cristina a Caspoggio. Al lago, nella bella stagione, potremo trovare appassionati della pesca che attendono meditabondi che qualche pesce abbocchi.


Apri qui una panoramica del lago di Arcoglio

Può essere interessante leggere, a distanza di oltre un secolo, le note che sul lago stese il dott. Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, nell’operetta “I laghi alpini valtellinesi”, edita a Padova nel 1894: “Grazioso laghetto di forma lievemente arcuata, colla concavità rivolta a mezzodì e la convessità a N. è quello d' Arcoglio. Situato sulla sponda destra del torrente Torreggio, ha a S.O. il monte Arcoglio (2457 m.) dal quale si distacca una cresta montuosa che piegando a S. indi ad E. circonda il lago a guisa d'ampio anfiteatro e termina colla vetta del monte Canale (2523 m). Verso N. O. e N. E. è libero affatto da qualunque notevole rilievo montuoso, e dove le sue sponde di poco elevate, si mostrano dolcemente arrotondate dall'agente glaciale.
Presso le acque si estende un terreno alquanto torboso alternata. mente a lembi ghiaiosi, e si continua
tosto coi pascoli ridenti degli ameni rilievi circostanti. Qua e là, specialmente verso N. dove manca il terriccio, emergono piccoli cocuzzoli di roccia in posto, dai quali si può conoscere la natura di questa e l'origine del lago. La roccia è di gneiss micaceo e cloritico quasi crittomera, a finissimi elementi, con stratificazione ben evidente, pressoché perpendicolare all’orizzonte e diretta da N. a S. Questo lago è dunque, per la sua origine, orografico. Il detrito morenico, depositatosi fra i rilievi della roccia in posta, ha cooperato a rialzare il livello delle sue acque. Queste sono assai limpide e trasparenti e lasciano scorgere il fondo del lago per un largo tratto dalla sponda, il quale indi s’abbassa assai notevolmente, e le acque assumono il loro colore proprio, di un bel verde azzurrognolo, corrispondente al num. VI. della scala Forel. Ha un piccolo affluente a S. che vi trasporta dalle dirupate pendici sovrastanti, notevole quantità di detrito, ed un eguale emissario a N. che si apre fra i cocuzzoli della roccia viva o di poco elevati, onde le acque si mantengono costantemente al medesimo livello.
È situato all'altezza di 2230 m. secondo le misure dell'Istituto cartografico di Firenze. Presenta una superficie maggiore di quella assegnatavi dal Cotti, nel suo solito Elenco, cioè di 8300 m. q. e non di 7000.
La temperatura delle sue acque, alle 12 merid. del giorno 2 Sett. 1892, era di 11° C, mentre l'esterna era di 17°,3 C.Sulle sponde limacciose e torbose vive abbondante la Rana temporaria L. ma non ebbi indizio della esistenza di pesci: mi consta però che viveva un tempo la pregiata Trutta fario L. e che venne distrutta or è già qualche anno. Sarebbe certamente assai utile cosa il ripopolare anche questo lago del suo antico naturale abitatore, il quale come già per il passato dovrebbe trovarvi buone condizioni di sviluppo, avuto specialmente riguardo alla abbondante vita inferiore ed alla notevole profondità del lago. Per le speciali condizioni della spiaggia e della grande trasparenza delle acque, la reticella Müller mi tornò sempre senza alcun individuo di Entomostraci.


Lago di Arcoglio

Feci abbondante raccolta di saggi di limo per lo studio delle Diatomeo, delle quali determinai buon numero di specie, fra cui alcune che non soglionsi generalmente trovare che in rapporto alle formazioni calcaree, come già ebbi occasione più volte di osservare. Infatti a S. E. del monte Arcoglio, e precisamente sul fianco sovrastante al lago, esiste un affioramento calcareo-dolomitico, nel quale si aprono ampie fessure a guisa di caverne. Le specie cui ho accennato sono la Cymbella Ehrenbergii, la Navicula Tuscula e quelle del genero Epilhemia. Non rinvenni però l'unica specie del genere Achnanlidium, che pure si suole trovare con quelle ora menzionate. Compare la non comune Achnanthes delicalula (Falcatella delicalula Rab.) che incontrammo raramente nei laghi precedentemente studiati, che il Van Heurck indica proprie delle acque salmastre, ma che il Brun dice comune fra le roccie ed i muschi umidi delle cascate alpine.”


Chiesetta di Arcoglio superiore

Per illustrare meglio le caratteristiche di questo lago (e di quello di Zana) e dell'ambiente che lo ospita riportiamo le informazioni che ci vengono offerte dal bel volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993:


Apri qui una panoramica del Sasso Bianco

Li accomuna, oltre alla ipotesi di gita ricordata sopra. Il fatto di appartenere entrambi ai grande sistema di pianori (diciamo: declivi a gradoni, non troppo ripidi) che digradano da una parte (oriente) e dall'altra (occidente) della cresta rocciosa che si origina dal Monte Arcoglio scendendo giù verso la Valle del Torreggio. Più ampi e più irregolari quelli dove sta ben nascosto (quasi introvabile) il minuscolo laghetto di Zana, più definiti quelli verso Arcoglio, con pascoli un tempo fiorenti e popolati. La natura morbida e friabile dei terreni (micascisti) dà al paesaggio una nota di dolcezza segantiniana, mentre in distanza si osservano le forme aspre del Gruppo del Disgrazia, e, proprio dirimpetto al Lago di Zana, più lontano ancora, il massiccio dioritico del Bernina, sul lato aperto della conca di Arcoglio.

Pozza in Val Torreggio (Val del Turéc') e Sasso Bianco

Si tratta, come si intuisce, di un ambiente di spazi aperti verso nord, estremamente gradevole e interessante dal punto di vista scenografico, oggi un po' trascurato forse come meta turistica, anche se assai più facilmente raggiungibile che in passato grazie alla strada che sale da Torre S. Maria, e alle sue diramazioni. Da ricordare ancora che la Cima Bianca di Arcoglio, così denominata dall'affioramento calcareo, offre, per quanto limitata e in scala ridotta, qualche illusione... dolomitica.
Lasciato il laghetto alla nostra sinistra, cerchiamo i segnavia che ci indirizzano ad una traccia di sentiero a tratti poco visibile. I segnavia ci fanno compiere un ampio arco che ci porta sul crinale fra l'alpe di Arcoglio e l'alpe Colina, in corrispondenza di una piccola sella erbosa. La traccia prosegue verso destra salendo sul fianco del Sasso Bianco e raggiungendone facilmente la cima.


Apri qui una panoramica del Sasso Bianco visto dalla Val Torreggio

Si apre, da qui, un ampio scorcio sull’alta Val Torreggio (Val del Turéc'). Dietro il piccolo ometto posto sulla cima si staglia la severa e sassosa valle Airale, prolungamento della Val Torreggio (Val del Turéc'); sul crinale che la separa dalla valle di Preda Rossa si riconosce il passo di Corna Rossa, sul quale è posto il rifugio Desio, permanentemente chiuso in quanto pericolante. A destra del passo, possiamo osservare, da una prospettiva un po’ insolita, il monte Disgrazia (m. 3678). Dalla cima possiamo dominare anche l'intera testata della Valmalenco, e l'intera catena orobica.


Apri qui una panoramica della Val Torreggio dal Sasso Bianco

Dopo una sosta dedicata a gustare le bellezze del panorama, possiamo facilmente scendere ai sottostanti pascoli dell’alta Val Torreggio (Val del Turéc'), in corrispondenza della colma di Zana.
Fermiamoci ora qui, per descrivere la seconda variante, che conduce anch’essa alla colma di Zana (m. 2490). Torniamo, dunque, ai piedi del canalone che porta alla bocchetta del Valdone, e proseguiamo sulla pista sterrata che porta all’alpe Marscenzo (m. 2009). Poco oltre, seguendo una debole traccia di sentiero, si potrebbe salire, con un po’ di attenzione, alla depressione denominata colma di Arcoglio (m. 2313), a sinistra del monte Canale, per poi scendere, sul versante opposto, fino all’alpe di Arcoglio. Noi, invece, proseguiamo sulla pista, fino all’alpe Colina (m. 2076), a 16 km circa da Triangia, dove si trova anche il grazioso laghetto omonimo.


Apri qui una panoramica del lago di Arcoglio

Seguiamo la pista che dall’alpe sale verso i pascoli più alti e, al suo termine, prendiamo a destra, su traccia debole ed incerta, che effettua una diagonale verso destra e sale, appunto, alla bocchetta denominata colma di Zana (m. 2417). Il versante è, qui, piuttosto ripido, per cui la traversata alla bocchetta va fatta con la dovuta attenzione.
Ecco, infine, la sommaria descrizione dell’ultimo tratto, che conduce dalla colma di Zana al rifugio
Bosio. Dalla colma di Zana seguiamo per un buon tratto, in leggera salita, il crinale, poi ce ne stacchiamo scendendo ad una conca, per poi risalire ad una piccola sella posta a destra di una cima costituita da rocce rotte. Oltre la sella ci attende una nuova discesa ad una più ampia conca, raggiunta la quale dobbiamo per un'ultima volta intraprendere una salita, che ci conduce ad una porta la quale ci permette di superare il crinale che scende dal monte Caldenno (m. 2669). Questi saliscendi ci impongono il superamento di un dislivello in salita di circa centocinquanta metri. La porta, infatti, è collocata quasi alla medesima altezza della cima del Sasso Bianco.
Oltre la porta inizia l'ultima discesa, inizialmente su un terreno disseminato di grandi massi: stanchi come siamo, questo supplemento di
attenzione e di tormento per i nostri piedi non ci rallegra di certo! Poi i massi lasciano il posto ai magri pascoli, che ci permettono una discesa più riposante. Il tracciato tende all'inizio leggermente a sinistra, per poi piegare a destra, superare un torrentello ed intercettare il sentiero che scende dal passo di Caldenno, che congiunge la Val Torreggio (Val del Turéc') alla valle di Postalesio. Raggiungiamo così un bel pianoro dove è collocata una grande baita. L'ulteriore discesa ci permette di superare gli ultimi cento metri, raggiungendo il piano dell'alta Val Torreggio (Val del Turéc'), dove, in uno scenario ingentilito da radi larici e dai meandri di un quieto torrente, si trova il rifugio Bosio, a 2086 metri.
Facciamo, ora, un po’ di conti. La variante che conduce al rifugio dall’alpe Poverzone passando per la bocchetta del Valdone richiede circa 7 ore di cammino, necessarie per superare circa 900 metri di dislivello. La variante che conduce al rifugio passando, invece, per la colma di Zana richiede circa 6 ore di cammino, necessarie per superare un dislivello di circa 670 metri. Se, infine, partiamo dai prati della Forcola, calcoliamo un’ora in più ed aumentiamo di circa 400 metri il dislivello.


Apri qui uno scorcio della Val Torreggio con il monte Disgrazia

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

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