GALLERIA DI IMMAGINI; CARTA DEL PERCORSO; LE TAPPE DEL TREKKING; APPROFONDIMENTO: MONTESPLUGA E PASSO DELLO SPLUGA

Lago di Montespluga e Val Loga

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in salita/discesa
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Bivacco Cecchini-Montespluga-Alpe Suretta-Bivacco Suretta
5 h e 30 min.
840/870
EE
SINTESI. Cominciamo a scendere dal bivacco Val Loga (m. 2773) in direzione nord-est, lungo il crinale del dosso morenico sulla cui cima è posto il bivacco stesso. Nel primo tratto della discesa, sempre con andamento complessivo nord-est, superiamo alcuni dossi morenici alternati a conche, tagliando alcuni nevaietti e passando vicino ad un masso con scritto, a caratteri grandi, “Biv. Cecchini”. A quota 2640 metri circa la traccia di sentiero piega a destra, assumendol’andamento est e procedendo più o meno nel mezzo di un ampio vallone chiuso fra roccioni ed occupato da un nevaio (in caso di scarsa visibilità, attenzione a non portarsi troppo a sinistra, affacciandosi ad un versante strapiombante). Passiamo a sinistra di una grande freccia ed a destra di un massiccio ometto, e ci affacciamo ad una ripida china erbosa. Si alternano una breve pianetta, una ripida discesa sul fianco di un dosso, una nuova pianetta con a sinistra un nevaietto ed una nuova discesa sul filo di un dosso, al cui termine pieghiamo a sinistra, scendendo lungo un versante di magri pascoli e detriti alluvionali. Eccoci così giunti sul fondo della valle: il sentiero piega a destra e procede in direzione est, a destra del torrente principale. Superiamo due volte un torrente secondario che scende dal versante meridionale della valle, e proseguiamo quasi in piano, superando altri dieci corsi d’acqua minori e raggiungendo una porcilaia. Poco più avanti scavalchiamo su un ponticello il torrente principale e ci immettiamo su una pista sterrata che ci porta alle case di Montespluga (m. 1965), e precisamente all’ampio parcheggio di fronte al ristorante La Capriata. Lasciata Monstespluga, dobbiamo ora per un buon tratto seguire la ss 36 dello Spluga, verso destra, cioè in direzione del lago di Montespluga, seguendone il lato nord-orientale, fino al nucleo di baite delle Alpi di Suretta. Poco oltre, dalla strada statale si stacca una pista sterrata, che conduce ad un ponte sul torrente Suretta (m. 1910). Seguendo le indicazioni di un cartello (percorso C14) cominciamo a salire su balze erbose verso nord-est. Superati due ripiani e due corsi d'acqua da destra a sinistra, cominciamo a risalire un ripido versante, sempre in direzione nord-est, fino all'imbocco di un impressionante canalone, di cui il sentiero taglia il fianco sinistro (alcuni ratti esposti sono serviti da corde fisse). Superata una fascia di blocchi, approdiamo infine alla sella di quota 2520 (grande ometto). Senza attraversare il torrente che corre a pochi passi alla nostra destra, ed ignorando segnavia e segnalazione per il passo di Suretta, proseguiamo alla sua sinistra (direzione est-nord-est), ignorando le indicazioni alla nostra destra per il passo di Suretta, allontanandoci gradualmente dal torrente e rimontando un ampio cordone morenico. Raggiunto il filo del cordone, cominciamo a risalirlo in direzione nord, su sentiero ben marcato e non troppo faticoso. Giunti alla sommità della morena, ci portiamo ad un nevaio che costituisce il lembo occidentale della vedretta del Suretta e lo attraversiamo quasi in piano. La traversata ci porta proprio ai piedi della collina del bivacco: ne attacchiamo il versante e raggiungiamo un ripiano, oltre il quale il sentiero propone l’ultimo strappo che ci porta alla sua sommità, dove, accanto ad un grande ometto, troviamo il bivacco Suretta (m. 2748).


Apri qui una fotomappa della discesa dal bivacco di Val Loga a Montespluga

La quarta tappa del trekking ha un andamento scendi-sali, perché nella prima parte ci fa scendere dal bivacco Val Loga a Montespluga, mentre nella seconda ci fa salire al bivacco Suretta. È una tappa di transizione: passiamo dal versante orientale della Valle Spluga, cioè dalle Alpi Lepontine, a quella orientale, cioè alle Alpi Retiche.


Il bivacco Val Loga (ex bivacco Cecchini)

Dobbiamo quindi congedarci dal bivacco Val Loga ed iniziare la lunga discesa lungo il fianco meridionale dell’omonima valle. Non prima però, di aver appreso qualcosa di più su di essa. La Val Loga chiude a nord-ovest la compagine delle valli laterali Valle Spluga. Gli amanti delle ascensioni conoscono bene questa valle, perché sul suo angolo settentrionale e poco a sud di quello meridionale si trovano due cime che costituiscono un classico delle ascensioni della Valchiavenna, cioè il pizzo Tambò (m. 3274) ed il pizzo Ferrè (m. 3103). In mezzo, la cima di Val Loga (m. 3004).
Giovanni De Simoni nel suo bel volumetto “Toponimia dell’alta valle Spluga” (CCIAA, Sondrio, 1966), ci offre le seguenti interessanti informazioni su questa valle (chiamata localmente “vallöga”):
Contrariamente all'uso generale che considera Val Loga l'intera ampia valle che confluisce nella principale a Montespluga – uso in conseguenza del quale i primi alpinisti hanno contribuito ad una forse arbitraria estensione del toponimo al ghiacciaio e alle sovrastanti vette - il termine vallöga (secondo gli alpigiani delle cascine di Val Loga) indicherebbe soltanto una striscia di fondovalle a sinistra del torrente ed una parte della sovrastante falda solatia (sul fianco destro, ossia a bacio, stanno invece i fevraresch e i piudiröö). Quanto alla spiegazione del nome non ho trovato nè in loco nè... sui sacri testi chi me ne fornisse il bàndolo. Ipotesi molte: da lagh = podere, opinato dal Salvioni in senso generico e che il Sertoli accoglie nella fattispecie, a óga, öga = burrone, ed anche (ma preferibilmente vöga) = via glabra per avvallare il legname (dal celtico ocha = via), ecc. Preferisco essere guardingo, tanto più che da informatori molto anziani di Isola ho registrato le pronunce: Vallóghia e vallóia (i leggerm. mouillé) e da altri dell'Alpe Suretta vallögia e persino val de l’öi!
Una leggenda locale narra che un viandante, percorrendo la valle, vi trovasse il cadavere di un precedente viaggiatore fornito di molto denaro. Appropriatosi tosto del peculio si dice rinunciasse al suo viaggio e andasse ripetendo, al ritorno, aver scoperto una val löga ossia che l'aveva ben lógà (=allogato). Nel dialetto è ancora viva l'espressione «lógà una fiöla» che significa accasare, in matrimonio, una figlia.
Non voglio però trascurare di segnalare che in antico i «regolamenti d'alpe» eran detti «logamenti d'alpe » e che loga potrebbe anche avere il significato di «regola»."
Non so se anche noi faremo macabre e fortunate scoperte di tal genere: di sicuro non ci sarà troppo difficile scendere, anche se in condizioni di scarsa visibilità l’attenzione ai segnavia è di rigore.

Cominciamo a scendere dal bivacco Val Loga (m. 2773) in direzione nord-est, lungo il crinale del dosso morenico sulla cui cima è posto il bivacco stesso. Nel primo tratto della discesa, sempre con andamento complessivo nord-est, superiamo alcuni dossi morenici alternati a conche, tagliando alcuni nevaietti e passando vicino ad un masso con scritto, a caratteri grandi, “Biv. Cecchini”. A quota 2640 metri circa la traccia di sentiero piega a destra, assumendo l’andamento est e procedendo più o meno nel mezzo di un ampio vallone chiuso fra roccioni ed occupato da un nevaio (in caso di scarsa visibilità, attenzione a non portarsi troppo a sinistra, affacciandosi ad un versante strapiombante). Passiamo a sinistra di una grande freccia ed a destra di un massiccio ometto, e ci affacciamo ad una ripida china erbosa. Si alternano una breve pianetta, una ripida discesa sul fianco di un dosso, una nuova pianetta con a sinistra un nevaietto ed una nuova discesa sul filo di un dosso, al cui termine pieghiamo a sinistra, scendendo lungo un versante di magri pascoli e detriti alluvionali.
Eccoci così giunti sul fondo della valle: il sentiero piega a destra e procede in direzione est, a destra del torrente principale. Superiamo due volte un torrente secondario che scende dal versante meridionale della valle, e proseguiamo quasi in piano, superando altri dieci corsi d’acqua minori e raggiungendo una porcilaia. Poco più avanti scavalchiamo su un ponticello il torrente principale e ci immettiamo su una pista sterrata che ci porta alle case di Montespluga (m. 1965), e precisamente all’ampio parcheggio di fronte al ristorante La Capriata.

Attraversando il paese troviamo un pannello illustrativo racconta la sua storia: “La località fu nota fino agli inizi del XIX secolo come «Ca' de la montagna» per l'osteria-ospizio qui esistente fin dall'alto Medioevo, ma documentata solo a partire dal XIV secolo (oggi è l'albergo Vittoria). Uno scrittore degli inizi del Seicento annota «Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questo monte, se non vi fosse questo ricovero». Qui, quando infuriavano le bufere di neve si suonava una campana «per orientare i viaggiatori smarriti e chiamarli a pietoso rifugio durante la tempesta». L'ospizio fu poi ampliato nel XVIII secolo, e vi si ricavò una cappella, che fu posta sotto la giurisdizione della sede apostolica. Nel 1823, quando fu aperta la nuova carrozzabile dello Spluga da parte del regno lombardo-veneto sotto l'Austria, fu ristrutturata la dogana e sul lato opposto della strada fu costruita nel 1825 la chiesetta di San Francesco con pala del santo patrono che riceve le stimmate, firmata nel 1841 da Giovanni Pock. Alla Ca' i vettori dei «Porti» di Val del Reno e quelli di Val San Giacomo si scambiavano le merci dirette rispettivamente a sud e a nord del valico. Qui sostava e faceva dogana la corriera di Lindau, che già nel 1823 in trentasei ore correva dal Lago di Costanza a Milano.”


Alta Valle Spluga dal corridoio che introduce al passo di Suretta (clicca qui per ingrandire)

Riportiamo anche le notazioni di Giovanni Guler von Weineck, che, nell’opera “Rhaetia” (Zurigo, 1616), scrive: “Salendo dal villaggio di Spluga in cima al passo e scendendo poi un poca per il versante italiano, s'incontra un edificio in muratura detto Alla-casa, dove, durante le furiose tormente,si rifugiano le bestie da soma e di viandanti. Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questi monti, se non vi fosse questo ricovero. Il luogo circostante è cosi elevato, selvaggio e gelido, che non produce legna di sorta. Perciò la legna. necessaria per la cucina e per il riscaldamento, vi deve essere condotta a soma dal basso dl ambedue i versanti. Davanti al ricoverosi stende una pianura discretamente larga, che per otto mesi all'anno è coperta da un bianco strato di neve, mentre negli altri quattro mesi vi cresce un poco di erba e di pascolo.”


Lago di Montespluga

Ecco, infine, come G. B. Crollalanza, nella sua monumentale “Storia del contado di Chiavenna” (Milano, 1867), descrive questi luoghi:
A Teggiate s'incontra la prima Casa Cantoniera stabilita e mantenuta dal governo per dar ricovero e soccorso ai viaggiatori assaliti dalla tempesta, e alla Stuetta una seconda Cantoniera, dopo la quale si apre una spaziosa ma deserta pianura, in fondo a cui sorge la Casa detta della Montagna a 1904 metri sul livello del mare, antica dogana italiana, oggi semplice posto di guardie doganali. Quivi presso sorgono altre fabbriche ben costruite, fra le quali la chiesa, la casa del R. Cappellano, l'abitazione per l'Ingegnere di riparto e per gli altri inservienti della strada, ed un comodo albergo. In questo punto non è cosa rara che nell'inverno vi sia della neve che giunge fino alle finestre del primo piano, e duranti le tempeste si suona la campana della chiesa per guidare i viaggiatori.
Poco lungi dalla casa della Montagna s'incontra la terza Cantoniera, e quindi subito dopo la sommità dello Spluga, ove in quel luogo che à forma di piazza è marcato il confine fra l'Italia e la Svizzera. La elevatezza di questo punto sul livello del mare è di 2117 metri, e su quello del lago di Como è di 1919; ed una vecchia torre si trova alla sommità del passaggio, da dove volgendo le sguardo al ponente si scorge la bella aguglia di Tambohorn che servì di segnale trigonometrico con stupendi feldispati bianchi e turchini, e talco e clorite color d'uliva, in mezzo al gneis stratificato verticalmente, cui poi verso l'alpe di Loga congiungonsi la tormalina, la quarzite, l'orniblenda. Superata la vetta dello Spluga, la strada discende sino al paese grigione di questo nome, donde per la valle del Reno si va a Coira.”
Lo scenario, in passato, doveva, quindi, essere assai più severo: la convergenza e la circolazione delle correnti favorivano, nella zona del passo, abbondanti precipitazioni, per cui qui si poteva davvero sperimentare quanta fatica costasse all’uomo riuscire a convivere con le asperità del clima e della montagna. Oggi tutto appare più addomesticato ed ingentilito.


Apri qui una fotomappa dei sentieri nella zona di Montespluga

Torniamo al resoconto dell’escursione. Lasciata Monstespluga, dobbiamo ora per un buon tratto seguire la ss 36 dello Spluga, verso destra, cioè in direzione del lago di Montespluga, seguendone il lato nord-orientale, fino al nucleo di baite delle Alpi di Suretta. Poco oltre, dalla strada statale si stacca una pista sterrata, che conduce ad un ponte sul torrente Suretta (m. 1910).
Sul limite basso dei prati sovrastanti vediamo il cartello della Comunità Montana Val Chiavenna (percorso C14) che indica la partenza del largo sentiero per il bivacco. Imbocchiamo il sentiero, ben marcato, che sale con diverse serpentine (poco a sinistra del torrente) ad una prima piana, superando il recinto dell’alpe Suretta (filo). Un breve strappo ci porta ad una seconda più ampia piana, dalla quale si apre il verde circo di quella che la carta IGM chiama Val Suretta. Qui, prestando un po’ di attenzione ai segnavia (bianco-rossi e rosso-bianco-rossi) superiamo, da destra a sinistra, due rami del torrente Suretta (che, in alto, propria sopra la nostra testa, regala il bello spettacolo delle cascate), e procediamo in direzione di una ripida china erbosa che ci sta proprio davanti.


Apri qui una fotomappa dei sentieri nel gruppo del Suretta

Attaccato il versante, il sentiero lo risale per un tratto, sempre zigzagando; poi si dirige a sinistra, portandosi ad una seconda ampia e ripida china, sulla quale continua a guadagnare quota. Si alternando rapide serpentine a traversi verso sinistra. In alcuni punti piccoli smottamenti impongono un po’ di attenzione. Passiamo, così, sotto alcune rocce levigate, spostandoci a sinistra rispetto al ripido salto roccioso della cascata. Poi il sentiero volge a destra, e si avvicina proprio a questo salto.
Inizia, così, il tratto più impegnativo della salita. Il sentiero è particolarmente ripido e con fatica superiamo un breve smottamento ed alcune roccette affioranti che ci impongono di aiutarci con le mai. Poi siamo ad un tratto esposto: alla nostra destra si apre un impressionante e verticale canalone roccioso (consiglio: evitiamo di guardare in basso) e le corde fisse non sono affatto superflue per passare in sicurezza. Oltrepassato il tratto esposto, un ultimo strappo ci porta alle soglie dell’ampia sella dalla quale precipita, alla nostra destra, la cascata del Suretta. Dobbiamo superare una prima fascia di massi, prima di guadagnare la sella (m. 2520), sulla quale è posto un grande ometto. La meritata sosta ci permette di godere del panorama che da qui si apre: davanti a noi, verso ovest, la sella del passo di Suretta (m. 2580), alla cui destra vediamo, in primo piano, la punta Levis (m. 2690). Proseguendo in questo giro di orizzonte in senso orario, vediamo, sul lato opposto del torrente Suretta, un piccolo laghetto in parte gelato anche a stagione inoltrata. Alle sue spalle, sul fondo, il caratteristico corno del monte Legnone, sul limite occidentale della lontana catena orobica. Seguono alcune cime della val Garzelli, laterale della Val Bodengo (punta Anna Maria, pizzo Ledù). Ecco, poi, le cime del versante occidentale della Valle Spluga, fra le quali spiccano la punta del pizzo Quadro (m. 3013), quelle più marcate dei vicini pizzi Piani (m. 3158) e pizzo Ferrè (m. 3103) e la poderosa mole del pizzo Tambò (m. 3114), sull’angolo nord-occidentale della Valle Spluga.


Apri qui una fotomappa del sentiero C14 per il bivacco Suretta

I segnavia dettano l’ulteriore percorso: senza attraversare il torrente che corre a pochi passi da noi, ed ignorando segnavia e segnalazione per il passo di Suretta, proseguiamo alla sua sinistra, allontanandoci gradualmente dal torrente e rimontando un ampio cordone morenico. Raggiunto il filo del cordone, cominciamo a risalirlo, su sentiero ben marcato e non troppo faticoso. Per un buon tratto non abbiamo idea di cosa dello scenario che si nasconde a nord, diritto davanti a noi; poi, raggiunta la sommità dell’ampio cordone, si apre uno splendido quadro di alta montagna, un mare disseminato da materiale morenico e parzialmente coperto dalla vedretta del Suretta. Sovrasta il tutto l’ampio circo delle cime e dei versanti del gruppo del Suretta, tormentati e ricchi di sfumature di colore, dal color ruggine al bianco, dal grigio pallido a quello cupo. Vediamo, in cima ad una marcata collina morenica, leggermente a sinistra, lo scatolone rosso del bivacco. Seguendo i segnavia ci portiamo ad un nevaio che costituisce il lembo occidentale della vedretta del Suretta e lo attraversiamo quasi in piano, ma pur sempre con la dovuta attenzione. La traversata ci porta proprio ai piedi della collina del bivacco: ne attacchiamo il versante e raggiungiamo un ripiano, oltre il quale il sentiero propone l’ultimo strappo che ci porta alla sua sommità, dove, accanto ad un grande ometto, troviamo il bivacco Suretta (m. 2748). Lo abbiamo raggiunto in circa 5 ore e mezza di cammino, superando un dislivello approssimativo in salita di 840 metri.


Il bivacco Suretta

Il bivacco, di proprietà del CAI di Valle Spluga, è stato realizzato su progetto dell'architetto Silvano Molinetti e collocato qui nel 1983. Nel mini-locale di 3,60 per 2,60 metri trovano posto nove brande, con materassi e coperte, un tavolo con due panche, un fornelletto, stoviglie e cassetta di pronto soccorso. L'energia elettrica è assicurata da un pannello fotovoltaico. Si chiede a chi ne fruisce di lasciare in una cassetta apposita 5 Euro e 3 se socio CAI.Alle sue spalle, a nord, le cime del gruppo del Suretta (da sinistra, le Cime Cadenti, la Punta Nera, la Punta Rossa, la più facile da riconoscere per il suo profilo svelto e regolare, e la Punta Adami). Procedendo in senso orario, l’ampio crinale scende al pizzo Ursareigls (o Orsareigls, o Ursaregls, m. 2845), alla cui destra si apre l’ampia sella del passo Suretta, bella finestra dietro la quale si pavoneggia il pizzo di Emet (o Timùn, m. 3208). Guardando a sud vediamo, quasi sovrapposte, le cime del monte Mater (m. 3023), del pizzo Stella (m. 3163), di cui occhieggia appena la punta, e del monte Groppiera (m. 2948), che sovrasta Medesimo. Sul fondo, da sud ad ovest, ecco lo scenario che abbiamo già descritto dalla sella della cascata: monte Legnone, cime della val Garzelli, pizzi Quadro, Piani, Ferrè e Tambò. A destra del pizzo Tambò si apre anche una breve finestra sulle alpi svizzere.

Possiamo ora conoscere qualcosa di più sulle splendide cime che si innalzano di fronte a noi. Il gruppo del Suretta sorveglia il lato nord-orientale dell’alta Valle Spluga. Giovanni De Simoni nel suo bel volumetto “Toponimia dell’alta valle Spluga” (CCIAA, Sondrio, 1966), ci offre le seguenti interessanti informazioni su questo gruppo, sulla breve valle e sull’alpe che si stendono ai suoi piedi:
Surèta (alp de); Surèta (Vedrècc' de); Surèta (el).
L'alpe si estende non soltanto sulla zona indicata dall'IGM ma anche sulla parte qui sopra delimitata, a sinistra dell'aval de surèta e fino al confine con l'alpe Andossi. Altra parte, comprese le principali baite, è stata sommersa nel lago artificiale. Nella parte più elevata stanno il ghiacciaio e la corona di vette del Pizzo che gli alpinisti hanno provveduto a distinguere battezzandole (da O a E) Cime Cadenti, Punta Nera, Punta Rossa, Punta Adami. Da el surèta per antonomasia, ossia dal pizzo, scende verso N NE una bella vallata - omonima - che confluisce nel Reno in prossimità de paese di Sur (ted. Sufers); non è perciò facile stabilire se questa famiglia di toponimi ha preso origine dalla vallata renana o dal versante abduano, tanto più che in antico i due versanti erano abitati dalle stesse genti. Etimologicamente, penso col Sertoli (contra Olivieri) ad una derivazione da super, però nella forma superlativa: soprana. Il Ghié spiega la valdostana valsorèi come «la vallée d'en haut», da un lat. superatam, e vi associa espressamente lo splugano Suretta e l'engadinese Suvretta. La versione Saretta (Scheuchzer, anno 1716) potrebbe tuttavia far pensare ad una derivazione da «savoretta», nome che ritroviamo negli antichi inventari di Bormio e negli Stat. bosch., pure bormimi, per indicare il Sobretta (sóbréta), usato come qualificativo di una zona di pastura sàpida, ma di enti oggi non ho trovato nè ricordo nè traccia.”


Apri qui una panoramica del gruppo del Suretta

Il gruppo è costituite da una serie di cime: le Cime Cadenti, la Punta Nera (massima elevazione del gruppo, 3027 metri, pizzo Suretta IGM), la Punta Rossa (m. 3015) e la Punta Adami (m. 2968).
Ottimo scenario per gustare, una volta ancora, del gusto agro-dolce del giorno che muore.


Clicca qui per aprire una panoramica a 360 gradi dal bivacco Suretta

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo (CNS), che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Anche le carte sopra riportate sono estratti della CNS. Apri qui la carta on-line

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APPROFONDIMENTO: MONTESPLUGA ED IL PASSO DELLO SPLUGA

Luigi Brasca, nella monografia “Le montagne di Val San Giacomo” (CAI Torino, 1907), scrive: “Oggi la strada dello Spluga è percorsa ogni estate da una fiumana di turisti: ma quanti di costoro pensano alle memorie del passato, pur così rudemente vive negli avanzi delle strade romane e medioevali, che il tempo rispetta, ancora e più di quello che non abbian voluto gli uomini? Qua, là, tra le verdi erbe dei pianori al fondo della valle, o per entro le gole oscure, o sotto i macigni di una frana, appaiono ancora vestigia di muraglioni, di selciati, di torri; lì passavano le antiche mulattiere storiche, che videro le orde barbariche forse, le legioni di Stilicone, il livore di Barbarossa dopo il ricordo di Legnano, e il coraggio di Macdonald, … precursore dell’alpinismo invernale.


Sentiero del Cardinello

Certo che nessuno di quei condottieri famosi pensò che i posteri mattoidi avrebbero avuto la temerità di misurarsi con quei gioghi paurosi che incutevano tanto sacro terrore, … e men che meno poi che ci avrebbero trovato tanto gusto. Né la descrizione d’un passaggio come quello della Divisione Macdonald, compiuta dal 27 novembre al 4 dicembre del 1800, sotto una tormenta furiosa, doveva servire d’incoraggiamento. “Salendo da Tusizio” l’avanguardia condotta dal generale Laboissière, giunta “con penosi passi ed infinito anelito” quasi alla sommità del passo, è colta dalla bufera; “la quale, furiosamente soffiando sul dorso delle nevi ammonticchiate sopra quegli sdrucciolevoli gioghi, levava una orribile smossa di neve che con indicibile velocità e fracasso nelle sottostanti valli piombando, portò con sé a precipizio quanto le si era parato davanti”… i superstiti scapparono giù di nuovo a Splügen.


Sentiero del Cardinello

Arrivato Macdonald, si ritenta la prova; passano tre squadre; ma, all’ultimo giorno, mentre deve passare la retroguardia, col Macdonald stesso, altra bufera come sopra; … “le guide, uomini del paese, atterrite, attestavano l’impossibilità di passare e l’opera loro ricusavano” … ma il Macdonald non cede, e si va avanti; … “le guide, piene di un alto terrore, tornavano indietro; spesso gli uomini sepolti, spesso dispersi…; si aggiungeva un freddo intensissimo, maggiore quanto più si saliva e che gli animi attristava e prostrava, e le membra con renderle, aggrezzava”. Finalmente, superato il passo, “rallegravansi dell’acquistata vita l’uno coll’altro, poiché si erano creduti morti…” … che il percorso seguito dall’antica mulattiera fosse pericoloso, e pericolosissimo poi d’inverno, è facile vedere, pensando che essa seguiva le due gole del Cardinello e del Liro, battute da frane e valanghe, ed ogni tanto devastate dalle piene del fiume.”


Apri qui una panoramica del lago di Montespluga

Mntespluga ed il passo dello Spluga sono fra i più interessanti luoghi dell'arco alpino centrale. La loro storia riserva numerosi elementi di interesse e suggestione.
A Montespluga un pannello illustrativo racconta la sua storia: “La località fu nota fino agli inizi del XIX secolo come «Ca' de la montagna» per l'osteria-ospizio qui esistente fin dall'alto Medioevo, ma documentata solo a partire dal XIV secolo (oggi è l'albergo Vittoria). Uno scrittore degli inizi del Seicento annota «Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questo monte, se non vi fosse questo ricovero». Qui, quando infuriavano le bufere di neve si suonava una campana «per orientare i viaggiatori smarriti e chiamarli a pietoso rifugio durante la tempesta». L'ospizio fu poi ampliato nel XVIII secolo, e vi si ricavò una cappella, che fu posta sotto la giurisdizione della sede apostolica. Nel 1823, quando fu aperta la nuova carrozzabile dello Spluga da parte del regno lombardo-veneto sotto l'Austria, fu ristrutturata la dogana e sul lato opposto della strada fu costruita nel 1825 la chiesetta di San Francesco con pala del santo patrono che riceve le stimmate, firmata nel 1841 da Giovanni Pock. Alla Ca' i vettori dei «Porti» di Val del Reno e quelli di Val San Giacomo si scambiavano le merci dirette rispettivamente a sud e a nord del valico. Qui sostava e faceva dogana la corriera di Lindau, che già nel 1823 in trentasei ore correva dal Lago di Costanza a Milano.”


Montespluga

Riportiamo anche le notazioni di Giovanni Guler von Weineck, che, nell’opera “Rhaetia” (Zurigo, 1616), scrive: “Salendo dal villaggio di Spluga in cima al passo e scendendo poi un poca per il versante italiano, s'incontra un edificio in muratura detto Alla-casa, dove, durante le furiose tormente,si rifugiano le bestie da soma e di viandanti. Uomini e giumenti troppo spesso perderebbero la loro vita su questi monti, se non vi fosse questo ricovero. Il luogo circostante è cosi elevato, selvaggio e gelido, che non produce legna di sorta. Perciò la legna. necessaria per la cucina e per il riscaldamento, vi deve essere condotta a soma dal basso dl ambedue i versanti. Davanti al ricoverosi stende una pianura discretamente larga, che per otto mesi all'anno è coperta da un bianco strato di neve, mentre negli altri quattro mesi vi cresce un poco di erba e di pascolo.”


Lago di Montespluga

G. B. Crollalanza, nella sua monumentale “Storia del contado di Chiavenna” (Milano, 1867), a sua volta così descrive questi luoghi:
A Teggiate s'incontra la prima Casa Cantoniera stabilita e mantenuta dal governo per dar ricovero e soccorso ai viaggiatori assaliti dalla tempesta, e alla Stuetta una seconda Cantoniera, dopo la quale si apre una spaziosa ma deserta pianura, in fondo a cui sorge la Casa detta della Montagna a 1904 metri sul livello del mare, antica dogana italiana, oggi semplice posto di guardie doganali. Quivi presso sorgono altre fabbriche ben costruite, fra le quali la chiesa, la casa del R. Cappellano, l'abitazione per l'Ingegnere di riparto e per gli altri inservienti della strada, ed un comodo albergo. In questo punto non è cosa rara che nell'inverno vi sia della neve che giunge fino alle finestre del primo piano, e duranti le tempeste si suona la campana della chiesa per guidare i viaggiatori.


Lago di Montespluga

Poco lungi dalla casa della Montagna s'incontra la terza Cantoniera, e quindi subito dopo la sommità dello Spluga, ove in quel luogo che à forma di piazza è marcato il confine fra l'Italia e la Svizzera. La elevatezza di questo punto sul livello del mare è di 2117 metri, e su quello del lago di Como è di 1919; ed una vecchia torre si trova alla sommità del passaggio, da dove volgendo le sguardo al ponente si scorge la bella aguglia di Tambohorn che servì di segnale trigonometrico con stupendi feldispati bianchi e turchini, e talco e clorite color d'uliva, in mezzo al gneis stratificato verticalmente, cui poi verso l'alpe di Loga congiungonsi la tormalina, la quarzite, l'orniblenda. Superata la vetta dello Spluga, la strada discende sino al paese grigione di questo nome, donde per la valle del Reno si va a Coira.”
Lo scenario, in passato, doveva, quindi, essere assai più severo: la convergenza e la circolazione delle correnti favorivano, nella zona del passo, abbondanti precipitazioni, per cui qui si poteva davvero sperimentare quanta fatica costasse all’uomo riuscire a convivere con le asperità del clima e della montagna. Oggi tutto appare più addomesticato ed ingentilito.


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La Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio nel 1884 (II edizione), a cura di Fabio Besta, così presenta il passo dello Spluga: "Lo Spluga è fra i valichi delle Alpi conosciuti dai Romani, ma fino al 1818 non era sormontato che da una strada mulattiera. Federico Barbarossa nella sua quarta calata in Italia, prima della ricostruzione di Milano, passò questo valico e si fermò a Chiavenna. V'è un quadro nella Pinacoteca di Roma che ricorda questa presenza di Barbarossa in Chiavenna. Più tardi Macdonald dal 27 novembre al 4 dicembre 1800 fece valicare questo passo da una intera divisione destinata a coprire i fianchi dell'armata d'Italia... Intere valanghe furono da valanghe staccatesi dal monte trascinate in un burrone mentre tentavano attraversare la gola di Cardinello. La bella strada internazionale che attraversa lo Spluga venne costrutta per ordine del governo austriaco dal 1819 al 1821 sugli studi dell'ing. Carlo Donegani. Oltrepassato il giogo dello Spluga e la Terza Cantoniera (2067 m.) si giunge al piano della Casa, dove v'ha la dogana e una modesta osteria. La valle, qui sterile e tetra, è circondata da alte e scoscese montagne. Nell'invernola neve vi cade alta tanto da innalzarsi al di sopra del primo piano; cosicchè a volte per mettere in comunicazione la dogana colla vicina osteria è mestieri scavare entro la stessa neve una galleria."


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Queste note danno solo una prima ed approssimativa idea dell'importanza del passo dello Spluga, il quale, per la sua posizione centrale nell'arco alpini, costituì la più diretta via di comunicazione fra paesi di lingua germanica e bacino padano. Molto probabilmente fu valicato prima ancora degli albori della storia. I ritrovamenti nei siti del vicino Pian dei Cavalli attestano infatti la presenza di nuclei di cacciatori nomadi nel Mesolitico, cioè circa 10.000 anni fa. Questi cacciatori salivano al Pian dei Cavalli partendo da campi-base posti sul fondovalle (ma può darsi che venissero anche dal versante opposto della catena alpina), accendendo fuochi e collocando tende. Questo luogo consentiva loro di dominare la valle sottostante, avvistando le prede più ambite, i cervi. In epoca storica furono i Romani a sfruttare il valico nel contesto della campagna militare posta in atto tra il 16 ed il 7 a. C. per sottomettere le popolazioni retiche.


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Due documenti di età imperiale romana, infatti, riportano la via dello Spluga: si tratta dell'Itinerarium Antonini, redato al tempo di Diocleziano, e della Tavola Peutingeriana, copia medievale di una carta romana di età imperiale. Vi si menzionano Tarvedese, probabilmente Campodolcino, dove la strada vera e propria terminava, lasciando il posto alla mulattiera percorsa appunto da muli, che superava l'aspro versante della Valle del Cardinello e raggiungeva Cunu Areu, cioè Montespluga, pero pi salire al passo. Fino all'età medievale fu questa l'unica via per valicare il passo. Ad essa dal 1223 si affiancò quella che da Campodolcino saliva a Madesimo ed al passo di Emet. La prima rimase però la più utilizzata nella stagione invernale.


Isola

Al transito dei soldati seguì, per i passi dello Spluga, del San Bernardino e del Settimo, quello dei mercanti, che salivano per l'importante arteria che percorreva il lato occidentale del lago di Como, proseguiva fino a Chiavenna e di qui a Campodolcino, per lasciare poi il posto ad una larga mulattiera che forse veniva percorsa anche da piccoli carri. Raggiunto il passo dello Spluga, tenuto aperto anche d'inverno, il percorso scendeva fino alla valle del Reno Posteriore ed a Coira, seguendo la Viamala. Questo fu l'itinerario percorso per secoli dalle merci più diverse, fra cui cereali, riso, sale, latticini, vino, pelli, cuoio, tessuti, argenteria, armi, armature, spezie. La sua importanza economica indusse nel 1473 a porre in atto lavori per porre in sicurezza il transito attraverso la profonda forra della Viamala, mentre nel 1643 fu tracciata una via più sicura in un altro nodo critico di passaggio, la valle del Cardinello. I commerci venivano gestiti fin dal basso Medioevo da corporazioni di contadini-someggiatori, chiamate Porti, che ne detenevano il monopolio e curavano la manutenzione di strade e ponti. I trasporti venivano poi scanditi dalle soste, dove le merci venivano trasbordate a cura di operatori locali.
In quel periodo giungevano a Splügen, sul versante elvetico ai piedi del passo, da 300 a 400 animali da carico, che procedevano nelle "stanghe" composte da 6 o 7 bestie collegate da una speciale imbastatura e guidate da un somiere.


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Solo nel primo quarto dell'Ottocento la costruzione della carrozzabile del San Bernardino e di quella tracciata dall'ingegner Carlo Donegani allo Spluga fra il 1818 ed il 1823 modificò profondamente questo sistema. Sul versante italiano la strada dello Spluga abbandonava le pericolose gole del Cardinello sfruttando un percorso più sicuro con l'ardito tracciato che saliva a Pianazzo. Dopo l'alluvione del 1834 che ne danneggiò gravemente diversi tratti da Campodolcino ad Isola, venne costruito l'arditissimo tratto che coincide con il tracciato attuale, e che da Madesimo sale direttamente a Pianazzo, tagliando fuori Isola e risalendo il vertiginoso versante dello Scenc'. La nuova strada, aperta nel 1838, diede un grande impulso ai transiti commerciali e turistici, regalando per qualche decennio al passo dello Spluga il primato indicusso fra i valichi delle Alpi Centrali, tanto da giustificare i non indifferenti sdorzi per tenerlo aperto lungo l'intero arco dell'anno.


Il passo dello Spluga

Il tramonto della sua centralità strategica fu poi segnato dall'apertura delle gallerie del Brennero (1867), del Moncenisio (1872) e del San Gottardo (1882). Per ovviare a questo delino venne formulato il progetto del traforo dello Spluga, che però non si concretizzò mai. I transiti commerciali terminarono, lasciando però il posto ai più diradati ma anche suggestivi transiti di turisti e viaggiatori. Non pochi furono gli artisti, gli scienziati ed i pensatori famosi che passarono per lo Spluga, da Erasmo da Rotterdam nel 1509 a Johann Wolfgang Goethe nel 1788, da William Turner nel 1843 a Friedrich Nietzsche nel 1872, da Jacob Burckhardt nel 1878 a Henry James, da Giosuè Carducci, che visitò il passo più volte durante i suoi soggiorni estivi a Madesimo tra il 1888 ed il 1905, ad Albert Einstein nel 1901, per citare solo i più famosi. In particolare, il sommo poeta tedesco Goethe varcò lo Spluga, di ritorno dal suo viaggio in Italia, alla volta di Weimer. Andersen vi passò qualche decennio dopo e, sceso a Chiavenna, si vide rifiutare una tazza di caffè e latte perché si era di venerdì ed il latte era proibito dal precetto del magro. Nel 1922 il celebre poeta Giovanni Bertacchi , nel discorso scritto per le celebrazioni del centenario della nuova strada dello Spluga, con queste parola descrive il mesto tramonto della più antica via del Cardinello: "Ora il passo del Cardinello è abbandonato, la vecchia mulattiera si viene in più tratti sgretolando, mentre qualche solingo viandante rifà la yraccia antica, ammira la scena mirabimente selvaggia, ascolta le voci arcane della montagna, se mai vi riecheggia ancora il tumulto del passaggio di MacDonald, recante fra stenti di ogni sorta, nel dicembre dell'800, i soccorsi incovaci dal Bonaparte."


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Ecco, infine, la descrizione della strada dello Spluga da Campodolcino allo Spluga, così come si legge nella Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio nel 1884, a cura di Fabio Besta (II edizione): "Lasciato Campodolcino, la strada si va elevando verso Pianazzo per mezzo di arditi e stupendi andirivieni tagliati nel vivo masso, e che presentano all’atterrito viaggiatore uno spaventevole abisso. Lungo questo tratto di strada si scorge più volte la cascata maestosa di Pianazzo, e a sinistra del Liro quella più umile ma graziosissima che scende dai monti di Starleggia. Finalmente si penetra per entro una maestosa galleria tagliata sul vivo, trascorsa la quale si giunge alla predetta cascata di Pianazzo, che accogliendo le abbondanti acque del Medesimo si precipita da un soglio all'altezza di 200 metri nella sottoposta valle, dove va a confondersi col Liro colle sue fredde acque che scaturiscono dai vicini ghiacciai.


Lago di Montespluga

La nuova strada che da Pianazzo procede alla sommità dello Spluga evita la pericolosa gola del Liro fra Isola e Campodolcino, e ivi la vegetazione degli alberi incomincia a languire finchè sparisce del tutto. Però ad essa succedono estesi pascoli che nella stagione estiva danno alimento a molteplici armenti di ogni specie degli abitanti della pianura che vengon quivi a respirare l'aria salubre della montagna. Questa nuova strada sale a poco a poco a mezzo d'innumerevoli andirivieni lungo il declivio della montagna, ed è protetta contro le lavine da un paravalanghe aperto e da due lunghe gallerie murate e coperte di tettoje inclinate e appoggiate sopra piloni per facilitare lo sdrucciolamento della neve, e per entro le quali la luce penetra a mezzo di aperture fatte a guisa di cannoniere. Il paravalanghe, ossia la prima galleria, è detta delle Acque Russe, ossia delle acque minerali, le quali nel discendere lungo i dirupi del monte si coloriscono con un deposito rossiccio e formano graziose concrezioni calcari, ed è lunga circa 400 metri. Sotto questa galleria, e precisamente nel punto denominato il Passo della Morte, sì spalanca da un lato della strada un precipizio così profondo da oltrepassare í 360 metri sul suo livello inferiore. Passata questa galleria, l'antico sentiero posto sulla sinistra discendeva diretto e scabroso ad Isola in mezzo alla stretta gola del Cardinello; il qual passaggio era esposto alle lavine che nell'inverno minacciavano bene spesso la vita dei miseri viandanti. La seconda galleria è detta di Valbianca, ed è lunga metri 202, alla quale succede quella ancor più lunga di Buffalora, la quale si estende a metri 221: 80.


Isola

A Teggiate s'incontra la prima Casa Cantoniera stabilita e mantenuta dal governo per dar ricovero e soccorso ai viaggiatori assaliti dalla tempesta, e alla Stuetta una seconda Cantoniera, dopo la quale si apre una spaziosa ma deserta pianura, in fondo a cui sorge la Casa detta della Montagna a 1904 metri sul livello del mare, antica dogana italiana, oggi semplice posto di guardie doganali. Quivi presso sorgono altre fabbriche ben costruite, fra le quali la chiesa, la casa del R. Cappellano, l'abitazione per l'Ingegnere di riparto e per gli altri inservienti della strada, ed un comodo albergo. In questo punto non è cosa rara che nell'inverno vi sia della neve che giunge fino alle finestre del primo piano, e duranti le tempeste si suona la campana della chiesa per guidare i viaggiatori.


La cascata di Pianazzo congelata

Poco lungi dalla casa della Montagna s'incontra la terza Cantoniera, e quindi subito dopo la sommità dello Spluga, ove in quel luogo che à forma di piazza è marcato il confine fra l'Italia e la Svizzera. La elevatezza di questo punto sul livello del mare è di 2117 metri, e su quello del lago di Como è di 1919; ed una vecchia torre si trova alla sommità del passaggio, da dove volgendo le sguardo al ponente si scorge la bella aguglia di Tambohorn che servì di segnale trigonometrico con stupendi feldispati bianchi e turchini, e talco e clorite color d'uliva, in mezzo al gneis stratificato verticalmente, cui poi verso l' alpe di Loga congiungonsi la tormalina, la quarzite, l'orniblenda. Superata la vetta dello Spluga, la strada discende sino al paese grigione di questo nome, donde per la valle del Reno si va a Coira.
Da Pianazzo, deviando ora dalla strada postale, si può discendere al comune d'Isola, cui presentemente conviene con giusta ragione applicare questo nome, il perché tolta la via di comunicazione diretta con Campodolcino per le devastazioni del fiume nel 1834 restò quel paese isolato; e i suoi abitanti non ànno oggi altra risorsa fuori del prodotto del fieno e dei pascoli di cui abbonda il suo territorio. Dalla sommità più alta del monte che sorge sulla sinistra d'Isola in forma di argentea striscia si precipita il fiume Liro colle fredde sue acque che scaturiscono dai vicini ghiacciai
."


Montespluga

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