CARTE DEI PERCORSI: VAL DEI RATTI, BASSA
VAL DEI RATTI, MEDIA VAL
DEI RATTI, ALTA VAL DEI
RATTI, CARTA GENERALE
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SU
YOUTUBE VAL DEI RATTI 1,
2 - LA CHIESETTA DI FRASNEDO
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Apri qui una panoramica della Val dei Ratti vista dalla
Croce GAM di quota 2585
Apri qui una fotomappa dell'alta
Valle dei Ratti
AGGIORNAMENTO
Il
testo che segue è "datato", fotografa la situazione di
qualche anno fa. Oggi (novembre 2011) le cose sono un po'
cambiate, per la presenza di due piste
agro-silvo-pastorali. La prima raggiunge la Foppaccia. La
seconda sale verso Frasnedo, ed ha raggiunto al momento la
Motta (m. 850 circa). Le piste sono chiuse al traffico dei
veicoli non autorizzati, ma è possibile acquistare il
permesso di transito giornaliero nei bar Val di Ratt,
Pinki, Milky, Circolo "Al Sert"; presso gli uffici
Comunali (tel. 0343 44137; www.comune.verceia.so.it)
è possibile anche acquistare un permesso annuale. Senza
tale permesso, la salita in valle parte dalla quota
piuttosto bassa di Vico (poco meno di 400 metri), dove,
peraltro, si trova solo uno slargo che consente il
parcheggio a circa 4 autoveicoli.
Inoltre a Frasnedo è stato aperto, il 10 maggio 2010, un
rifugio, posto proprio all'uscita dal paese (per chi sale
verso la media valle), il rifugio Frasnedo (per
informazioni: Elda 3336266504; Martin 331 9714350, Livio
338 4469448; Ufficio Verceia tel./fax. 0343 39503;
Contatti: info@rifugiofrasnedo.it
; sito web: www.rifugiofrasnedo.it
).
PRESENTAZIONE
La Val dei Ratti (o Valle dei Ratti), in rapporto alla sua ampiezza ed alle possibilità escursionistiche offerte, è molto probabilmente la meno nota ed apprezzata fra le valli non solo della Valchiavenna, ma dell’intera provincia. Non senza motivo. È, insieme alla Val Codera (che però gode di una ben maggiore notorietà, anche per essere attraversata dalla prima tappa del celeberrimo Sentiero Roma), l’ultima valle di una certa ampiezza (il torrente Ratti la percorre per 11 km) che non è servita da una carrozzabile e che quindi si lascia visitare solo con grande fatica e dispendio di sudore. La valle, che si apre alle spalle di Verceia (anche se appartiene nella sua quasi totalità amministrativamente, al comune di Novate Mezzola), resta quindi, per i più, un enigma, emblema di una montagna che, pur non avendo nulla da invidiare alle mete più frequentate, è stata risparmiata dalle peregrinazioni di massa delle frotte di turisti alla ricerca di frescure a portata di motore. Resta là, nascosta, alle spalle della solare Costiera dei Cech, resta il regno degli abitanti di Verceia che, d’estate, animano il nucleo di Frasnedo, il suo baricentro, guardando gli sporadici turisti “forestieri” senza diffidenza, ma con l’orgoglio di chi si sente sovrano di un lembo alpino non privo di storia e di importanza anche economica (i suoi pregiati alpeggi furono, un tempo, in gran parte posseduti dalla nobile famiglia comasca dei Ratti, che hanno donato alla valle il nome).
Tramonto sulla media Valle dei Ratti
G. B. Crollalanza, nella "Storia del contado di Chiavenna" del 1867, ne accenna in questi termini: "A destra di Verceja si spicca la Valle dei Ratti, ove nella stagione estiva si fabbricano eccellenti formaggi, e dalla quale sgorga il ruinoso torrente che più d'una fiata disertò i vigneti e i campi di Verceja, e per il quale stanno in continua trepidanza gli abitanti dei vicini paesi di Campo e di Novate". In passato i pregiati alpeggi di questa valle arrivavano a caricare 700 capi bovini, senza contare capre e pecore.
La valle, prima laterale
orientale per chi entra da sud in Valchiavenna, scende ripida,
con andamento ovest, fino alle rive del lago di Mezzola, dalle
belle vette granitiche del cosiddetto nodo del Ligoncio, che
ha come vetta principale il pizzo omonimo (m. 3038), sul quale
si incontrano Val Spazza o Arnasca (Val Codera), Valle
dell’Oro (val Masino) e Valle dei Ratti. Sul suo versante
orientale, dal monte Bassetta, a sud (m. 2143) al monte
Spluga, o cima del Calvo (m. 2967), sull’angolo di nord-est
della valle, passando per il monte Sciesa (m. 2487), la cima
di Malvedello (m. 2640) e la cima del Desenigo (m. 2845),
domina la qualità di granito denominata serizzo.
Valle dei Ratti vista dal pizzo Ligoncio
Su quest’ampia dorsale si trovano alcuni importanti passi, da quelli della Piana (m. 2052), di Visogno (m. 2574) e del Colino (m. 2630), che congiungono la Costiera dei Cech alla Valle dei Ratti, ai passi gemelli di Primalpia (m. 2476) e bocchetta di Spluga (o Talamucca, m. 2526), che congiungono l’alta Valle dei Ratti alla Valle di Spluga (Val Masino). Il resto della testata della valle, che propone, da est ad ovest, il pizzo Ratti (m. 2907), il pizzo della Vedretta (m. 2925), il pizzo Ligoncio (m. 3038), le cime di Gaiazzo (m. 2920), la punta Magnaghi (m. 2871), la punta Como (m. 2846) ed il Sasso Manduino (m. 2888) sono, invece, il regno della qualità di granito denominata ghiandone. Qui troviamo il passo della Vedretta Meridionale (m. 2840), che consente di traversare in Valle dell’Oro (Val Masino) ed il più difficile passo della Porta o bocchetta di Spassato (m. 2820), che permette di traversare in alta Val Ladrogno (Val Codera).
Apri qui una videomappa del versante orientale
dell'alta Val dei Ratti
Questa sintetica presentazione giustifica la presenza nella valle di due strutture importanti, il rifugio Volta, dedicato all’illustre scienziato comasco (m. 2212) ed il bivacco Primalpia (m. 1980). Sintesi delle possibilità escursionistiche della valle è offerta anche da Ercole Bassi ne “La Valtellina – Guida illustrata”, del 1928 (V edizione): “Sbocca a Vercéja la scoscesa Valle dei Ratti o del Ratto, che sale a mattina. In alto vi sono alcuni alpeggi, goduti in comunione dai proprietari, che vi confezionano d'estate ottimi formaggi grassi, simili a quelli molto apprezzati di Val del Bitto e di Val di Lesina. Rimontando la Val dei Ratti si giunge alla capanna Volta del C.A.I. sez. di Como, e pel passo Primàggia (m. 2457) si scende in Valle Spluga, dalla quale per diversi sentieri si può calare in Val del Masino. La capanna Volta agevola le ascensioni al pizzo Ligoncio (m 3033), alla cima del Calvo (m. 2955), al monte Spluga (rn. 2845) che offre un panorama estesissimo; alla punta Como (m. 2900), al Colle Magnaghi (m. 2700) e ad altre vette interessanti.”
Dall’opera “La Valtellina (Provincia di Sondrio)”, di Ercole Bassi (Milano, Tipografia degli Operai, 1890), ricaviamo, poi, interessanti notizie sugli alpeggi (tutti di proprietà privata) di Val Codera e Valle dei Ratti, la prima interamente, la seconda in gran parte territorio del comune di Novate Mezzola (i dati si riferiscono rispettivamente al numero di vacche sostenute ed al reddito in lire per ciascun capo):
Molteplici sono le possibilità escursionistiche offerte dalla valle. Vediamole.
Punti di partenza ed arrivo
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Tempo necessario
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Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
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Verceia (parcheggio del Piazzo)-San
Sciücc-Tracciolino-Casten-Frasnedo
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2 h
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690
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E
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SINTESI.
Percorriamo la ss 36 in direzione di Chiavenna e,
usciti dalla prima galleria, la lasciamo prendendo a
destra al secondo svincolo di Verceia e portandoci
alle case del paese. Acquistato il pass di transito
giornaliero nei bar Val di Ratt,
Pinki, Milky o Circolo "Al Sert", traversiamo verso sinistra portandoci
alla parta alta del paese, dove parte la carozzabile
che sale passando per Vico e terminando ad una piazzola a quota 900 m. circa, dove possiamo parcheggiare. Per rendere però più completa l'escursione possiamo parcheggiare più in basso, allo slargo Piazzo (m. 650). Ci incamminiamo sulla
mulattiera che parte a lato della strada, passa a lato di una cappelletta (m. 664) ed in breve porta alla località denominata
San Sciücc (m. 860), dove si trovano
una struttura del gruppo ANA di Verceia ed una
cappelletta. La mulattiera riprende a salire poco oltre la cappelletta, fra grandi tronchi di castagno e qualche
betulla, intercettando a quota 910 metri, i binari del
Tracciolino. Proseguiamo sul lato
opposto e dopo breve salita, alcuni cartelli ci
segnalano la presenza, poco a monte della mulattiera,
del piccolo nucleo di Casten. Ci
affacciamo poi alla soglia della media valle,
incontrando la cappelletta della Val
d’Inferno, a 1171 m. La mulattiera ci porta
ad un bivio, segnalato da un cartello, che indica il
ramo di sinistra come direzione per Frasnedo (la sigla
S.I., che abbiamo già incontrato al Traccolino, sta
per Sentiero Italia), mentre quello di destra porta a
Moledana e Corveggia. Procediamo diritti e dopo un
tratto scalinato e qualche tornantino, incontriamo una
fontanella. Poi la selva si dirada progressivamente e
superiamo un tratto nel quale la mulattiera incide
alcune formazioni rocciose affioranti, volgendo in
direzione nord-nord-est. Qualche ultimo sforzo ci
porta al limite dell’ampia fascia di prati che ospita
Frasnedo. Superata una croce in ferro, ragigungiamo le
prime baite e traversando a destra giungiamo al
sagrato della chiesetta della Madonna delle
Nevi (m. 1287), dedicata anche a S. Anna.
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Apri qui una panoramica sul sentiero di accesso alla Valle
dei Ratti
Portiamoci,
con l’automobile, alla parte alta di Verceia,
sul lato sinistro, cercando le indicazioni per la Valle dei
Ratti. Acquistiamo il pass di accesso nei bar Val di Ratt,
Pinki, Milky, Circolo "Al Sert" e percorriamo una stradina che passa per la frazione
di Vico e procede fino ad una piazzola terminale a quota 900 metri. Per rendere più completa l'escursione possiamo però lasciare l'automobile un po' sotto, allo slargo del Piazzo (m. 650 circa).
Imbocchiamo,
dunque, la segnalata (segnavia bianco-rossi e
rosso-bianco-rossi) mulattiera per la Valle dei Ratti e per
Frasnedo, che parte a lato della strada. Il primo tratto, scalinato, risale il fianco di
una sorta di promontorio, e ci porta alla soglia di un
versante boscoso, dominato dai castagni, sul quale la
mulattiera, sempre assai larga, comincia a guadagnare quota,
con direzione est, passando nei pressi di una prima
cappelletta (m. 664, con un dipinto in avanzato stato di
degrado) e raggiungendo, dopo una quarantina di minuti o
poco più di cammino, l’ampia radura della località
denominata San Sciücc
(m. 860). Non sapremmo dire a quale figura di santo si
riferisca questa denominazione; tenendo presente, però, che
“sciücc” significa “grande
ceppo d’albero”, essa si attaglia assai bene al luogo,
caratterizzato dalla presenza di castagni secolari. Uno di
questi, infatti, è stato inserito fra gli alberi monumentali
della Provincia di Sondrio (Censimento del 1999): dal suo
tronco, il cui diametro ragguardevole misura 524 cm, si
elevano, però, ormai solo pochi esili rami, che non
superano l’altezza di 10 metri. Eppure questa memoria
vivente dei secoli passati non soffre della presenza di più
giovani e baldanzosi esemplari, e mostra una rara dignità
anche nell’evidente declino e senescenza. La radura ospita
una struttura utilizzata dagli Alpini di Verceia per le loro
feste estive.
La Val dei Ratti
Una seconda cappelletta ci riserva una sorpresa più unica che rara: il dipinto al suo interno mostra una Madonna, biondissima, con Bambino, altrettanto biondo, con in mano un rosario e circonfusa dalle nubi del cielo. Fin qui niente di originale. L’originalità sta nel piede della vergine, che sbuca dalla nube, rivestito di un vistoso ed improbabilissimo scarpone da montanaro, non sapremmo quanto utile in quel della Terra Santa o dell’alto dei Cieli, ma sicuramente intonato con lo spirito di questi luoghi. Difficile, però, che la versione originale del dipinto contemplasse questo dettaglio: una scritta ci informa che la cappella fu fatta edificare per sua devozione da Giova Batista Berino nel 1734. Sul lato della cappelletta possiamo leggere la preghiera dell’alpino: “Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la Provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l’animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad esser degni de le glorie dei nostri avi. Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore. Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga, fa che il nostro piede posi sicuro su le creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi, rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana. E tu Madre di Dio, candida più della neve, tu che hai conosciuto e accolto ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli alpini caduti, tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli alpini vivi ed in armi, tu benedici e sorridi ai nostri battaglioni e ai nostri gruppi. Così sia.” Nei pressi della cappelletta udiamo anche il rallegrante scroscio di un rivolo d’acqua, che una graditissima fontanella ci offre. Una rinfrescata non nuoce prima di riprendere il cammino.
La mulattiera sale ancora, fra grandi tronchi di castagno e qualche snella betulla, intercettando, dopo pochi minuti, a quota 910 metri, i binari del Tracciolino, la straordinaria decauville che congiunge il bacino di carico della Val Codera, che serve la centrale di Campo di Novate, con la diga di Moledana, in Valle dei Ratti. Uno straordinario tracciato, che corre, con andamento assolutamente pianeggiante, per circa dodici chilometri, tagliando valloni fra i più orridi e verticali si possano immaginare. Venne tracciata negli anni trenta del secolo scorso, per portare dalla Valle dei Ratti il materiale necessario a costruire la diga in Val Codera. Prendendo a sinistra, troviamo, dopo breve tratto, la casa dei guardiani, poi inizia la lunga traversata verso la Val Codera; prendendo a destra ci portiamo, invece, alla diga di Moledana, impressionante muraglia eretta all’imbocco dell’orrida forra nella quale precipita la bassa Valle dei Ratti.
Noi, però, salutiamo il Tracciolino e proseguiamo sulla mulattiera per Frasnedo, che continua a salire con andamento est. Dopo breve salita, alcuni cartelli ci segnalano la presenza, poco a monte della mulattiera, del piccolo nucleo di Casten (così è chiamato sulle carte, ma un cartello lo chiama Casc'tàn ed è citato anche come Castàn, con evidente derivazione da “castagno”). Di nuovo un riferimento al castagno, l’albero che regna incontrastato su questo segmento della valle. Saremmo inclini a pensare che da sempre esso abbia abitato le valli alpine, integrato perfettamente com’è nella magra economia di sussistenza delle sue popolazioni, data la versatilità degli usi alimentari della castagna; così, però, non è: fu introdotto, dai boschi appenninici dell’Italia centrale, in epoca romana e cominciò a soppiantare l’incontrastato dominio del faggio in età medievale.
Qui a Casten si respira, però, un’aria quasi cosmopolita: un simpatico cartello indica la direzione per Chiavenna e St. Moritz ed un altro definisce il gruppo di baite frazione d’Europa. Un terzo cartello, infine, posto dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, commemora la traversata della 55sima brigata Fratelli Rosselli, che, nel novembre del 1944, incalzata da un rastrellamento delle forze nazi-fasciste, passò di qui scendendo dall’alta Valle dei Ratti per effettuare la traversata in Val Codera sul Tracciolino ed espatriare in territorio elvetico per la bocchetta della Teggiola. Poco più avanti, a sinistra della mulattiera, un grande masso cavo raccoglie l’acqua di una sorgente, ed una scritta indica che si tratta di un “böi” (trogolo) di origine forse cinquecentesca.
Salendo ancora, ci affacciamo alla soglia della media valle, che comincia a regalarci qualche scorcio dal quale possiamo già apprezzarne, per quanto parzialmente, l’ampiezza. La soglia è presidiata da una terza cappelletta, a 1171 m., quella della Val d’Inferno (così si chiama il vallone laterale che precipita da nord nel solco principale della valle). Vi è raffigurata una Madonna con Bambino. Mentre Gesù, con volto singolarmente “adulto”, le cui fattezze richiamano quelle dei montanari di queste valli, addita con l’indice il cielo e volge lo sguardo, serio e compreso, lateralmente, la Madonna, con espressione dolcemente malinconica, guarda direttamente il viandante. Niente scarponi, questa volta. Le valli alpine sovrabbondano di questi segni della devozione popolare, che assumevano diverse funzioni: erano luoghi di sosta nella faticosa salita degli alpigiani al monte, sempre con un carico di molti chilogrammi, ed erano, insieme, invito alla preghiera ed a pensieri edificanti; spesso presidiavano luoghi pericolosi, soprattutto per l’esposizione, e quindi fungevano anche da segno della divina protezione; talvolta servivano anche da riparo in caso di intemperie.
Su un lato di questa cappelletta dobbiamo alla penna ed alla vena poetica di un tal Andreino (classe 1947) una simpatica poesiola che ne celebra il restauro: “Vegia capela de la Val d’Infern. Al me par er che andevi in Talamüchä, pasevi via quaivolt sempar de fughà e te vidivi ilò, in ör a sctreda, a fe la guardia a tüta la valeda. Te ne paset denenz de tüti ‘l nöt: tudesch, cuntrabandier e partigiani, ma te te mai tremeet, chära capela, driza ilò, impee a fe da sentinela. Pasevan i nos vec cul zainu in scpala, chilò i se fermevan a quintala; un fiuu, un pater, e dopu via debot, andevan a pusee cuntent ai crot. Adess i pasan via sempar de presa, se ferman piö ninch a cambiat i fiuu! La nef, al suu, vürün maledücheet töc i tö sant t’an quasi cancelet. “Quanta fadighä i nos vecc a fala sö” i disaran un dè i nos fiö, cun i falò d’ascteet, al frec d’invern, vegia capela de la Val d’Infern! An te farè növa, bela cumè prüma, senza scpecee chè i vegnin sö da Roma e quei che i pasarè cun gran riscpet i pensaran: “Parò ‘l 47”
Peccato doverla tradurre, magari pedestremente: “Vecchia cappella della Val d’Inferno. Mi pare ieri quando andavo in Talamucca, passavo via qualche volta di fretta e ti vedevo qui, sul ciglio della strada, a far la guardia a tutta la vallata. Te ne sono passati davanti di tutti i generi: tedeschi, contrabbandieri, partigiani, ma tu non hai mai tremato, cara cappella, dritta, qui, in piedi a fare la sentinella. Passavano i nostri vecchi con lo zaino in spalla e si fermavano qui per chiacchierare; un fiore, un pater e dopo via ancora, andavano anche più contenti ai crotti. Adesso passano via sempre di fretta, non si fermano più neppure a cambiarti i fiori! La neve, il sole e qualche maleducato hanno quasi cancellato tutti i tuoi santi. “Quanta fatica i nostri vecchi a costruirla”, diranno un giorno i nostri figli, con i falò d’estate, il freddo d’inverno, vecchia cappella della Val d’Inferno! Ti faremo nuova, bella come prima, senza aspettare che vengano su da Roma e quelli che passeranno con gran rispetto penseranno: “però, il ‘47”.
I riferimenti storici nella poesia testimoniano di come questa valle non fu in passato avulsa dalle vicende più generali di Valchiavenna e Valtellina. Già abbiamo visto come di qui passò, nel novembre 1944. la 55sima brigata partigiana Fratelli Rosselli, che aveva iniziato un lungo ripiego dalla Valsassina, per la Val Gerola, alla Costiera dei Cech, dalla quale era appunto scesa fin qui per passare in Val Codera sfruttando il Trecciolino e di qui guadagnare la Svizzera varcando la bocchetta della Teggiola. Di qui passarono, nel secolo scorso, anche molti contrabbandieri, che scendevano dalla Val Codera. Meno chiaro è il riferimento ai tedeschi. Potremmo pensare a truppe naziste, perché nel novembre del 1944 truppe nazifasciste salirono in valle per cercare di intercettare la citata ritirata della 55sima Rosselli e, fra il 29 ed il 30, saccheggiarono buona parte delle baite di Frasnedo dando anhe fuoco a quattro abitazioni. Anno tragico, il 1944, nel quale venne giustiziato dai partigiani il 16 luglio, all'alpe Primalpia, il pastore Costante Copes, sospettato di essere una spia, mentre il 16 novembre venne giustiziato a Verceia il partigiano Mario Copes.
Ma forse nel testo c'è un'allusione anche al celebre colonnello tedesco Pappenheim che, al servizio degli Spagnoli, combattè con successo, nel settembre del 1625, contro gli avversari, Francesi e Grigioni, nel contesto delle guerre per la Valtellina successive alla rivolta dei cattolici del 1620. Per suo ordine 700 soldati, guidati dal Perucci, compirono un’ardita traversata dalla Val Codera per il vallone di Revelaso e la forcella di Frasnedo, scendendo poi dalla Valle dei Ratti per sorprendere alle spalle le truppe franco-grigione di stanza a Verceia. La manovra riuscì in pieno e fu il preludio della ritirata di Francesi e Grigioni, che, presi alle spalle, lasciarono Verceia, che tenevano da qualche mese, e sgomberarono la bassa Valtellina fino a Traona.
La manovra voluta dal Pappenheim, che poi regalò un quadro celebrativo della sua vittoria alla chiesa di S. Fedele di Verceia, è così descritta nella “Storia della Valtellina” del Romegialli 1836): “All’impresa adunque di Campo e Verceja pose egli [Pappenheim] ordine, e dati settecento al cavaliere Perucci, questi, con alcuni di Valle Codera, prese le aclività di quel monte, e superandone l’altezza, non che la costa di quelli che dividono dall’altra Valle detta dei Ratti, d’onde uscivasi sopra Verceja, dopo due giorni e tre notti di periglioso arrampicarsi e marciare, prendevano alle spalle e ai fianchi gli alleati, senza che le scolte od alcun avamposto se ne accorgesse…” Con uno sforzo di immaginazione possiamo figurarci i fanti agli ordini del Perucci scivolare silenziosi giù per il sentiero, fino ad affacciarsi agli ultimi pendii sopra Verceia.
Valle dei Ratti vista da Frasnedo
Non abbiamo, invece, bisogno di immaginazione alcuna per figurarci Frasnedo, che vediamo, in alto, sulla sinistra. C’è ancora un po’ da camminare: la mulattiera ci porta ad un bivio, segnalato da un cartello, che indica il ramo di sinistra come direzione per Frasnedo (la sigla S.I., che abbiamo già incontrato al Traccolino, sta per Sentiero Italia, di cui ora percorriamo un tratto della tappa Codera-Frasnedo), mentre quello di destra porta a Moledana e Corveggia. Dopo un tratto scalinato e qualche tornantino, incontriamo una nuova fresca fontanella, sempre gradita se camminiamo nella calura estiva. Poi la selva si dirada progressivamente e superiamo un tratto nel quale la mulattiera incide alcune formazioni rocciose affioranti, volgendo in direzione nord-nord-est. Qualche ultimo sforzo ci porta al limite dell’ampia fascia di prati che ospita Frasnedo, il paese dei molti frassini (questo è il significato etimologico del nome).
Apri qui una panoramica di Frasnedo
Ci accoglie una piccola croce in ferro dedicata alla memoria di Oregioni Teresa (Oregioni e Penone sono i più diffusi cognomi nella valle ed a Verceia), Non sono poche le croci che su questi sentieri ricordano le vittime di incidenti nelle faticose attività legate all'allevamento, come la raccolta del fieno sulle balze più scoscese, che costò la vità per un fulmine, nel 1889, a Lorenzo Oregioni ed alla figlia Anna, o le marce sui sentieri resi infidi dal ghiaccio, sui quali morì, scivolando, Giovanni Curti. Poco oltre ecco una quarta cappelletta, circondata da alcuni grandi aceri, dove è dipinta, non ce ne stupiamo, una Madonna con Bambino (ma questo dipinto è di fattura assai più recente rispetto ai precedenti). Ci viene incontro, poi, la prima baita, sulla quale si legge ancora la scritta “Frasnedo comune di Verceia”. Le baite, ben curate e ristrutturate, regalano qualche dettaglio che ne testimonia l’antichità, come uno stipite in legno datato 1721. Attraversiamo il primo e più consistente nucleo di baite, notando anche una piccola targa in legno che invoca sulla valle la protezione di Santa Barbara.
Se abbiamo un po’ di spirito di osservazione, noteremo anche che alcune di queste baite sfruttano la presenza di una vicina piccola roggia, che serve a fornire acqua fresca per conservare alimenti e bevande nella parte più calda della stagione. Paese simpatico davvero, Frasnedo, che vide le sue origini forse agli inizi del secolo XVII e che si anima di vita nella stagione estiva, nonostante i villeggianti debbano salire fin quassù da Verceia con un’ora e mezza buona di cammino, in quanto la strada carrozzabile non accede alla valle, ma si ferma ad una quota approssimativa di 600 metri. È questo, come già detto, il motivo principale che ha conservato alla valle un volto antico, pressoché intatto: per giungere fin qui occorrono circa un’ora e tre quarti di cammino.
Frasnedo
D’estate non patiremo
certamente la malinconia: la vivace e cordiale presenza della
gente di Verceia riempirà di suoni, umori e colori la vita del
paese. Ecco quel che scrive, al proposito, Giuseppe Miotti in
“A piedi in Valtellina” (Istituto geografico De
Agostani, 1991):
“Il villaggio sorge a 1287 metri, poco sotto il selvaggio
crestone che separa la Val dei Ratti dal Vallone di
Revelaso. Come Codera anche Frasnedo fino a pochi anni or
sono era abitato tutto l’anno; oggi i suoi paesani vengono
quassù solo d’estate, alcuni per passarvi le ferie, altri
per falciare il fieno e portarvi le mucche. È gente rustica
quella di Frasnedo, gente che mi par vada fiera del fatto
che la valle sia rimasta immune dal progresso e dal clamore.
Una strada che da Verceia conducesse al paese sarebbe molto
comoda, ma quelli con cui ho parlato sembrano poco propensi…
Finora i rifornimenti giungono al paese tramite la
teleferica, che è gestita da un consorzio formato dagli
stessi abitanti di Frasnedo e della quale tutti sono
giustamente fieri.
Nel mese di agosto il piccolo villaggio è animato da numerose feste e vale certo la pena di passare una giornata in loco per dividere con gli abitanti la gioia e le sensazioni antiche che questi “riti” evocano. Forse la festa più importante è quella della seconda domenica del mese: quella della Madonna delle Nevi. Dalla piccola e graziosa chiesa, dedicata appunto alla Vergine, parte la processione che esce dal paese addentrandosi per un breve tratto nella valle e facendo ritorno dalla parte opposta di quella donde si è mossa. Mentre la processione si allontana e per tutta la sua durata, le campane vengono suonate a martello da due esperti percussionisti locali. Tutto il villaggio è parato a festa e, soprattutto la sera, l’allegria si scatena con mangiate, bevute e fuochi d’artificio.”
Frasnedo
Ben tre sono le feste solenni che rallegrano, con tanto di processione solenne, il paese: quella della Madonna della Neve, quella di San Rocco dopo ferragosto e quella di S. Abbondio, sul finire di agosto.
Proseguendo sulla
mulattiera, ci portiamo, in breve, al sagrato della chiesetta
della Madonna delle Nevi (m. 1287), dedicata anche
a S. Anna, sulla cui facciata, fra i santi Rocco ed Antonio,
si legge una dedicazione in latino, dalla quale ricaviamo che
il popolo di Frasnedo la fece erigere nel 1686 a perpetua
memoria dell’apparizione di fiori fra le nevi (il campanile,
però, venne eretto più tardi, nel 1844). Ci regala la sua
preziosa ombra un grande olmo montano, fiero di essere stato
inserito fra gli alberi monumentali della Provincia di Sondrio
(censimento del 1999) per il suo portamento, la sua eleganza
ed anche la sua rarità botanica (a questa quota): la
circonferenza del suo tronco misura 270 cm ed è alto 10 metri.
Ma se glielo chiedete, sicuramente vi fornirà dati
approssimati per eccesso. La vanità non è solo animale.
La
chiesetta di Frasnedo
La chiesetta è posta in posizione rialzata, rispetto al corpo centrale del paese. La sua collocazione ci permette di vivere la sensazione di una curiosa sospensione: guardando oltre la soglia della bassa valle scorgiamo uno spicchio del lago di Mezzola, mentre volgendo lo sguardo alla testata della valle vediamo il monte Spluga o cima del Calvo (m. 2967), dove si incontrano Valle di Ratti, Valle dell’Oro e Valle di Spluga. Noi siamo in una sorta di dimensione intermedia fra le placide sponde lacustri ed i contrafforti graniti delle cime del gruppo del Masino, di cui scorgiamo, da qui, il monte Spluga o cima del Calvo. Una dimensione intrisa di suggestione ma anche di mistero. In questo, come in tanti altri luoghi remoti della montagna alpina, sono fiorite le leggende, perlopiù a fondo oscuro.
Apri qui una panoramica di Frasnedo
La più famosa ha come cornice una delle fredde e brevi giornate invernali a Frasnedo, quando il paesino era ancora abitato per l’intero arco dell’anno: una sera un umile contadino di Verceia, rimasto a Frasnedo per custodire il gregge di capre, udì bussare alla sua porta, e, colmo di stupore, come ebbe aperto si ritrovò di fronte questo elegante signore. Gli venne spontaneo chiedere cosa facesse lì ad un’ora così tarda, e se non si fosse perso. La risposta fu enigmatica: da cinquecento anni dimoro in questa valle, disse l’uomo misterioso, che poi si sedette su una panca, vicino al focolare, togliendosi le scarpe per scaldarsi i piedi.
Fu allora che il contadino ebbe modo di comprendere di chi si trattasse: al posto dei piedi, infatti, comparvero due zampe caprine. Gli si raggelò il sangue nelle vene, perché non ci voleva molto a capire che si trattava del diavolo in persona. Fu, però, in quell’occasione almeno, un buon diavolo, perché non fece alcun male al contadino, ma si limitò a riscaldarsi, a ringraziare e ad andarsene. Il contadino, nondimeno, non perse tempo, e, congedato l’ospite inquietante, scese precipitosamente alla casa di Verceia. Lo spavento fu tanto che cadde anche in una lunga malattia. Non sappiamo se si riebbe; noi, sperimentato il balsamo di questo luogo magico, dalle fatiche per salire fin qui ci sentiamo interamente ristorati.
Tramonto a Frasnedo
DA VERCEIA A FRASNEDO PER MOLEDANA
Punti di partenza ed arrivo
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Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Verceia (Via
Molino)-Moledana-Frasnedo
|
3 h
|
1020
|
E
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SINTESI.
Percorriamo la ss 36 in direzione di Chiavenna e,
usciti dalla prima galleria, la lasciamo prendendo a
destra al secondo svincolo di Verceia e portandoci
alle case del paese. Saliamo fino ad un parcheggio
di via Molino (quota approssimativa: 260 metri),
dove troviamo un cartello escursionistico della
Comunità Montana di Chiavenna che dà la Foppaccia a
due ore. Prendiamo a destra, seguendo una breve
stradina asfaltata ma, prima di raggiungere l’argine
del torrente Ratti, prendiamo a destra, raggiungendo
l’imbocco della mulattiera che comincia a salire
verso destra. Ignorata una deviazione a sinistra,
incontriamo il primo segnavia rosso-bianco-rosso su
un sasso alla nostra sinistra, appena prima un
tornante sx. Dopo un paio di tornantini troviamo un
nuovo bivio: ignorato il sentiero che prende a
sinistra, stiamo sulla destra, seguendo i segnavia.
Proseguiamo, poi, verso sinistra, fino ad un bivio
dove prendiamo la mulattiera che prosegue a
sinistra. Superata la cappelletta di San Fedele a
quota 444 m., raggiungiamo una zona più aspra: il
sentiero corre sul ciglio di un ripido versante (in
alcuni tratti un corrimano ci offre maggiore
sicurezza), è protetto per breve tratto da una
galleria paramassi e, restringendosi, corre poco a
monte del letto del torrente. Proseguendo, troviamo
un tratto protetto con parapetto, che ci introduce
al solco della selvaggia ed ombrosa Val
Priasca. A quota 660 metri circa ci
lascia, sulla sinistra, un sentierino; la mulattiera
prosegue superando un tratto intagliato nella nuda
roccia che, spesso umida, può riservare qualche
insidia. Dopo un tratto diritto, troviamo una svolta
a destra, che precede un nuovo bivio; la mulattiera
prosegue a sinistra (segnavia rosso-bianco-rosso),
mentre il sentiero di destra porta, come leggiamo su
un masso, al “Monte Drogo”. Stiamo a sinistra e
passiamo a sinistra di uno spuntone di roccia e
sotto il cavo della teleferica. Dopo un tratto un
po’ esposto, raggiungiamo il filo di uno stretto
dosso, che il sentiero comincia a risalire,
zigzagando. Passiamo, quindi, di nuovo sotto il filo
della teleferica e poi a monte di un baitello che
resta alla nostra sinistra. Raggiungiamo, infine, il
punto di arrivo della teleferica e continuiamo a
salire, sul fianco meridionale della valle. Un nuovo
tratto protetto da parapetto ci introduce alla Val
Codogno e dopo una nuova salita,
incontriamo un quadrivio (quota
930 circa), segnalato da cartelli: qui prendiamo a
sinistra e scendiamo al camminamento della diga
di Moledana; sul lato opposto seguiamo i
binari della decauville fino ad intercettare la
mulattiera principale per Frasnedo. Prendendo a
destra, saliamo a Casten, alla cappelletta
di Val d'Inferno ed a Frasnedo.
|
Apri qui una panoramica di Verceia
Prima di prendere congedo da
Frasnedo, però, raccontiamo una diversa via
per raggiungerla, via che, snodandosi per buona parte sul
versante opposto della valle (quello meridionale, o di
sinistra idrografica), può servire anche per tornare a Verceia
con diverso percorso.
Lasciamo la ss. 36 dello Spluga al secondo svincolo sulla
destra (per chi proviene dalla Valtellina) di Verceia
(il primo porta alla chiesa di S. Fedele) e saliamo fino ad un
parcheggio di via Molino (quota approssimativa: 260 metri),
dove troviamo un cartello escursionistico della Comunità
Montana di Chiavenna che dà la Foppaccia a due ore, il monte
Bassetta a 4 ore ed il passo del Culmine a 4 ore e 15 minuti.
Seguendo la direzione indicata dal cartello, prendiamo a
destra, seguendo una breve stradina asfaltata ma, prima di
raggiungere l’argine del torrente Ratti, prendiamo a destra,
raggiungendo l’imbocco della mulattiera che comincia a salire
verso destra. Ignorata una deviazione a sinistra, incontriamo
il primo segnavia rosso-bianco-rosso su un sasso alla nostra
sinistra, appena prima un tornante sx. Alle nostre spalle si
apre un bel colpo d’occhio sul lago di Novate Mezzola e sul
monte Berlinghera che lo sovrasta. Dopo un paio di tornantini
troviamo un nuovo bivio: ignorato il sentiero che prende a
sinistra, stiamo sulla destra, seguendo i segnavia.
Proseguiamo, poi, verso sinistra, fino ad un bivio: qui
ignoriamo la mulattiera più marcata, che prosegue a sinistra;
dovremmo seguirla, ma possiamo anche effettuare un breve
“fuoriprogramma” prendendo a destra ed intercettando una
stradina asfaltata ad un tornante dx, in corrispondenza delle
baite del nucleo delle Zocche (m. 425).
Tramonto sul lago di Mezzola
Visitato il nucleo,
osserviamo, alle sue spalle, un bivio: il sentiero di sinistra
(segnavia bianco-rosso) è segnalato da un cartello che indica
“Val dei Ratti via Castelletto-Moledana”, mentre quello di
destra, ben più marcato, prosegue per la Foppaccia (segnavia
rosso-bianco-rossi). Noi prendiamo il sentierino di sinistra
che, dopo un tratto pianeggiante, si congiunge con la
mulattiera che abbiamo lasciato poco più in basso. Dopo un
breve tratto di salita, incontriamo la cappelletta di quota
444, dove viene dipinta una Madonna con Bambino ed alcuni
santi, S. Giovanni, S. Guglielmo, S. Lorenzo, S. Antonio e S.
Fedele, patrono di Verceia. Da qui si vede molto bene
l’impressionante orrido terminale della Valle dei Ratti, un
luogo che sembra evocare la presenza del male e quindi
giustificare il sacello che simboleggia la presenza di quelle
del bene. San Fedele, dunque: in queste zone è davvero di
casa. È dedicato a questo padre della fede comasca il
tempietto che si trova di fronte a Novate Mezzola, detto
appunto di San
Fedelino, e da lui prende il nome il pregiato granito che si
cava nella vicina Val Codera. Questo soldato romano, avendo
rifiutato di rinnegare la fede cristiana, fu decapitato, in
località Torretta, nel 286 d.C., presso l’attuale tempietto di
San Fedelino. Ecco quel che scrive, in proposito, Giovanni
Guler von Weineck, che fu governatore della Valtellina per le
Tre Leghe Grigie nel 1587-88, nella sua opera "Rhaetia",
pubblicata a Zurigo nel 1616:
"Restano...sul posto dell'antica Samolaco, i ruderi di
alcune torri ed una parte della chiesa che era stata eretta
in onore di S. Giovanni. In quel luogo fu martirizzato S.
Fedele dai sicari di Massimiano, che allora insieme con
Diocleziano governava l'Impero Romano, perseguitando il
Cristianesimo. Il corpo del Santo fu in seguito, nell'anno
1437, trasferito di lì con solenni cerimonie a Como, essendo
Vescovo Ubaldo; ed a S. Fedele venne dedicata la basilica
che prima era stata eretta in onore di S. Eufemia".
Fedele venne, dunque, proclamato santo e, per celebrare la sua
memoria, nel luogo del suo martirio fu eretto un primo
tempietto che custodiva la sua tomba, ricordato già fra la
fine del V secolo e gli inizi del VI dal vescovo di Pavia e
scrittore Ennodio. Il tempietto andò in rovina, e, fu
sostituito, qualche secolo dopo, nel 964, dall’attuale
tempietto in stile romanico, mentre le sue spoglie vennero
trasportate a Como. La sua devozione si estese all’intera zona
dell’imbocco della Valchiavenna, e Verceia lo scelse come
protettore celeste.
Raggiungiamo, quindi, una zona più aspra: il sentiero corre
sul ciglio di un ripido versante (in alcuni tratti un
corrimano ci offre maggiore sicurezza), è protetto per breve
tratto da una galleria paramassi e, restringendosi, corre poco
a monte del letto del torrente. Proseguendo, troviamo un
tratto protetto con parapetto, che ci introduce al solco della
selvaggia ed ombrosa Val Priasca, legata a
paurose leggende di streghe che l’avrebbero scelta come dimora
dalla quale calare, sul far della sera, ad insidiare i
cristiani; sul lato opposto entriamo nel territorio del comune
di Dubino, ed il primo tratto è agevolato da parapetto e corde
fisse. Segue un tratto che regala un bel colpo d’occhio sulla
bassa Valchiavenna e sul suo versante occidentale, sul quale
distinguiamo il marcato intaglio del passo della Forcola. A
quota 660 metri circa ci lascia, sulla sinistra, un
sentierino; la mulattiera prosegue superando un tratto
intagliato nella nuda roccia che, spesso umida, può riservare
qualche insidia se non stiamo attenti. Dopo un tratto diritto,
troviamo una svolta a destra, che precede un nuovo bivio; la
mulattiera prosegue a sinistra (segnavia rosso-bianco-rosso),
mentre il sentiero di destra porta, come leggiamo su un masso,
al “Monte Drogo”, congiungendosi con il sentiero che termina
al già citato maggengo della Foppaccia. Passiamo, poi, a
sinistra di uno spuntone di roccia e sotto il cavo della
teleferica; dopo un tratto un po’ esposto, raggiungiamo il
filo di uno stretto dosso, che il sentiero comincia a
risalire, zigzagando. Passiamo, quindi, di nuovo sotto il filo
della teleferica e poi a monte di un baitello che resta alla
nostra sinistra. Raggiungiamo, infine, il punto di arrivo
della teleferica e continuiamo a salire, sul fianco
meridionale della valle. Poco oltre, un incontro che non
dimentichiamo: sulla nostra destra, appena a monte della
mulattiera, ecco un faggio dalla forma bizzarra e vagamente
mostruosa, con le radici abbarbicate ad un grosso masso
erratico. È sicuramente il genius loci, lo spirito tutelare di
questi luoghi, o forse è uno dei più illustri discendenti di
quella stirpe che un tempo fu incontrastata sovrana dei boschi
della valle, prima che, nei primi secoli dell’età
cristiana, i Romani vi introducessero l’odiato rivale, il
castagno. È, infine, uno degli alberi monumentali della
Provincia di Sondrio (censimento del 1999): un’empia mano ha
osato misurarne la circonferenza (444 cm) e l’altezza (8
metri). Poco oltre, una baita isolata.
Poi, proseguendo nella salita, vediamo, attraverso qualche
spiraglio del bosco, Frasnedo, sul versante opposto della
valle. Un nuovo tratto protetto da parapetto ci introduce alla
Val Codogno, oltrepassata la quale rientriamo
nel territorio di Verceia. Dopo una nuova salita, eccoci ad un
quadrivio (quota 930 circa), segnalato da
cartelli: procedendo diritti si va a Moledana, prendendo a
destra ci si dirige alla Foppaccia mentre scendendo verso
sinistra si scende alla diga di Moledana. Abbiamo, a questo
punto, due possibilità. Possiamo, cioè, scendere alla diga,
per osservare l’impressionante orrido della balla Valle dei
Ratti, nel quale precipita il suo muraglione, seguendo, sul
lato opposto, il tracciolino fino ad intercettare la
mulattiera sul versante opposto della valle,
poco sotto Casten, proseguendo nella salita come sopra
descritto. Oppure possiamo proseguire diritti fino alle baite
di Moledana, dove un simpaticissimo
termometro a corda ci permette di controllare il tempo
(funziona così: corda secca = bel tempo, corda bagnata =
pioggia, corda rigida = freddo, corda mossa = vento, corda
invisibile = nebbia o bere meno, no corda = ce l’hanno
rubata). Poi, ignorando il cartello che segnala, sulla destra,
il sentiero per l’alpe Nave, proseguiamo diritti, fino ad un
ponte, sfruttando il quale torna sul lato sinistro (per chi
sale) della valle, in corrispondenza di alcune baite. Di qui
proseguiamo nella salita fino ad una deviazione, segnalata,
per Frasnedo, che ci permette di salire al paese.
Apri qui una panoramica sulla bassa Valle dei Ratti
Se vogliamo scegliere questa direttrice per il ritorno, ci conviene ridiscendere al Traccolino, prendere a sinistra, portarci alla diga di Moledana, attraversarla e risalire sul lato opposto fino al quadrivio citato sopra: qui, prendendo a destra, iniziamo la discesa che ci riporta a Verceia.
La diga di Moledana
Punti di partenza ed arrivo
|
Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Verceia-Frasnedo-Corveggia-Tabiate-Camera-Talamucca-Rif.
Volta
|
5 h (3 h da Frasnedo)
|
1610 (920 da Frasnedo)
|
E
|
SINTESI.
Lasciamo, dunque, Frasnedo ed il
rifugio, in direzione dell’alta valle, sfruttando
prima un tratturo in leggera discesa, poi un
sentiero che, rimanendo sulla sinistra (per chi
sale), scende ai prati di Corveggia
(m. 1221). d un bivio prendiamo a sinistra e,
superata una cappelletta, usciamo ai prati di Tabiate
(m. 1253). Entriamo in pineta e al bivio di quota
1400 ignoriamo il sentiero che scende a destra
(itinerario per il bivacco Primalpia) e prosegiamo
diritti, fino alla baita posta a m. 1475. Ci
attende, poi, una lunga serie di ripidi tornanti,
che ci consente di superare il primo impegnativo
gradino della valle, raggiungendo il ripiano sul
quale è posta l'alpe Camera, a m.
1792. Poco oltre troviamo un bivio. Entrambi i
sentieri salgono al rifugio Volta. Il primo, non
segnalato, più breve ma più faticoso, si stacca, in
corrispondenza di un evidente dosso sulla sinistra,
da quello segnalato, e sale ripido, sfruttando anche
un vallone, all'alpe Talamucca, raggiungendo il
rifugio Volta da sud-ovest. Il secondo, che fa parte
del Sentiero Italia Lombardia Nord 3, prosegue verso
il centro della valle, ne attraversa il torrente
(attraversamento che, dopo abbondanti piogge o nella
prima parte di giugno può comportare qualche
problema per la sua portata) e risale gradualmente
sul versante opposto. Intercettiamo così un sentiero
che sale da destra e lo seguiamo verso sinistra
(nord ovest), risalendo l'ampio dosso del Mot, fino
a tornare nella piccola gola della valletta del
Sereno, dalla quale usciamo più in alto, guadagnando
la sommità dell’ampio dosso del Mot. Pieghiamo, ora,
verso sinistra e si raggiungiamo il limite orientale
dell'alpe Talamucca (IGM il Mot,
m. 2074). Alcune tracce, che poi diventano sentiero
sempre più marcato, risalgono il dosso prativo,
verso nord, dapprima leggermente verso sinistra, poi
sulla verticale, fino ad attraversare il primo e più
grosso torrente, quasi un centinaio di metri a monte
dell’alpe. Subito dopo il largo sentiero cessa.
Raggiunte le baite dell’alpe quotate 2176 metri,
continuiamo in leggera salita trasversale verso
sinistra (direzione nord-ovest), su magri pascoli,
oltrepassando quattro ruscelli e giungendo alla base
del dosso erboso sul quale è posto il rifugio Volta.
Passiamo, così, poco sotto un grande baitone; poco
prima del rifugio, riconoscibile per le finestre
bianco-rosse, vediamo due baite minori. In breve
siamo al rifugio Volta (m. 2212).
|
Rifugio Volta
Il rifugio Volta è stato costruito dal CAI di Como (tel.: 031 264177) per celebrare la memoria dell’illustre scienziato comasco Alessandro Volta, inventore della pila, figura ebbe anche un qualche rilievo nella storia della Valtellina, in quanto nel 1777, rientrato da un viaggio in Svizzera ed Alsazia, introdusse nella zona del Lario e nella bassa Valchiavenna e Valtellina la coltura della patata, che costituì un’importante integrazione nell’alimentazione contadina, notoriamente esposta al rischio della sottonutrizione nei periodi di carestia. È posto a 2212 metri, nel grande anfiteatro che si apre nella parte terminale della Valle dei Ratti, come punto di appoggio per le ascensioni che interessano le cime del gruppo. Si tratta di uno dei rifugi più faticosi da raggiungere, in quanto dobbiamo salire dal parcheggio sopra Vico di Verceia e quindi superare un dislivello di oltre 1600 metri in altezza, cosa che richiede 4-5 ore di cammino. Teniamo, poi, presente che non è aperto né gestito nella stagione estiva, per cui se vogliamo sfruttarlo dobbiamo chiedere le chiavi a Verceia (famiglia Oregioni, Via S. Francesco 8, Verceia, 0343 39690) o a Frasnedo.
Testata della Val dei Ratti
Abbiamo già visto come giungere a Frasnedo; vediamo, ora, come procedere verso il rifugio. Lasciamo, dunque, Frasnedo, in direzione dell’alta valle, sfruttando prima un tratturo in leggera discesa, poi un sentiero che, rimanendo sulla destra orografica della valle (sinistra, per chi sale), scende ai prati di Corveggia (m. 1221), dai quali si gode di un buon colpo d’occhio sull’alto Lario, ed ai quali giunge anche un sentiero più basso, che passa per Moledana.
Apri qui una panoramica sulla Valle dei Ratti
Addentrandoci ancor più nella valle, raggiungiamo, in breve, un bivio (anzi, trivio, considerando la direzione dalla quale veniamo: questo giustifica le tre frecce bianco-rosse in evidenza su un masso) con alcuni cartelli della Comunità Montana Val Chiavenna, che indicano sulla destra il sentiero A1, per l’alpeggio Nave (dato a 45 minuti), l’alpeggio Lavazzo (dato ad un’ora e 30 minuti) ed il passo del Culmine (dato a 2 ore e 15 minuti). I cartelli segnalano anche che il medesimo sentiero porta, in 2 ore e 25 minuti, al monte Bassetta (sul crinale fra Valle dei Ratti e Costiera dei Cech), dal quale si scende al maggengo di Foppaccia (dato a 3 ore e 25 minuti), per poi tornare, alla fine, a S. Fedele di Verceia (tempo complessivo: 4 ore e 30 minuti). Un ottimo circuito escursionistico, per chi parta da Verceia e sia ottimo camminatore.
Il rifugio Frasnedo
Ma a noi, per ora, interessa l’altro sentiero, quello di sinistra, che porta, in 3 ore, al rifugio Volta. Troviamo, a questo bivio, un cartello dell'Associazione Nazionale Partigiani Italiani, che riassume l'itinerario percorso dalla già citata 55sima brigata Fratelli Rosselli nell'inverno del 1944 per passare da Introbio in Valsassina a Bondo in Svizzera, passando in alta Val Codera per la bocchetta della Teggiola. Essi passarono in Val Gerola, scesero a guadare l'Adda, risalirono per la Costiera dei Cech e passarono in Val dei Ratti e da qui in Val Codera. Un cartello con la scritta cancellata, sempre a questo bivio, sta ad indicare la direzione per la capanna Volta che coincide ancora con quella per il bivacco Primalpia. Di nuovo in cammino, dunque, prendendo a sinistra. Dopo aver superato una cappelletta, eccoci ai prati di Tabiate (m. 1253), dove, su una baita, troviamo una targhetta azzurra con il logo “Life” (stiamo, infatti, percorrendo un tratto della terza tappa, da Codera al bivacco Primalpia o al rifugio Volta, del Sentiero Life delle Alpi Retiche, recentemente ideato e segnalato; stiamo percorrendo anche un tratto del Sentiero Italia).
Pista per Tabiate
La valle comincia ora a mostrare un aspetto più marcatamente alpino: ecco le prime conifere solitarie, i primi fischi improvvisi ed acuti delle marmotte, che hanno imparato a riconoscere nell’uomo una possibile minaccia (la caccia alla marmotta fu, in passato, un elemento importante nell’integrazione alimentare dei pastori che dovevano trascorrere molti mesi dell’anno sugli alpeggi), il volo delle coturnici, l’incessante peregrinazione delle capre, che qui sono di casa. Purtroppo, data l’esposizione all’aria umida del lago, questo è, spesso, anche il regno delle nebbie e delle foschie, che sottraggono molto allo splendore selvaggio del paesaggio. Ci colpisce, proprio davanti a noi, il singolarissimo profilo del Sasso Zucco, modesta elevazione a forma di corno sul versante meridionale della valle (alla nostra destra), sul limite settentrionale dell'alpe Primalpia.
Pista per prato Tabiate
Addentrandoci ancor più nella media valle, incontriamo la prima pineta e giungiamo, intorno ai 1400 metri, ad un nuovo bivio, al quale bisogna prestare un po’ di attenzione. Dal sentiero si stacca, infatti, sulla destra, un secondo sentiero che scende ad un ponte sul torrente della valle. Su un masso una freccia indica il bivio; in direzione del sentiero principale è aggiunta la scritta, difficilmente leggibile, “Volta”: l’indicazione va intesa nel senso che proseguendo diritti su questo sentiero, cioè rimanendo ancora per un lungo tratto sul lato sinistro (per noi) della valle, saliamo verso il rifugio Volta del CAI di Como, posto, a 2212 metri, sul limite dell’alpe Talamucca, nella parte centrale dell’alta valle. Il sentiero che scende a destra, invece, porta al bivacco Primalpia, sul lato opposto della valle. Ignorata, dunque, la deviazione a destra, saliamo ad una prima baita posta a m. 1475.
Apri qui una fotomappa della media Val dei Ratti
Ci attende, poi, una lunga serie di ripidi tornanti, che ci consente di superare il primo impegnativo gradino della valle, raggiungendo il ripiano sul quale è posta l'alpe Camera (o Camerà, chiamata anche alpe Montini), a m. 1792, sul versante che scende a sud-ovest della cima del Cavrè. Il nome deriva dal toponimo “càmer”, molto diffuso nel gruppo del Masino (i frequentori del Sentiero Roma ricorderanno i passi del Camerozzo e del Cameraccio), che indica un ricovero, in genere un grande masso. Qui la presenza di un romiceto segnala un punto nel quale le mandrie, prima di salire agli alpeggi più alti, sostavano per un certo periodo. Le mucce non vi salgono più ormai da diversi anni; solo pecore, capre ed asini trovano qui un pascolo gradito. Fra le curiosità, un baitello, o casello, detto "del lac'", cioè adibito alla conservazione del latte fresco grazie ad una sorgente che sgorga proprio al suo interno.
Siamo ormai di fronte ai gradini rocciosi che introducono al circo terminale della valle, che, nella sua parte centrale, mostra imponenti ed impraticabili pareti, che precipitano con grandi salti, percorse da alcune cascatelle. Gli alpeggi del circo più alto vanno, dunque, raggiunti aggirandoli sulla sinistra e sulla destra. Si offrono, dunque, due possibili percorsi. Il primo, non segnalato e più breve, si stacca, in corrispondenza di un evidente dosso sulla sinistra, da quello segnalato, e sale ripido, sfruttando anche un vallone, all'alpe Talamucca, raggiungendo il rifugio Volta da sud-ovest.
Il secondo, che fa parte del Sentiero Italia Lombardia Nord 3, prosegue verso il centro della valle, ne attraversa il torrente (attraversamento che, dopo abbondanti piogge o nella prima parte di giugno può comportare qualche problema per la sua portata) e risale gradualmente sul versante opposto, fino ad intercettare il sentiero che dal dosso del Mot scende all’ampio vallone che si apre sotto la bocchetta del Sereno, per poi risalire in direzione dell’ancor più ampio vallone che culmina nel passo di Primalpia, porta all’alta Valle di Spluga (Val Masino).
Non si può sbagliare:
seguendo questo secondo sentiero verso sinistra (nord ovest),
si risale l'ampio dosso del Mot, fino a tornare nella piccola
gola della valletta del Sereno (che la carta IGM non
menziona), dalla quale si esce più in alto, guadagnando la
sommità dell’ampio dosso del Mot, alpeggio caricato fino al 2007. Si piega, ora, verso
sinistra e si raggiunge il limite orientale dell'alpe
Talamucca (IGM il Mot, m. 2074). Il curioso nome
ha probabilmente la medesima origine di “Talamona”, ligure,
etrusca o celtica: forse è da “tala”, cioè “terreno
alluvionale”, da “talamo”, “monte” o “costa dirupata” o ancora
dal celtico “talos”, “stella”. L'alpeggio era diviso in due settori, separati dal torrente Ratti. Il primo sul nostro cammino è quello orientale, caricato fino al 208, mentre più lontano è quello occidentale, caricato fino al 1992. Nel suo insieme l'alpeggio di Talamucca rientra nel territorio del comune di Novate Mezzola, ed era, dopo quello di Bresciadega in Val Codera, il più ampio in questo comune.
Di fronte a noi il Sasso
Manduino (m. 2888), la più ambita delle vette del gruppo, che
chiude ad ovest la testata dell’alta valle, si mostra come
compatto blocco granitico; alla sua destra, la punta Magnaghi
mostra un profilo decisamente più slanciato.
Da qui inizia la traversata terminale verso il rifugio, in direzione nord e nord-ovest. Se la visibilità è buona, non ci sono problemi, ma in caso di foschia non è facile arrivarci, perché il terreno è uniforme, e si rischia di vagare alquanto senza raggiungere la meta. D’estate, peraltro, troveremo sempre qualcuno che ci offre preziose indicazioni. Alcune tracce, che poi diventano sentiero sempre più marcato, risalgono il dosso prativo, verso nord, dapprima leggermente verso sinistra, poi sulla verticale, fino ad attraversare il primo e più grosso torrente, quasi un centinaio di metri a monte dell’alpe. Subito dopo il largo sentiero cessa.
Raggiunte le baite dell’alpe quotate 2176 metri, continuiamo in leggera salita trasversale verso sinistra (direzione nord-ovest), su greppi erbosi, oltrepassando quattro ruscelli e giungendo alla base del dosso erboso sul quale è posto il rifugio Volta. Passiamo, così, poco sotto un grande baitone; poco prima del rifugio, riconoscibile per le finestre bianco-rosse, vediamo, infine, due baite minori. Siamo a 2212 metri, il punto più alto raggiungo, finora, dal sentiero. Di qui si scorgono le cime della testata della valle, a partire dal Sasso Manduino, a sud ovest (m. 2888), seguito dalla punta Magnaghi (m. 2871), dalle Cime della Porta, a nord ovest, dal pizzo Ligoncio (m.3038), dal pizzo della Vedretta (m. 2907), alla cui sinistra è collocato il passo che congiunge la nostra valle a quella dell'Oro, dal monte Spluga o Cima del Calvo (m. 2967), verso nord est e, infine, dalla Cima del Desenigo (m. 2845). A sinistra del pizzo Ligoncio si può scorgere, in corrispondenza di una sorta di W, il passo della Porta, che permette di scendere in val Spassato e, di qui, in val Codera, al rifugio Brasca.
Tenete conto che da Frasnedo al rifugio Volta esiste un dislivello di circa 920 metri e che in circa tre ore il rifugio può essere raggiunto.
Il rifugio Volta
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IL BIVACCO PRIMALPIA
Punti di partenza ed arrivo
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Tempo necessario
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Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
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Verceia-Frasnedo-Corveggia-Tabiate-Alpe
Primalpia-Bivacco Primalpia
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5 h (2 h e 30 min da Frasnedo)
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1420 (730 da Frasnedo)
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E
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SINTESI.
Lasciamo Frasnedo, in direzione
dell’alta valle, sfruttando prima un tratturo, poi
un sentiero che, rimanendo sulla destra orografica
della valle (sinistra, per chi sale), scende ai
prati di Corveggia (m. 1221). Ad
un successivo bivio prendiamo a sinistra
(indicazioni per il rifugio Volta). Dopo aver
superato una cappelletta, usciamo ai prati di Tabiate
(m. 1253), dove, su una baita, troviamo una
targhetta azzurra con il logo “Life”. Addentrandoci
ancor più nella media valle, intorno ai 1400 metri
incontriamo un nuovo bivio, al quale prendiamo a
destra, imboccando un sentiero che scende ad un ponte
sul torrente della valle. Sul lato opposto della
valle troviamo una fascia di prati con alcune baite.
Raggiunti i prati, dobbiamo salire verso il limite
superiore, più o meno sulla verticale rispetto al
ponte, dove parte, segnalato dal cartello giallo del
Sentiero Life posto su un masso, il sentiero
segnalato che, dopo un primo traverso verso destra,
piega a sinistra, superando alcuni torrentelli,
nella cornice di un bel bosco di larici, e raggiunge
l'alpe di Primalpia bassa, a m.
1678, caratterizzata da un grande larice solitario
al centro del prato. Approssimativamente sopra la
verticale del larice, leggermente a sinistra, il
sentiero riparte, e, dopo un breve tratto a destra,
riprende la direttrice verso sinistra (est), sempre
nella cornice del bosco di larici. Attraversate
alcune radure, incontriamo i primi ruderi delle
baite dell’alpe di Primalpia (etimologicamente, la
prima fra le alpi, l'alpe per eccellenza) alta.
Incontriamo, quindi, un cartello che indica la
deviazione per l’alpe Nave e l’alpe Piempo,
deviazione che ignoriamo. Superato un ultimo
torrentello, eccoci, infine, al simpatico edificio
del bivacco Primalpia, a 1980
metri.
|
Apri qui una videomappa del versante orientale
dell'alta Val dei Ratti
Il bivacco Primalpia, posto a 1980 all’alpe omonima, è una simpatica struttura in muratura sempre aperta, che costituisce, dunque, un importante punto di riferimento per escursioni ed ascensioni nella zona. Vediamo come raggiungerla da Frasnedo.
Lasciamo, dunque, Frasnedo, in direzione dell’alta valle, passando accanto al rifugio Frasnedo e percorrendo in leggera discesa un trattuto, che lascia il posto ad un sentiero. Procediamo rimanendo sulla destra orografica della valle (sinistra, per chi sale), scende ai prati di Corveggia (m. 1221), dai quali si gode di un buon colpo d’occhio sull’alto Lario, ed ai quali giunge anche un sentiero più basso, che passa per Moledana (dalla voce milanese "moeula", mola). Addentrandoci ancor più nella valle, raggiungiamo, in breve, un bivio (anzi, trivio, considerando la direzione dalla quale veniamo: questo giustifica le tre frecce bianco-rosse in evidenza su un masso) con alcuni cartelli della Comunità Montana Val Chiavenna, che indicano sulla destra il sentiero A1, per l’alpeggio Nave (dato a 45 minuti), l’alpeggio Lavazzo (dato ad un’ora e 30 minuti) ed il passo del Culmine (dato a 2 ore e 15 minuti). I cartelli segnalano anche che il medesimo sentiero porta, in 2 ore e 25 minuti, al monte Bassetta (sul crinale fra Valle dei Ratti e Costiera dei Cech), dal quale si scende al maggengo di Foppaccia (dato a 3 ore e 25 minuti), per poi tornare, alla fine, a S. Fedele di Verceia (tempo complessivo: 4 ore e 30 minuti). Un ottimo circuito escursionistico, per chi parta da Verceia e sia ottimo camminatore.
La Valle dei Ratti con la cima del Desenigo dal sentiero per
Corveggia
Ma a noi, per ora, interessa
l’altro sentiero, quello di sinistra, che porta, in 3 ore, al
rifugio Volta. Un cartello con la scritta cancellata, sempre a
questo bivio, sta ad indicare che la direzione per la capanna
Volta è, per ora, anche quella per il bivacco Primalpia
(etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per
eccellenza).
Di nuovo in cammino, dunque, prendendo a sinistra. Dopo aver
superato una cappelletta, eccoci ai prati di Tabiate
(m. 1253), dove, su una baita, troviamo una targhetta azzurra
con il logo “Life”. Addentrandoci ancor più nella media valle,
intorno ai 1400 metri incontriamo un nuovo bivio, al quale
bisogna prestare un po’ di attenzione. Dal sentiero si stacca,
sulla destra, un secondo sentiero che scende ad un ponte sul
torrente della valle. Su un masso una freccia indica il bivio;
in direzione del sentiero principale è aggiunta la scritta,
difficilmente leggibile, “Volta”: l’indicazione va intesa nel
senso che proseguendo diritti su questo sentiero, cioè
rimanendo ancora per un lungo tratto sul lato sinistro (per
noi) della valle, saliamo verso il rifugio Volta del CAI di
Como, posto, a 2212 metri, sul limite dell’alpe Talamucca,
nella parte centrale dell’alta valle.
Tabiate
Noi, invece, dobbiamo scendere al ponte alla nostra destra, che ci porta sul lato opposto della valle, dove troviamo una fascia di prati con alcune baite. Un cartello che punta in direzione del ponte ha la scritta cancellata (vi si leggeva l’indicazione per il bivacco Primalpia (etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per eccellenza). Probabilmente in futuro le indicazioni saranno più chiare. Intanto, raggiunti i prati, dobbiamo salire verso il limite superiore, più o meno sulla verticale rispetto al ponte, dove parte, segnalato dal cartello giallo del Sentiero Life posto su un masso, il sentiero segnalato che, dopo un primo traverso verso destra, piega a sinistra, superando alcuni torrentelli, nella cornice di un bel bosco di larici, e raggiunge l'alpe di Primalpia (etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per eccellenza) bassa, a m. 1678, caratterizzata da un grande larice solitario al centro del prato. Un cartello che reca scritto "Forza veci" ci esorta a chiamare a raccolta le ultime forze; mentre tiriamo il fiato, guardiamo al versante opposto della valle, dove la cima del Cavrè si mostra come un'imponente ed elegante piramide regolare. Approssimativamente sopra la verticale del larice, leggermente a sinistra, il sentiero riparte, e, dopo un breve tratto a destra, riprende la direttrice verso sinistra (est), sempre nella cornice del bosco di larici.
Attraversate alcune radure,
incontriamo i primi ruderi delle baite dell’alpe di Primalpia
(etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per
eccellenza) alta. Incontriamo, quindi, un cartello che indica
la deviazione per l’alpe Nave e l’alpe Piempo, deviazione che
ignoriamo. Superato un ultimo torrentello, eccoci, infine, al
simpatico edificio del bivacco Primalpia (etimologicamente,
la prima fra le alpi, l'alpe per eccellenza), recentemente
edificato, a 1980 metri.
L’interno è accogliente: ci sono 18 brandine, disposte in
letti a castello, c’è l’acqua corrente, c’è una stufa a gas ed
un focolare, c’è la corrente generata da un pannello
fotovoltaico. C’è anche un simpatico cartello, con una scritta
che recita così: “Il pattume se si scende a valle portarlo con
sé, perché il camion non passa! Grazie!” Qualora fossimo nella
necessità di fermarci qui, ripaghiamo la generosa iniziativa
di chi ha voluto questo prezioso punto di appoggio con il
massimo rispetto per la struttura e magari con un contributo
riconoscente.
Il bivacco Primalpia
Questo luogo così ampio e luminoso ha visto per secoli alternarsi vicende di uomini ed animali. Non ci poteva però, non mettere il suo zampino anche il diavolo. Eccolo, quindi, protagonista di una delle tante leggende che fino ad un paio di generazioni fa si raccontavano con aria serissima la sera per incutere in tutti, soprattutto nei più piccoli, un sano timore. Una volta, in autunno, un ragazzo, un aiutante dei contadini che caricavano l’alpe di Primalpia (un “bocia”), mentre risaliva l’alpe per cercare alcune capre che si erano perse, fu improvvisamente circondato da una nebbia misteriosa, dalla quale emerse un distinto signore (parente stretto, forse, di quello che abbiamo già visto nella leggenda di Frasnedo). Alla domanda se avesse visto delle capre, egli risposte che da trecento anni viveva nella valle, senza aver mai visto alcuna capra. Anche in questo caso il ragazzo intuì di chi si trattava, e tornò di corsa, spaventato, alle baite dei pastori.
Il bivacco Primalpia
Dove si trovano diavoli, si trovano anche anime dannate, e l’alpe Primalpia non fa eccezione. Si racconta, infatti, che qui fu relegata l’anima di un tal Scigulìn, che spesso passava il tempo a fischiare. Questo diede noia ad un pastore, che, un giorno, gli chiese in tono minaccioso di smettere. Quando questi, però, sceso a Verceia, fu di ritorno all’alpe, ebbe una sgradita sorpresa: Scigulin, che non aveva affatto preso bene la sgarbata richiesta, cominciò a fischiare sempre più forte, impedendogli di proseguire. Calarono così le tenebre, ed il pastore non fu più in grado di trovare la strada per la propria baita. Fu così costretto a vagare fino al sorgere dell’alba, quando la luce gli permise di riconoscere il sentiero per l’alpe. Questo ed altro può succedere quando non si rispettano le anime che già hanno la triste sorte di dimorare eternamente nelle solitudini montane.
Queste ed altre leggende si
trovano raccolte nel bel volume di AA. VV. intitolato "C'era
una volta", edito, a cura del Comune di Prata
Camportaccio, nel 1992.
Appendice: possiamo portarci al bivacco Primalpia, per via più
breve, anche salendo sul versante opposto della valle
(meridionale), cioè seguendo l'itinerario sopra descritto come
secondo possibile per la salita a Frasnedo. Una volta giunti,
però, al quadrivio, invece di prendere a sinistra e scendere
alla diga di Moledana, dobbiamo proseguire diritti, fino al
nucleo di Moledana.
Tramonto in Val dei Ratti
Punti di partenza ed arrivo
|
Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Bivacco Primalpia-Rifugio
Volta-Pizzo Ligoncio
|
4 h
|
1140
|
EE/A
|
SINTESI.FRASNEDO-PRIMALPIA.
Lasciamo Frasnedo, in direzione
dell’alta valle, sfruttando prima un tratturo, poi
un sentiero che, rimanendo sulla destra orografica
della valle (sinistra, per chi sale), scende ai
prati di Corveggia (m. 1221). Ad
un successivo bivio prendiamo a sinistra
(indicazioni per il rifugio Volta). Dopo aver
superato una cappelletta, usciamo ai prati di Tabiate
(m. 1253), dove, su una baita, troviamo una
targhetta azzurra con il logo “Life”. Addentrandoci
ancor più nella media valle, intorno ai 1400 metri
incontriamo un nuovo bivio, al quale prendiamo a
destra, imboccando un sentiero che scende ad un ponte
sul torrente della valle. Sul lato opposto della
valle troviamo una fascia di prati con alcune baite.
Raggiunti i prati, dobbiamo salire verso il limite
superiore, più o meno sulla verticale rispetto al
ponte, dove parte, segnalato dal cartello giallo del
Sentiero Life posto su un masso, il sentiero
segnalato che, dopo un primo traverso verso destra,
piega a sinistra, superando alcuni torrentelli,
nella cornice di un bel bosco di larici, e raggiunge
l'alpe di Primalpia bassa, a m.
1678, caratterizzata da un grande larice solitario
al centro del prato. Approssimativamente sopra la
verticale del larice, leggermente a sinistra, il
sentiero riparte, e, dopo un breve tratto a destra,
riprende la direttrice verso sinistra (est), sempre
nella cornice del bosco di larici. Attraversate
alcune radure, incontriamo i primi ruderi delle
baite dell’alpe di Primalpia (etimologicamente, la
prima fra le alpi, l'alpe per eccellenza) alta.
Incontriamo, quindi, un cartello che indica la
deviazione per l’alpe Nave e l’alpe Piempo,
deviazione che ignoriamo. Superato un ultimo
torrentello, eccoci, infine, al simpatico edificio
del bivacco Primalpia, a 1980
metri.
PIZZO LIGONCIO. Dal bivacco Primalpia seguiamo le indicazioni del sentiero LIFE e procediamo lungo il sentiero, abbastanza evidente, che punta ad una baita solitaria, sul lato opposto dell’alpe, a nord-est rispetto a noi. Oltre la baita, il sentiero prosegue, salendo leggermente e puntando ad un crinale che separa l’alpe dal vallone che dovremo sfruttare per salire al passo di Primalpia. Raggiunto il crinale erboso, in corrispondenza di un grande ometto, scendiamo, per un breve tratto, sul crinale medesimo, fra erbe e qualche roccetta, fino ad un masso, sul quale il segnavia, accompagnato dalla targhetta azzurra con il logo “Life”, indica una svolta a destra. Dobbiamo, ora, prestare un po’ di attenzione, perché il sentiero, volgendo decisamente a destra, ci porta ad una breve cengia esposta, per la quale scendiamo al canalone che adduce al passo. Le corde fisse ci aiutano nella breve discesa, che sfrutta dapprima uno stretto corridoio nella roccia, poi una traccia di sentiero esposta. Con le dovute cautele, eccoci sul fondo del canalone, nel quale scorre il modesto torrentello alimentato dai laghetti superiori. Qui però lasciamo il sentiero LIFE, che sale verso destra, e scendiamo lungo il canalone, fino ad un bivio segnalato: mentre il sentiero di sinistra prosegue la discesa verso l’alpe Camera e Frasnedo, imbocchiamo quello di destra che sale con diversi tornantini fino a raggiungere la cima dell’erboso Mot, sulla soglia dell’ampio sistema di pascoli dell’alta Valle dei Ratti. Sempre seguendo il sentiero ed i segnavia passiamo vicino al baitone dell’alpe Talamucca e terminiamo la traversata al rifugio Volta, posto isolato un po’ più in alto, e riconoscibile per le finestre bianco-rosse. Lasciamo alle spalle il rifugio Volta (m. 2212) e cominciamo a salire sul circo terminale della valle seguendo le indicazioni del Sentiero Attrezzato Dario di Paolo sud, che traversa alla Valle dell’Oro per il passo della Vedretta Meridionale. Per un buon tratto lo seguiamo, salendo con qualche serpentina verso nord, con attenzione a segnavia ed ometti. La salita è davvero divertente, perché possiamo sfruttare un sistema di grandi placche granitiche, davvero godibili da tagliare se asciutte (ma, in generale, è del tutto sconsigliabile l’ascensione se il terreno è bagnato). Se dovessimo perdere segnavia ed ometti, possiamo regolarci visivamente: individuato il piccolo becco roccioso della cima, procediamo diritti in quella direzione, stando leggermente a sinistra. Dopo aver attraversato una sorta di canalino nevoso fra una placca ed una parete, ci portiamo a quota 2700 metri circa, dove troviamo un microlaghetto che resiste come piccola isola nel mare di granito. Proseguendo leggermente verso destra ci portiamo ad un masso adagiato nella vicina placca dove vediamo scritto in rosso ed a caratteri grandi “Ligoncio”, insieme a due targhe del Sentiero attrezzato Dario di Paolo sud. Siamo infatti ad un bivio: andando a destra passiamo sotto il versante sud del pizzo Ligoncio e ci portiamo all’attacco del passo della Vadretta Meridionale, mentre andando a sinistra puntiamo al pizzo. Procediamo quindi verso sinistra traversiamo fra grandi blocchi ad un canalone di pallidi sfasciumi che sale ad un intaglio del crinale, la bocchetta orientale d’Arnasca (m. 2873). Cominciamo a salirlo con un po’ di fatica, fra pietrame mobile, fin quasi alla fine. Giunti poco sotto un grande masso che sta proprio nel mezzo del canalone e poco sotto la bocchetta, guardiamo a destra: sul fianco roccioso del versante meridionale del pizzo Ligoncio vediamo un bollo rosso. Qui lasciamo il canalone e ci portiamo alle rocce, iniziando un traverso verso destra che sfrutta brei cengie a tratti esposte. È il punto più delicato della salita, per l’esposizione alla nostra destra, anche se la cengia è sufficientemente larga per procedere facilmente, con qualche passo di elementare arrampicata (1+) necessari per superare saltini rocciosi. Procediamo comunque seguendo attentamente la direttrice dettata dagli ometti. Al termine del tratto esposto si sale in direzione di una parete rocciosa, sempre seguendo gli ometti, fra grandi blocchi. Giunti alla parete, si piega a sinistra, traversando, sempre fra blocchi, fino alla cresta. Qui si procede sfruttando una larga cengia, un po’ esposta, che porta sul limite inferiore della calotta sommitale. Il più è fatto perché ora la pendenza si attenua di molto e la salita procede in direzione dell’ormai visibile croce di vetta, sempre dettata dagli ometti, fra noioso pietrame. Poco sotto la vetta troviamo l’ometto più grande: visto da qui sembra superfluo, ma in realtà è molto utile per prendere in discesa subito la direzione giusta. Alla fine salite e ultime roccette siamo al grande ometto ed alla croce della cime del pizzo Ligoncio (m. 3032). |
Punta della Sfinge e Pizzo Ligoncio visti dal passo
Ligoncio
Ci sono persone che mostrano sempre la stessa faccia, ed altre che mostrano facce diverse a seconda delle situazioni. Così è anche per le montagne. Alcune, poi, mostrano da diverse prospettive un aspetto davvero differente. Fra queste il pizzo Ligoncio (m. 3032). Lo guardi dalla Valle d’Arnasca (o Val Spassato, in Val Codera) e vedi un’altissima, verticale e liscia parete di granito, che ha pochi eguali nell’arco alpino. La guardi dal versante opposti di Val Masino e vedi un torrione tondeggiante dalla larga base, che però non ha l’aspetto di quelle cime che colpiscono indelebilmente l’immaginazione. Ti sposti a sud, infine, la guardi dall’alta Val dei Ratti e fatichi ad individuarla, nonostante sia la cima più alta della valle ed anche l'unica a superare i 3000 metri: uno sfuggente corno di roccia nel mezzo della testata, circondato da vette più eleganti e slanciate. Il Ligoncio, che dà il nome ad un nodo o corona di cime fra Val Masino, Val dei Ratti e Val Codera, è così, prendere o lasciare.
Il pizzo Ligoncio (al centro) visto dalla Valle dell'Oro
E se lo si vuol prendere, con tutto il dovuto rispetto che si deve alle montagne, conviene, in assenza di competenze alpinistiche, salire dalla Val dei Ratti, seguendo le orme di L. Barazzoni, G. Bernasconi, M. Chiesa, Confalonieri ed S. Piatti che, accompagnati da G. Bonazzola, il 31 agosto 1899. Non è chiara l’origine del nome, mentre la denominazione in uso nella Val Codera, “Lis d’Arnasca”, è di per sé eloquente, a fronte dell’immane parete di cui si è detto. Punto di partenza ideale sarebbe il rifugio Volta, ma possiamo optare per il più comodo bivacco Primalpia, che allunga i tempi di salita ma non pone problemi di chiavi.
Il pizzo Ligoncio al centro della testata della Val dei
Ratti
Dal bivacco Primalpia seguiamo le indicazioni del sentiero LIFE e procediamo lungo il sentiero, abbastanza evidente, che punta ad una baita solitaria, sul lato opposto dell’alpe, a nord-est rispetto a noi. Oltre la baita, il sentiero prosegue, salendo leggermente e puntando ad un crinale che separa l’alpe dal vallone che dovremo sfruttare per salire al passo di Primalpia. Raggiunto il crinale erboso, in corrispondenza di un grande ometto, scendiamo, per un breve tratto, sul crinale medesimo, fra erbe e qualche roccetta, fino ad un masso, sul quale il segnavia, accompagnato dalla targhetta azzurra con il logo “Life”, indica una svolta a destra.
Punta della Sfinge e pizzo Ligoncio visti dalla Valle
d'Arnasca
Dobbiamo, ora, prestare un po’ di attenzione, perché il sentiero, volgendo decisamente a destra, ci porta ad una breve cengia esposta, per la quale scendiamo al canalone che adduce al passo. Le corde fisse ci aiutano nella breve discesa, che sfrutta dapprima uno stretto corridoio nella roccia, poi una traccia di sentiero esposta. Con le dovute cautele, eccoci sul fondo del canalone, nel quale scorre il modesto torrentello alimentato dai laghetti superiori.
Grandi placche nella salita verso il pizzo Ligoncio |
Pozza nella salita al pizzo Ligoncio |
Qui però lasciamo il sentiero LIFE, che sale verso destra, e scendiamo lungo il canalone, fino ad un bivio segnalato: mentre il sentiero di sinistra prosegue la discesa verso l’alpe Camera e Frasnedo, imbocchiamo quello di destra che sale con diversi tornantini fino a raggiungere la cima dell’erboso Mot, sulla soglia dell’ampio sistema di pascoli dell’alta Valle dei Ratti. Sempre seguendo il sentiero ed i segnavia passiamo vicino al baitone dell’alpe Talamucca e terminiamo la traversata al rifugio Volta, posto isolato un po’ più in alto, e riconoscibile per le finestre bianco-rosse.
Apri qui una fotomappa della salita dal laghetto alla
cima del pizzo Ligoncio
Lasciamo alle spalle il rifugio Volta (m. 2212) e cominciamo a salire sul circo terminale della valle seguendo le indicazioni del Sentiero Attrezzato Dario di Paolo sud, che traversa alla Valle dell’Oro per il passo della Vedretta Meridionale. Per un buon tratto lo seguiamo, salendo con qualche serpentina verso nord, con attenzione a segnavia ed ometti. La salita è davvero divertente, perché possiamo sfruttare un sistema di grandi placche granitiche, davvero godibili da tagliare se asciutte (ma, in generale, è del tutto sconsigliabile l’ascensione se il terreno è bagnato). Se dovessimo perdere segnavia ed ometti, possiamo regolarci visivamente: individuato il piccolo becco roccioso della cima, procediamo diritti in quella direzione, stando leggermente a sinistra.
Tratti esposti nella traversata dal bollo rosso |
L'obelisco guardiano della bocchetta orientale d'Arnasca |
Dopo aver attraversato una sorta di canalino nevoso fra una placca ed una parete, ci portiamo a quota 2700 metri circa, dove troviamo un microlaghetto che resiste come piccola isola nel mare di granito. Proseguendo leggermente verso destra ci portiamo ad un masso adagiato nella vicina placca dove vediamo scritto in rosso ed a caratteri grandi “Ligoncio”, insieme a due targhe del Sentiero attrezzato Dario di Paolo sud.
Apri qui una fotomappa della salita dall'ultima placca
al pizzo Ligoncio
Siamo infatti ad un bivio: andando a destra passiamo sotto il versante sud del pizzo Ligoncio e ci portiamo all’attacco del passo della Vadretta Meridionale, mentre andando a sinistra puntiamo al pizzo. Procediamo quindi verso sinistra traversiamo fra grandi blocchi ad un canalone di pallidi sfasciumi che sale ad un intaglio del crinale, la bocchetta orientale d’Arnasca (m. 2873). Cominciamo a salirlo con un po’ di fatica, fra pietrame mobile, fin quasi alla fine.
Deviazione a sinistra sotto la parete rocciosa |
In vista della croce di vetta |
Giunti poco sotto un grande masso che sta proprio nel mezzo del canalone e poco sotto la bocchetta, guardiamo a destra: sul fianco roccioso del versante meridionale del pizzo Ligoncio vediamo un bollo rosso. Qui lasciamo il canalone e ci portiamo alle rocce, iniziando un traverso verso destra che sfrutta brei cengie a tratti esposte.
La Valle dei Ratti vista dalla cima del pizzo Ligoncio
È il punto più delicato della salita, per l’esposizione alla nostra destra, anche se la cengia è sufficientemente larga per procedere facilmente, con qualche passo di elementare arrampicata (1+) necessari per superare saltini rocciosi. Procediamo comunque seguendo attentamente la direttrice dettata dagli ometti, mentre alla nostra sinistra il gendarme di roccia della bocchetta orientale d’Arnasca assume a forma di un ardito obelisco. Alla sua sinistra si mostrano le affilate cime della parte centro-occidentale della testata della Valle dei Ratti, cioè le cime di Gaiazzo (m. 2920), la punta Magnaghi (m. 2871), la punta Como (m. 2846) ed il Sasso Manduino (m. 2888).
Ometto sulla cima del pizzo Ligoncio |
Sasso Manduino visto dalla cima del pizzo Ligoncio |
Al termine del tratto esposto si sale in direzione di una parete rocciosa, sempre seguendo gli ometti, fra grandi blocchi. Giunti alla parete, si piega a sinistra, traversando, sempre fra blocchi, fino alla cresta. Qui si procede sfruttando una larga cengia, un po’ esposta, che porta sul limite inferiore della calotta sommitale.
Monte Disgrazia e Corni Bruciati visti dalla cima del
pizzo Ligoncio
Il più è fatto perché ora la pendenza si attenua di molto e la salita procede in direzione dell’ormai visibile croce di vetta, sempre dettata dagli ometti, fra noioso pietrame. Poco sotto la vetta, a quota 2940, troviamo l’ometto più grande: visto da qui sembra superfluo, ma in realtà è molto utile per prendere in discesa subito la direzione giusta. Alla fine salite e ultime roccette siamo al grande ometto ed alla croce della cime del pizzo Ligoncio (m. 3032).
Croce di vetta del pizzo Ligoncio
Grandioso il panorama. A nord e nord-est si susseguono le cime del gruppo del Masino, con i pizzi Porcellizzo (m. 3075), Badile (m. 3308), Cengalo (m. 3367) e del Ferro (occ. m. 3267, centr. 3289 ed or. m. 3234), le cime di Zocca (m. 3174) e di Castello (m. 3386), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occ. m. 3349, cent m. 3290, or. m. 3333), il monte Sissone (m. 3330) ed il monte Disgrazia (m. 3678). Resta invece nascosta alle sue spalle la catena del Bernina, così come non si vedono le cime dell’alta Valtellina.
Il monte Disgrazia visto dalla cima del Pizzo Ligoncio
In compenso la catena orobica si presenta in tutta la sua ampiezza. In primo piano, a sud, le acuminate cime della Val Ligoncio, della Valle della Merdarola e della Valle dei Ratti, fra le quali spiccano il monte Spluga, sul lato sinistro della Valle dei Ratti, e la cima Magnaghi ed il Sasso Manduino, su quello destro. Più a destra lo sguardo si perde lontanissimo, oltre le Lepontine, a gruppo del Monte Rosa ed all’Oberland bernese.
Pizzi Badile, Cengalo e del Ferro dalla cima del pizzo
Ligoncio
Risiscendiamo infine per la medesima via di salita, facendo attenzione agli ometti per evitare passaggi ostici.
La Val Cocdera vista dalla vetta del pizzo Ligoncio
Punti di partenza ed arrivo
|
Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Biv. Primalpia-Passo di
Primalpia-Bocchetta di Spluga-Passo del Calvo-Rifugio
Omio
|
4 h
|
740
|
EE
|
SINTESI.
Dall bivacco Primalpia,
a 1980 metri, possiamo scegliere di seguire le
indicazioni del sentiero Walter Bonatti, oppure di
lasciarle alla nostra destra e di seguire quelle del
sentiero LIFE (con tratti meno esposti, ma
sconsigliabile in presenza di neve sui versanti). Se
scegliamo il sentiero LIFE seguiamo i segnavia
bianco-rossi procediamo lungo il sentiero,
abbastanza evidente, che punta ad una baita
solitaria, sul lato opposto dell’alpe, a nord-est
rispetto a noi. Oltre la baita, il sentiero
prosegue, salendo leggermente e puntando ad un
crinale che separa l’alpe dal vallone che dovremo
sfruttare per salire al passo di Primalpia.
Raggiunto il crinale erboso, in corrispondenza di un
grande ometto, scendiamo, per un breve tratto, sul
crinale medesimo, fra erbe e qualche roccetta, fino
ad un masso, sul quale il segnavia, accompagnato
dalla targhetta azzurra con il logo “Life”, indica
una svolta a destra. Dobbiamo, ora, prestare un po’
di attenzione, perché il sentiero, volgendo
decisamente a destra, ci porta ad una breve cengia
esposta, per la quale scendiamo al canalone che
adduce al passo. Le corde fisse ci aiutano nella
breve discesa, che sfrutta dapprima uno stretto
corridoio nella roccia, poi una traccia di sentiero
esposta. Con le dovute cautele, eccoci sul fondo del
canalone, nel quale scorre il modesto torrentello
alimentato dai laghetti superiori. Seguendo i
segnavia, lo attraversiamo e cominciamo a risalire,
sul lato sinistro (per noi) del canalone, un ampio
versante erboso disseminato di massi,
ricongiungendoci con il Sentiero Italia Lombardia
nord 3. Oltre la soglia, ci appare il laghetto di
Primalpia o lago del Manzèl (m.
2296), a monte della quale si trova la baita al Lago
(m. 2351). Qui intercettiamo per la seconda volta il
sentiero Walter Bonatti, che però di nuovo subito ci
lascia, salendo a sinistra, per via più breve, alla
bocchetta di Spluga (se siamo in ritardo con il
ruolino di marcia ci conviene seguirlo, risparmiando
un'ora buona di cammino). Passando a sinistra del
laghetto, puntiamo alla selletta che imtroduce ad
una conca di sfasciumi la quale ospita un secondo e
più piccolo laghetto (m. 2389), con un nevaietto che
rimane anche a stagione inoltrata. Salendo sul
fianco destro del canalino terminale, guadagniamo il
passo di Primalpia (m. 2476), che
si affaccia sull'alta Valle di Spluga. Non scendiamo
diritti, ma tagliando a sinistra e seguendo un
sentierino che scende per un tratto sul fianco della
testata della valle, per poi congiungersi con una
traccia che effettua la traversata alla bocchetta di
Spluga. Qualora perdessimo il sentierino, scendiamo
per un breve tratto lungo il Sentiero Italia:
troveremo, in basso rispetto al sentiero, sulla
sinistra, un masso, sul quale è segnalata la scritta
“Cap. Volta”, affiancata da un segnavia bianco-rosso
e dalla targhetta azzurra con il logo “Life”: è
questa la direzione da prendere (a sinistra). Il
sentierino taglia il fianco dello sperone montuoso
che separa i due valichi. Superata una breve fascia
di massi, superiamo anche un masso che segnala un
bivio al quale prendiamo a sinistra, portandoci alla
bocchetta di Spluga (m. 2522),
dove, su un masso, ritroviamo la targa gialla del
Sentiero Life e dove per la terza volta
intercettiamo il sentiero Walter Bonatti, che ora
non lasceremo più. Dobbiamo,
ora, stare attenti (soprattutto nell’eventualità,
non remota, di foschia e visibilità limitata) a
non seguire le indicazioni per la capanna Volta,
che ci portano a scendere dalla bocchetta verso
sinistra. Dobbiamo, invece, rimanere a destra:
raggiunta, sul lato opposto della bocchetta, una
grande placca di granito con un segnavia
rosso-bianco-rosso sulla sinistra, affiancato
dalla targhetta azzurra con il logo “Life” sulla
destra, troviamo il punto nel quale le due vie si
separano. Dobbiamo stare attenti a non piegare a
destra, sul sentierino che si porta al passo di
Primalpia, ma procediamo in direzione opposta
(nord), senza perdere quota, bensì cominciando a
salire a ridosso (alla nostra sinistra) delle
grandi placche di granito che scendono dalla
testata nord-occidentale dell’alta Valle di
Spluga. Incontriamo alcuni segnavia
rosso-bianco-rossi, poi un grande quadrato bianco,
e, ancora, segnavia rosso-bianco-rossi sul fianco
della testata. Il sentiero sale decisamente,
snodandosi fra gli ultimi magri pascoli, per poi
raggiungere la sterminata e caotica zona di
sfasciumi che riempie interamente l’angolo
nord-occidentale dell’alta valle. Terminano i
pascoli dobbiamo districarci fra massi di ogni
dimensione, seguendo la direzione dettata dagli
abbondanti segnavia, in direzione del passo del
Calvo. Se guardiamo davanti a noi, vedremo una
larga depressione, apparentemente accessibile,
dietro la quale occhieggiano i Corni Bruciati. Non
è quello il passo. Si trova più a sinistra, ed è
costituito da un intaglio appena distinguibile su
una più modesta depressione, riconoscibile per la
grande e liscia placca giallastra sottostante.
Alla base del passo vediamo un grande cerchio
bianco contornato di rosso che segnala che inizia
un tratto esposto e potenzialmente pericoloso.
L’ultimo tratto della salita, infatti, sfrutta una
cengia a ridosso del fianco roccioso di destra del
versante (le corde fisse assistono questo
passaggio), poi uno stretto e ripido corridoio
erboso (anche qui le corde fisse sono di grande
aiuto), ed infine un’ultima brevissima cengia
(sempre corde fisse), che ci porta non
direttamente all’intaglio del passo, ma ad uno
stretto corridoio che lo precede. Ora vediamo
l’intaglio, alla nostra sinistra (su una placca
rocciosa sono assicurate la targa gialla del
Sentiero Life ed una scatola metallica), ma
dobbiamo prestare attenzione anche nell’ultimo
passaggino, per evitare di cadere in un singolare
buco che si spalanca, improvviso, alla nostra
sinistra, sotto un grande masso. Il primo tratto
della discesa dal passo o bocchetta del
Calvo (m. 2700) sfrutta la lunga ed
esposta cengia del Calvo,
adeguatamente attrezzata ma pur sempre da
affrontare con la debita cautela e da evitare in
presenza di neve o dopo abbondanti precipitazioni.
Poi tocchiamo un terreno più tranquillo e si
scende lungo un facile dosso, in direzione
nord-nord-est, fino ad intercettare la traccia del
sentiero che congiunge il rifugio Omio alla
bocchetta della Mardarola. Seguendola verso
sinistra dopo qualche saliscendi siamo al rifugio
Omio (m. 2100).
VARIANTE. Dal bivacco Primalpia ignoriamo le indicazioni del sentiero Life e procediamo seguendo la traccia che sale in direzione est-nord-est, verso il bivacco Bottani-Cornaggia. A quota 2100 metri circa, però, i due sentieri si separano: mentre quello per il bivacco prosegue a destra, il sentiero Bonatti piega decisamente a sinistra (nord e nord-nord-ovest). Seguendo i segnavia superiamo un terrazzo erboso ed alcuni avvallamenti e puntando alla costiera che separa l'anfitreatro di Primalpia dal canalone che sale al passo omonimo. Inizia un tratto che richiede grande attenzione, perché, sfruttando un canalone, ci portiamo ai roccioni che chiudono a sud il più ampio canalone per il passo di Primalpia. Scendiamo così alla conca del già citato lago di Primalpia o del Marzèl (m. 2296), portandoci poi sul lato sinistro (per noi) del canalone. Superato il lago, saliamo fra sfasciumi e magri pascoli ad un masso con indicazioni, ad un bivio dove lasciamo alla nostra destra il Sentiero Life e proseguiamo la salita verso sinistra (indicazioni per il rifugio Omio), fra sfasciumi e roccette. Proseguendo nella salita passiamo accanto al rudere del baitello dell'alpe, chiamato sulle carte Baita del Lago (m. 2351). Proseguendo nella salita con qualche svolta fra magri pascoli e roccette, siamo all'ampio ripiano che introduce alla la bocchetta di Spluga o bocchetta di Talamucca, dove incrociamo il sentiero per il rifugio Volta (che scende verso sinistra) e dove sentiero Bonatti e Sentiero Life si ritrovano per la seconda volta, per non lasciarsi più. Proseguiamo quindi fino al rifugio Omio come sopra descritto. |
Apri qui una fotomappa della media Val dei Ratti
Il bivacco può essere punto
di appoggio per una duplice interessante traversata: al
rifugio Volta ed al rifugio Omio, passando per il passo di
Primalpia e la bocchetta del Calvo. Il primo tratto del
cammino è comune. Vediamo, dunque, come muoverci. Gettato un
ultimo colpo d’occhio al circo terminale dell’alta Valle dei
Ratti (il panorama è davvero superbo), dobbiamo rimetterci in
marcia per raggiungere il passo di Primalpia, seguendo i
segnavia bianco-rossi lungo il sentiero, abbastanza evidente,
che punta ad una baita solitaria, sul lato opposto dell’alpe,
a nord-est rispetto a noi. In realtà la solitudine dell’alpe è
apparente più che reale: d’estate viene ancora caricata, per
cui probabilmente ci sentirà di ascoltare il rallegrante
scampanio delle mucche, e magari anche il meno rallegrante
abbaiare del cane da pastore
(chissà perché questi animali considerano gli escursionisti
dei nemici mortali dei capi di bestiame che hanno imparato a
sorvegliare: nel loro immaginario, probabilmente, costoro
ritemprano le forze divorandosi innocenti vitelli rapiti alla
loro mandria). In breve, eccoci alla baita, che ospita gli
alpeggiatori, sempre disposti a scambiare qualche parola con
questi curiosi umani itineranti, e ad offrire preziose
indicazioni. Oltre la baita, il sentiero prosegue, salendo
leggermente e puntando ad un crinale che separa l’alpe dal
vallone che dovremo sfruttare per salire al passo di
Primalpia.
Raggiunto il crinale erboso, in corrispondenza di un grande
ometto, si apre, di fronte ai nostri occhi, di nuovo, più
vicino, l’ampio scenario dei pascoli dell’alpe Talamucca.
Riconosciamo anche, facilmente, il rifugio Volta, che è
l’ultimo edificio, a sinistra, nel circo dell’alta valle.
Purché la giornata di buona, o almeno discreta. Purtroppo la
Valle di Ratti, per la sua vicinanza al lago di Como, è spesso
percorsa da correnti umide, che generano nebbie anche dense,
le quali ne velano la bellezza davvero unica. Se, quindi,
potremo godere di una giornata limpida, consideriamoci
fortunati.
Apri
qui una fotomappa dei sentieri Bonatti, Italia e LIFE
all'alpe Primalpia
Scendiamo, ora, per un breve tratto sul crinale, fra erbe e qualche roccetta, fino ad un masso, sul quale il segnavia, accompagnato dalla targhetta azzurra con il logo “Life”, indica una svolta a destra. Dobbiamo, ora, prestare un po’ di attenzione, perché il sentiero, volgendo decisamente a destra, ci porta ad una breve cengia esposta, per la quale scendiamo al canalone che adduce al passo. Le corde fisse ci aiutano nella breve discesa, che sfrutta dapprima uno stretto corridoio nella roccia, poi una traccia di sentiero esposta. Con le dovute cautele, eccoci sul fondo del canalone, nel quale scorre il modesto torrentello alimentato dai laghetti superiori. Qui le due traversate si separano.
Il Lago Marzèl
Per raggiungere il rifugio Volta, dobbiamo portarci sul lato destro del largo vallone, dove troviamo un sentierino, scarsamente marcato, che discende un versante morenico fino ad intercettare il sentiero che sale dal lato opposto della Valle dei Ratti (cioè da Frasnedo). Qui prendiamo a destra e, procedendo come sopra descritto (presentazione dell’itinerario Frasnedo-Volta), raggiungiamo la sommità del Mot e traversiamo, infine, al rifugio. Se, invece, vogliamo effettuare la più lunga traversata al rifugio Omio (ricalcando la terza tappa del Sentiero Life delle Alpi Retiche), procediamo così. Giunti alla base del canalino attrezzato con corde fisse, attraversiamo il torrente e cominciamo a risalire, sul lato sinistro (per noi) del canalone, un ampio versante erboso disseminato di massi, ricongiungendoci con il Sentiero Italia Lombardia nord 3. Il passo sembra lì, a pochi minuti di cammino. Ma, come spesso accade in questi casi, quel che ci sembra un valico è in realtà solo la soglia di un gradino superiore. La delusione della scoperta, però, dura ben poco, perché, oltre la soglia, ci appare, piccola perla di immenso valore, il laghetto di Primalpia (etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per eccellenzam. 2296), a monte della quale si trova la baita al Lago (m. 2351). Ecco uno di quegli angoli di montagna solitaria e silenziosa che, da soli, ripagano di ogni fatica. Passando a sinistra del laghetto, puntiamo alla selletta che ci sembra essere, finalmente, il passo agognato. Ed invece, per la seconda volta, raggiunta la selletta siamo alle soglie di un ultimo gradino, una conca di sfasciumi che ospita un secondo e più piccolo laghetto (m. 2389), con un nevaietto che rimane anche a stagioneinoltrata.
AIl passo, questa volta, è
davvero davanti a noi: qualche ultimo sforzo e, salendo sul
fianco destro del canalino terminale, eccoci, finalmente, al passo
di Primalpia (pàs de primàlpia, m. 2476). Un passo
che regala un’emozione intensa, perché apre un nuovo, vasto ed
inaspettato orizzonte: davanti a noi, in primo piano, l’alta
Valle di Spluga, ma poi, oltre, un ampio scorcio della piana
della media Valtellina, incorniciato, sulla sinistra, dai
Corni Bruciati (protagonisti
dell’ultima giornata del Sentiero Life), sul fondo dal gruppo
dell’Adamello e, sulla destra, dalla catena orobica, che
mostra le sue più alte vette della sezione mediana. Valeva
davvero la pena di giungere, almeno una volta nella vita, fin
qui: ecco un pensiero che non potremo trattenere. Qui, di
nuovo, Sentiero Life e Sentiero Italia Lombardia nord 3 si
separano: il secondo, infatti, effettua la lunga discesa della
Valle di Spluga, passando per i suoi splendidi laghetti (dal
passo si vedono solo quelli più piccoli, inferiori, mentre
restanascosto il più grande lago superiore, il “läch gränt”).
Il Sentiero Life, invece, rimane in quota, effettuando una
traversata dell’alta Valle di Spluga che, passando per il
passo gemello della bocchetta di Spluga, sale al passo del
Calvo. Dobbiamo, quindi, innanzitutto portarci alla bocchetta
dello Spluga, prestando attenzione a non imboccare il sentiero
che scende sul fianco destro della valle omonima, ma
portandoci a sinistra del passo, dove un sentierino scende per
un tratto sul fianco della testata della valle, per poi
congiungersi con una traccia che effettua latraversata alla
bocchetta.
Qualora perdessimo il
sentierino, scendiamo per un breve tratto lungo il Sentiero
Italia: troveremo, in basso rispetto al sentiero, sulla
sinistra, un masso, sul quale è segnalata la triplice
direttrice per Frasnedo (cioè per il passo di Primalpia
(etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per
eccellenza), che abbiamo appena lasciato), per la Val
Masino (Sentiero Italia) e per la capanna Volta (è la
direttrice che ci interessa, a sinistra). Nella medesima
direzione, troviamo, poi, un secondo masso, con una freccia
nera, in campo bianco, e con la scritta “Cap. Volta”,
affiancata da un segnavia bianco-rosso e dalla targhetta
azzurra con il logo “Life”: è questa la direzione da prendere
(a sinistra). Non possiamo, dunque, sbagliare.
Il sentierino taglia il fianco dello sperone montuoso che
separa i due valichi. Superata una breve fascia di massi,
guadagniamo una posizione dalla quale è possibile ammirare un
ampio scorcio del lago superiore di Spluga, che, purtroppo,
dobbiamo lasciare qualche centinaio di metri più in basso
rispetto a noi (è a 2160 metri, mentre noi stiamo
oltrepassando la quota 2500), ma che, anche da qui, ci regala
qualcosa del fascino profondo e selvaggio delle sue scure
acque. Si tratta di un lago che merita un’attenta
considerazione, anche perché è il più grande dell’intera Val
Masino (valle ricchissima di scenari alpini incomparabili, ma
assai povera di laghi: menzionati il lago di Spluga, appunto,
e quello, in Val Terzana,
di Scermendone, li abbiamo praticamente menzionati tutti).
Sullo sfondo, le più alte cime della catena orobica.
Oltrepassato un masso che
segnala un bivio (a destra si scende alla baita Spluga, nei
pressi del già citato lago, a sinistra si prosegue per la
capanna Volta), al quale prendiamo a sinistra, eccoci, alla
fine, alla bocchetta di Spluga (bochèta dè
la möca, m. 2522), dove, su un masso, ritroviamo la targa
gialla del Sentiero Life. Amplissimo il panorama, non solo in
direzione della media Valtellina, maanche, sul lato, opposto,
in direzione della media Valle dei Ratti e dell’alto Lario.
Dobbiamo, ora, stare attenti (soprattutto nell’eventualità,
non remota, di foschia e visibilità limitata) a non seguire le
indicazioni per la capanna Volta, che ci portano a scendere
alla bocchetta verso sinistra (tali indicazioni – segnavia
rosso-bianco-rossi - si giustificano in riferimento ad un
percorso che, dalla bocchetta, scende in alta Valle dei Ratti
e di qui al rifugio Volta). Dobbiamo, invece, rimanere a
destra: raggiunta, sul lato opposto della bocchetta, una
grande placca di granito con un segnavia rosso-bianco-rosso
sulla sinistra, in segnavia bianco-rosso affiancato dalla
targhetta azzurra con il logo “Life” sulla destra, troviamo il
punto nel quale le due vie si separano.
Noi prendiamo a destra, senza però perdere quota, ma
cominciando a salire a ridosso delle grandi placche di granito
che scendono dalla testata nord-occidentale dell’alta Valle di
Spluga. Incontriamo alcuni segnavia rosso-bianco-rossi, poi un
grande quadrato bianco, e, ancora, segnavia rosso-bianco-rossi
sul fianco della testata. Il sentiero sale decisamente,
snodandosi fra gli ultimi magri pascoli, per poi raggiungere
la sterminata e caotica zona di sfasciumi che riempie
interamente l’angolo nord-occidentale dell’alta valle. Ora
possiamo, guardando in basso, alla nostra destra, vedere il
lago superiore di Spluga nella sua interezza. Ancora più
suggestiva ci appare, sullo sfondo, la fuga di quinte delle
valli orobiche (sezione centro-orientale).
Apri qui una panoramica della testata della Val Masino
dal passo del Calvo
Terminano i pascoli e si fa
meno accentuata, ma non meno faticosa, la salita: dobbiamo,
infatti, ora districarci fra massi di ogni dimensione, con
pazienza e cautela, seguendo la direzione dettata dagli
abbondanti segnavia. La cautela è d’obbligo: siamo ormai
stanchi, e la possibilità diprocurarci una storta, o peggio,
anche su un terreno apparentemente non pericoloso è dietro
l’angolo. Alle nostre spalle, intanto, si rende ora ben
visibile, sull’angolo sud-occidentale della valle, la cima del
Desenigo (m. 2845).
Ma dove andremo a finire? Dov’è il passo del Calvo che ci
porterà alle soglie della Val Ligoncio? Se guardiamo davanti a
noi, vedremo una larga depressione, apparentemente
accessibile, dietro la quale occhieggiano, furbi ed un po’
impertinenti, i Corni Bruciati. Non è quello il passo. Si
trova più a sinistra, ed è costituito da un intaglio appena
distinguibile su una più modesta depressione, riconoscibile
per la grande e liscia placca giallastra sottostante. Se poi
queste indicazioni non bastassero a capire qual è la meta,
poco male: con un po’ di pazienza, seguendo i segnavia ed
alcuni grandi ometti, ci si arriverà. Dietro la bocchetta dello Spluga
appare, ad un certo punto, anche l’inconfondibile corno del
monte Legnone: ce lo ricordiamo, ha dominato lo scenario della
prima giornata del sentiero. Alla nostra sinistra, le
formazioni gotiche e tormentate della testata nord-occidentale
della Valle di Spluga. Un’avvertenza: se, per qualunque
motivo, ci trovassimo nella necessità di scendere a valle,
cioè di scendere dalla Valle diSpluga, non scegliamo di
scendere, a vista, attraversando la fascia di sfasciumi in
direzione del lago: la fascia è, infatti, chiusa dal salto di
qualche centinaia di metri di rocce lisce, arrotondate e
ripidissime.
Dopo quasi un’ora di traversata, eccoci, infine, alla base del
passo: un grande cerchio bianco contornato di rosso ci segnala
che inizia un tratto esposto e potenzialmente pericoloso.
L’ultimo tratto della salita, infatti, sfrutta una cengia a
ridosso del fianco roccioso di destra del versante (le corde
fisse assistono questo passaggio), poi uno stretto e ripido
corridoio erboso (anche qui le corde fisse sono di grande
aiuto), ed infine un’ultima brevissima cengia (sempre corde
fisse), che ci porta non direttamente all’intaglio del passo,
ma ad uno stretto corridoio che lo precede. Ora vediamo
l’intaglio, alla nostra sinistra (su una placca rocciosa sono
assicurate la targa gialla del Sentiero Life ed una scatola
metallica), ma dobbiamo prestare attenzione anche nell’ultimo
passaggino, per evitare di cadere in un singolare buco che si
spalanca, improvviso, alla nostra sinistra, sotto un grande
masso.
Eccoci, infine, ai 2700 metri del passo del Calvo.
Se il passo di Primalpia (etimologicamente, la prima fra le
alpi, l'alpe per eccellenza) emoziona, quello del Calvo toglie
addirittura il fiato, perché spalanca, improvvisa e sublime,
di fronte a noi, l’intera compagine delle cime del gruppo del
Masino e del Monte Disgrazia ("desgràzia"). Da sinistra,
l’occhio esperto riconosce, da sinistra, i pizzi dell’Oro (m.
2695, 2703 e 2576), sulla testata della valle omonima, la cima
del Barbacan (sciöma dò barbacàn, o Barbacane, da un termine
di origine persiana che significa "balcone", m. 2738), sulla
costiera che separa la Valle dell’Oro dalla Val
Porcellizzo ("val do porscelécc"), le cime d’Averta (dal
dialettale "avert", cioè aperto, m. 2778, 2861), il pizzo
Porcellizzo (sciöma dò porsceléc', m. 3075), la punta Torelli
(m. 3137), i pizzi Badile (m. 3308) e Cengalo (dal latino
"cingulum", da cui anche "seng" e "cengia", stretto risalto di
roccia, 3367), che spiccano, per mole ed altezza, sulla
testata della Val
Porcellizzo, i pizzi Gemelli (m. 3221 e 3259), i pizzi
del Ferro (sciöma dò fèr), occidentale (o cima della Bondasca,
m. 3267), centrale (m. 3287) ed orientale (m. 3200), sulla
testata della valle omonima, la cima di Zocca (m. 3175), la
punta Allievi (m. 3123), la Cima di Castello ("castèl"m.
3386), la punta Rasica ("rèsga"m. 3305), le celeberrime cime
della Valle di Zocca ("val da zòca"), ed ancora i pizzi
Torrone occidentale (m. 3349), centrale (m. 3290) ed orientale
(m. 3333, riconoscibile per il sottile ago alla sua sinistra),
sulla testata della valle omonima, il Monte Sissone ("sisùn",
in Val Masino, "còrgn de sisùm", in Valmalenco; m. 3331), le
cime di Chiareggio (da "clarus", nel senso di spoglio di
alberi;) m. 3203, 3107 e 3093) ed il monte Pioda (sciöma da
piöda, m. 3431), sulla testata della val
Cameraccio, ed infine il Monte Disgrazia ("desgràzia"m.
3678), che signoreggia per mole ed eleganza su tutte le altre
cime, ed ancora loro, i Corni Bruciati (m. 3097 e 3114), sulla
testata della Valle
di Preda Rossa, lo scenario conclusivo del Sentiero
Life.
È, questo, il punto più alto ed emotivamente più forte
dell’intero sentiero. Resta l’ultima discesa, in Val Ligoncio
e Valle dell’Oro, che ha come meta il rifugio
Omio, dove si conclude questa terza giornata. Il rifugio
venne edificato nel 1937 dalla Società Escursionisti Milanesi
ed intitolato alla memoria di Antonio Omio, una delle sei
vittime della tragica ascensione alla punta Rasica (in Valle
di Zocca) del 1935. Incendiato dalle forze nazifasciste nel
1944, perché veniva utilizzato come punto di appoggio dalle
forze partigiane, venne ricostruito nel 1948 e ristrutturato
nel 1970 e nel 1997.
Siamo stanchi, una certa tendenza
alla rilassatezza si può fare subdolamente strada, complice il
pensiero ingannevole: “il più è fatto!” Invece dobbiamo
rimanere concentrati ed attenti, perché il primo tratto della
discesa sfrutta la lunga ed esposta cengia del Calvo (battuta
da cacciatori, molto prima che da escursionisti),adeguatamente
attrezzata ma pur sempre da affrontare con la debita cautela e
da evitare in presenza di neve o dopo abbondanti
precipitazioni (tanto per fare un paragone forse familiare a
diversi lettori, assomiglia un po’ alla discesa dal passo del
Barbacan (o Barbacane, da un termine di origine persiana che
significa "balcone") sud- est in Val
Porcellizzo, lungo il Sentiero Risari, da molti
utilizzato come prima trappa di un abbreviato Sentiero Roma).
Ma dove ci troviamo esattamente? Ora, guardando una cartina ci
accorgiamo che sul punto di incontro fra le valli di Spluga,
Ligoncio e dei Ratti è posta la cima del Calvo (sciöma del
munt Splüga), o monte Spluga (m. 2967), che resta, nascosto,
alla nostra sinistra. In realtà le cime del Calvo sono due: la
già citata è quella occidentale, e ve n’è una seconda,
orientale (m. 2873). Ebbene, la cengia che sfrutteremo taglia,
in diagonale, proprio in fianco nord-orientale di questa
seconda cima, dalla base massiccia. Dopo questi chiarimenti
geografici, cominciamo a scendere.
La traccia di sentiero segue la lunga cengia, in gran parte
assistita da corde fisse, sempre molto utili. Scendiamo con
calma, assicurandoci alle corde fisse. Sulla nostra destra si
apre il selvaggio circo terminale della Val Ligoncio (la
sezione meridionale di quella che genericamente viene
denominata Valle dell’Oro), segnata dai repulsivi salti delle
cime che la incorniciano. Distinguiamo anche, più a sinistra,
la spaccatura della bocchetta di Medaccio (da "meda", mucchio, quindi monte, in forma
dispregiativa), a destra della punta omonima, per la quale si
può passare dalla Val Ligoncio alla Valle della Merdarola
("val da merdaröla"). Dopo un ultimo canalino di terriccio
scivoloso ed una brevissima risalita, eccoci, alla fine, alla
base del passo. Alla nostra sinistra vediamo un nevaietto che
rimane per l’intera stagione (può servire come punto di
riferimento per chi voglia riconoscere la cengia del Calvo
guardando dalla Omio). Proseguiamo al discesa, un po’
faticosamente e senza allentare l’attenzione, superando una
fascia di grandi massi. Alle nostre spalle si fa più
riconoscibile il poderoso fianco roccioso della cima del Calvo
(sciöma del munt Splüga) orientale. Alla sua destra, dopo una
curiosa sequenza di irti spuntoni, defilata, la cima del Calvo
occidentale, sulla verticale del nevaietto.
La discesa prosegue, seguendo i segnavia rosso-bianco-rossi,
fino ai primi pascoli. Dopo un masso che presenta anche una
croce rossa, attraversiamo un torrentello che scende dal
nevaietto e proseguiamo nella discesa, in diagonale, verso
sinistra. Dopo un buon tratto di discesa, fermiamoci e
volgiamo lo sguardo: le due cime del Calvo sono ancora più
riconoscibili, e si distingue anche, sul fianco di quella
orientale, la cengia che abbiamo sfruttato scendendo dal passo
del Calvo. In direzione opposta, al centro della valle, si
distingue il rifugio
Omio.
Apri qui una fotomappa della Valle dell'Oro
Ed è lì che, alla fine, ci
porta il sentiero, che si snoda fra i pascoli della Val
Ligoncio (val dò ligùnc'), superando diversi torrentelli (àquè
do ligùnc’, che confluiscono, più in basso, nel fiöm do
ligunc’ o fiöm da caséna di lüsèrt) e balze. Nell’ultimo
tratto il sentiero intercetta i due rami del sentiero Dario di
Paolo, che salgono ai passi della Vedretta, per il quale si
scende nell’alta Valle dei Ratti, e Ligoncio, per il quale si
scende in valle d’Arnasca (uno dei più antichi toponimi
valtellinesi, dalla radice ligure o celtica "arn", che
significa "acqua").
Al rifugio Omio
(m. 2100) ci godiamo, alla fine, il meritato riposo, dopo
circa 4 ore di cammino.
Testata della Val dei Ratti
SENTIERO DARIO DI PAOLO SUD - ANELLO DEL CALVO
Punti di partenza ed arrivo
|
Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Rif. Omio-Passo della Vedretta
meridionale-Rif. Volta
|
4 h
|
740
|
EE
|
Rif. Omio-Passo della Vedretta
meridionale-Rif. Volta-Biv Primalpia
|
6 h
|
820
|
EE
|
Biv Primalpia-Passo di
Primalpia-Passo del Calvo-Rif. Omio
|
6 h
|
740
|
EE
|
SINTESI.
Pochi metri a sinistra (per chi guarda a monte)
del rifugio Omio (m. 2100) i
cartelli indicano la partenza del sentiero che
porta alla valle Merdarola per la bocchetta di
Medaccio (sentiero che parte con andamento
pianeggiante) e del sentiero attrezzato
Dario Di Paolo, che invece comincia
subito a salire alla sua destra. Dopo poche decine
di metri siamo al bivio segnalato
nel quale i due rami del sentiero attrezzato si
dividono: il primo (settentrionale, destra) sale
con più decisione, mentre il secondo (meridionale,
diritto) guadagna quota più
gradualmente, valicando un dosso erboso ed alcuni
torrentelli. Proseguiamo fiancheggiando il piede
di un primo promontorio di
granito, per poi tagliare gli ultimi magri pascoli
della val Ligoncio lasciando a distanza, sulla
destra, un secondo promontorio roccioso,
che scende dalla Punta della Sfinge e dal quale
precipitano alcune cascatelle. Fin qui possiamo
ancora seguire una traccia di sentiero; nella
rimanente salita si tratterà invece di seguire gli
abbondanti segnavia rosso-bianco-rossi, che
disegnano il tracciato su un terreno faticoso, per
lo più costellato di massi di tutte le dimensioni,
con andamento complessivo sud-ovest. Il tracciato
si porta sul fianco di un terzo
promontorio roccioso, risalendo poi il
vallone alla sua destra, senza allontanarsi troppo
dallo sperone. Superata una grande placca,
pieghiamo a sinistra e sormontiamo il promontorio,
con qualche semplice passo di arrampicata.
Giungiamo così ad una sorta di pianoro,
disseminato di una quantità enorme di massi, e ad
un nuovo bivio ignoriamo due
indicazioni che segnalano la deviazione a destra
per salire al pizzo Ligoncio. Proseguendo diritti
ci avviciniamo poi ad un'enorme placca di granito,
solcata da rivoli d'acqua, aggirandola a monte.
Puntiamo quindi ad un quarto ed
ultimo promontorio, che
risaliamo sul fianco, con qualche ulteriore
semplice passo di arrampicata, raggiungendone il
piccolo pianoro sommitale.
Inizia l'ultimo tratto della salita al passo, che
fin dalla partenza e per gran parte del percorso
rimane ben visibile ai nostri occhi, con il suo
profilo di larga V con alla destra una U
più piccola, sulla costiera che separa la val
Ligoncio dalla Val dei Ratti. Ci troviamo ora
davanti a tre nevai più grandi,
oltre a qualcun altro più piccolo. Il primo lo
lasciamo alla nostra destra, mentre gli altri due
li dobbiamo risalire (la pendenza è peraltro
abbastanza modesta). L'attraversamento del secondo
avviene in linea retta, non lontano dal suo
margine sinistro. Eccoci così finalmente al canalino
terminale: i segnavia ci guidano
nell'ultima fatica in salita, e dobbiamo anche qui
compiere qualche semplice arrampicata. Un grosso
masso che presidia il solco del passo ci costringe
ad una leggera diversione a sinistra, ma i 2840
metri del passo della Vedretta
meridionale sono ben presto raggiunti.
La discesa sfrutta una cengia esposta
sulla sinistra (corde fisse alle quali assicurarsi
soprattutto in un passaggio un po' delicati). In
breve tocchimo l'alto circo della Valle
dei Ratti, e proseguiamo verso destra,
traversando quasi in piano e portandci ai piedi
del versante meridionale del pizzo Ligoncio.
Raggiunta una grande placca, siamo ad un bivio,
poco sotto i 2700 metri, segnalato da un masso che
riporta un grosso bollo, due targhe del Sentiero
Dario di Paolo ed una grande scritta in rosso,
"Ligoncio". Le indicazioni segnalano che piegando
a destra e salendo in direzione di un canalone di
sfasciumi ci si porta al pizzo Ligoncio, mentre
proseguendo diritti si scende verso il rifugio
Volta. Andiamo diritti e al
termine della placca troviamo un microlaghetto,
già visibile dalla base del passo della Vedretta
Meridionale. Qui cominciamo piegare a sinistra,
sempre seguendo ometti e segnavia
rosso-bianco-rossi. Ci troviamo più o meno sulla
verticale del rifugio Volta e scendiamo nella sua
direzione, attraversando splendide placche
granitiche, fino a raggiungere la fascia dei
pascoli alti. Vediamo ormai bene davanti a noi la
struttura e, scendendo diritti, raggiungiamo il rifugio
Volta (m. 2212).
Teniamo conto che se non disponiamo delle chiavi
del rifugio (cosa assai probabile), dobbiamo
scendere al bivacco Primalpia per pernottare. Per
farlo imbocchiamo il sentiero segnalato che
traversa a sinistra (per chi ha le spalle a mnte),
passando presso l'alpe Talamucca
e raggiungendo il poggio erboso del Mot
(m. 2074), dal quale poi scende con ripide
serpentine, fino ad un bivio segnalato: andando a
destra si scende all'alpe Camera ed a Frasnedo
(dove si trova un rifugio gestito), mentre andando
a sinistra si sale verso il passo di Primalpia,
seguendo il sentiero LIFE. Saliamo lungo un
canalone di sfasciumi e magri pascoli, fino a
trovare sulla destra una traccia che si stacca dal
sentiero e sale lungo un canalino esposto lungo il
fianco del canalone (corde fisse aiutano). Ci
affacciamo così all'amplissimo circo dell'alpe
Primapia, e vediamo già davanti a noi, sul lato
opposto, il bivacco. Seguendo il sentiero
segnalato passiamo presso una casera e traversiamo
quasi in piano al bivacco Primalpia
(m. 1980).
|
Apri qui una fotomappa della
discesa dal passo della Vedretta Meridionale al
rifugio Volta
La traversata Omio-Primalpia ed il
ritorno al rifugio Omio per l'itinerario sopra descritto
possono configurare un elegantissimo ed inedito anello
escursionistico, articolato in due giorni, che potremmo
chiamare “Anello del Calvo”, perché viene descritto
intorno al monte Spluga o cima del Calvo (m. 2967). La
prima parte sfrutta il sentiero Dario di Paolo sud,
attrezzato dal CAI di Como, che effettua una traversata
dal rifugio Omio al rifugio Volta per il passo della
Vedretta Meridionale. Dal rifugio Volta, poi, si scende
facilmente al bivacco Primalpia.
L'anello prevede difficoltà tecnicje che richiedono
esperienza escursionistica e mezzi di assicurazione alle
corde fisse, per superare la delicata discesa dal passo
della Vedretta meridionale al circo altod ella Valle dei
Ratti.
Il sentiero attrezzato dal CAI di Como e dedicato alla
memoria di Dario Di Paolo è costituito da due rami: il primo congiunge il
rifugio Omio al rifugio
Brasca attraverso il passo
Ligoncio, mentre il secondo congiunge il rifugio
Omio al rifugio Volta attraverso il passo della
Vedretta meridionale.
Entrambi iniziano, dunque (o terminano, a seconda del
senso in cui li si percorre) alla capanna Omio
(m. 2100). Pochi metri alla sua sinistra, infatti, i
cartelli indicano la partenza del sentiero che porta
alla valle Merdarola per la bocchetta di Medaccio
(sentiero che parte con andamento pianeggiante) e del
sentiero attrezzato Dario Di Paolo, che invece comincia
subito a salire verso sinistra.
Dopo poche decine di metri i due rami del sentiero
attrezzato si dividono: il primo sale con più decisione,
mentre il secondo guadagna quota più gradualmente,
valicando un dosso erboso ed alcuni torrentelli,
denominati àquè do ligùnc’, che confluiscono, più in
basso, nel fiöm do ligunc’ o fiöm da caséna di lüsèrt.
Proseguiamo fiancheggiando il piede di un primo
promontorio di granito, per poi tagliare gli ultimi
magri pascoli della
val Ligoncio lasciando a distanza, sulla propria destra,
un secondo promontorio roccioso, che scende dalla Punta
della Sfinge e dal quale precipitano alcune cascatelle.
Fin qui possiamo ancora seguire una traccia di sentiero;
nella rimanente salita si tratterà invece di seguire gli
abbondanti segnavia rosso-bianco-rossi, che disegnano il
tracciato su un terreno faticoso, per lo più costellato
di massi di tutte le dimensioni.
Il tracciato si porta sul fianco di un terzo promontorio
roccioso, risalendo poi il vallone alla sua destra,
senza allontanarsi troppo dallo sperone. Superata una
grande placca, pieghiamo a sinistra e sormontiamo il
promontorio, con qualche semplice passo di arrampicata.
Giungiamo così ad una sorta di pianoro, disseminato di
una quantità enorme di massi, ed ignoriamo due
indicazioni che segnalano la deviazione per salire al
pizzo Ligoncio. Durante questa parte della salita non
possiamo mancare di ammirare il profilo sempre diverso
offerto dalla Punta della Sfinge ed il poderoso bastione
di granito sul quale essa si erge. La punta ed il
bastione sono mete classiche per gli scalatori,
per cui non ci dovremo stupire se sentiremo le loro voci
sulla parete. Il pizzo Ligoncio appare invece molto meno
affascinante, con la sua mole tozza e la sua cima
defilata.
Ci avviciniamo poi ad un'enorme placca di granito,
solcata da rivoli d'acqua, aggirandola a monte. Puntiamo
quindi ad un quarto ed ultimo promontorio, che risaliamo
sul fianco, con qualche ulteriore semplice passo di
arrampicata, raggiungendone il piccolo pianoro
sommitale. Inizia l'ultimo tratto della salita al passo,
che fin dalla partenza e per gran parte del percorso
rimane ben visibile ai nostri occhi, con il suo profilo
di larga V con alla destra una U più
piccola, sulla costiera che separa la val Ligoncio dalla
Val dei Ratti.
Ci troviamo ora davanti tre nevai più grandi, oltre a
qualcun altro più piccolo. Il primo lo lasciamo alla
nostra destra, mentre gli altri due li
dobbiamo risalire (la pendenza è peraltro abbastanza
modesta). L'attraversamento del secondo avviene in linea
retta, non lontano dal suo margine sinistro. Eccoci così
finalmente al canalino terminale: i segnavia ci guidano
nell'ultima fatica in salita, e dobbiamo anche qui
compiere qualche semplice arrampicata. Un grosso masso
che presidia il solco del passo ci costringe ad una
leggera diversione a sinistra, ma i 2840 metri del passo
della Vedretta meridionale sono ben presto
raggiunti. Una nota storica: la prima salita nota a
questo passo dai Bagni del Masino risale al lontano 12
agosto 1880 e fu effettuata dal principe di Molfetta e
da A. Baroni.
Possiamo finalmente vedere il versante opposto, e si
apre davanti ai nostri occhi tutto il versante
centro-occidentale dell'alta val dei Ratti, ma anche
buona parte della media valle. Alle nostre spalle
lasciamo un panorama superbo: abbiamo davanti agli occhi
l'intero arco delle celeberrime vette del gruppo
Masino-Disgrazia, dai Pizzi dell'Oro ai Corni Bruciati.
Sotto
di noi, infine, si dispiega il pianoro terminale
dell'alta val dei Ratti, ed è uno spettacolo
sorprendente: uno spazio enorme disseminato caoticamente
di massi grandi e piccoli. Basta scendere di poche
decine di metri per raggiungerlo, ma, amara sorpresa, la
discesa non è affatto semplice. Ci troviamo infatti
subito di fronte ad un passaggio molto delicato, perchè
dobbiamo superare una roccia esposta, che ci offre come
appiglio uno stretto corridoio, ed un saltino che ci
permette di posare i piedi sulla roccia sottostante. Ci
sono le corde fisse, che assistono l'intera discesa, ma
questo breve passaggio richiede assolutamente che ci
assicuriamo alle corde con moschettoni e cordino. Se non
disponiamo di questo equipaggiamento o della necessaria
preparazione, rinunciamo alla discesa, e consideriamo la
salita al passo come un'occasione rara per godere di uno
spettacolo panoramico superbo, offerto da uno degli osservatori
più suggestivi sul gruppo del Masino-Disgrazia. Ma, già
che ci siamo, le raccomandazioni non finiscono qui:
anche la salita può riservare insidie; il terreno
erboso, per esempio, cela spesso buchi inattesi, e
finirci dentro ci può provocare infortuni anche seri; i
sassi non sempre sono immobili come pensiamo, per cui
evitiamo di farci gravare sopra l'intero peso del corpo
senza previa verifica.
Poniamo comunque di essere scesi al grande anfiteatro di
sfasciumi, con inclinazione poco marcata ed aspetto un
po' lunare. Siamo all'alto
circo della Valle dei Ratti, e proseguiamo
verso destra, traversando quasi in piano e portandci
ai piedi del versante meridionale del pizzo Ligoncio.
Raggiunta una grande placca, siamo ad un bivio,
poco sotto i 2700 metri, segnalato da un masso che
riporta un grosso bollo, due targhe del Sentiero Dario
di Paolo ed una grande scritta in rosso, "Ligoncio".
Apri qui una fotomappa della
discesa dal passo della Vedretta meridionale al
laghetto
Le indicazioni segnalano che piegando a destra e salendo in direzione di un canalone di sfasciumi ci si porta al pizzo Ligoncio, mentre proseguendo diritti si scende verso il rifugio Volta. Andiamo diritti e al termine della placca troviamo un microlaghetto, già visibile dalla base del passo della Vedretta Meridionale. Qui cominciamo piegare a sinistra, sempre seguendo ometti e segnavia rosso-bianco-rossi. Ci troviamo più o meno sulla verticale del rifugio Volta e scendiamo nella sua direzione, attraversando splendide placche granitiche, fino a raggiungere la fascia dei pascoli alti. Vediamo ormai bene davanti a noi la struttura e, scendendo diritti, raggiungiamo il rifugio Volta (m. 2212). Attenzione, però (e questo discorso vale anche per la salita sul versante opposto): se c'è molta foschia e scarsa visibilità, evitiamo questo sentiero, perché non possiamo appoggiarci ad alcun punto di riferimento e rischiamo di vagare a vuoto o, peggio ancora, di finire sul limite di qualche dirupo. Se veniamo investiti da un improvviso banco di foschia (cosa più facile sul versante della Val dei Ratti, che risente maggiormente delle correnti umide lariane), non procediamo, ma aspettiamo che si ripristinino condizioni buone di visibilità; se infatti perdiamo anche un solo segnavia, rischiamo di girare a vuoto per parecchio.
Discesa su placche al rifugio
Volta
La traversata, dunque, va
effettuata in condizioni atmosferiche buone, comporta un
dislivello in salita di 740 metri (che si riducono a 638
se partiamo dal rifugio Volta) e richiede circa 5 ore.
Teniamo conto che se non disponiamo delle chiavi del
rifugio (cosa assai probabile), dobbiamo scendere al
bivacco Primalpia per pernottare. Per farlo imbocchiamo
il sentiero segnalato che traversa a sinistra (per chi
ha le spalle a mnte), passando presso l'alpe Talamucca e
raggiungendo il poggio erboso del Mot (m. 2074), dal
quale poi scende con ripide serpentine, fino ad un bivio
segnalato: andando a destra si scende all'alpe Camera ed
a Frasnedo (dove si trova un rifugio gestito), mentre
andando a sinistra si sale verso il passo di Primalpia,
seguendo il sentiero LIFE.
Discesa su placche al rifugio
Volta
Saliamo lungo un canalone di sfasciumi e magri pascoli, fino a trovare sulla destra una traccia che si stacca dal sentiero e sale lungo un canalino esposto lungo il fianco del canalone (corde fisse aiutano). Ci affacciamo così all'amplissimo circo dell'alpe Primapia, e vediamo già davanti a noi, sul lato opposto, il bivacco. Seguendo il sentiero segnalato passiamo presso una casera e traversiamo quasi in piano al bivacco Primalpia (m. 1980).
Apri qui una videomappa del
versante orientale dell'alta Val dei Ratti
Apri qui una fotomappa della Valle dell'Oro
IL PASSO DELLA VEDRETTA MERIDIONALE
Punti di partenza ed arrivo
|
Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Biv. Primalpia -Passo della
Vedretta meridionale-Rif. Omio
|
5 h
|
960
|
EE
|
Apri qui una fotomappa della
salita dal rifugio Volta al passo della Vedretta
Meridionale
Se invece vogliamo effettuare la traversata del sentiero Dario di Paolo sud al contrario, avremo il vantaggio di rendere più agevole la salita al passo della Vedretta Meridionale, ma poi troveremo maggiori difficoltà nella discesa sul versante di Val Masino, dove il canalino di blocchi ed il successivo nevaio, soprattutto se la neve è gelata, costituiscono un'insidia da non sottovalutare (i ramponi non saranno superflui). In tal caso al passo faremo anche un inatteso incontro, tanto che il passo, se lo si volesse ribattezzare fantasiosamente, potrebbe essere chiamato passo dell'orso e della marmotta. Ma vediamo perché e come procedere.
Rifugio Volta e Sasso Manduino (a sinistra)
Dal bivacco Primalpia seguiamo le indicazioni del sentiero LIFE e procediamo lungo il sentiero, abbastanza evidente, che punta ad una baita solitaria, sul lato opposto dell’alpe, a nord-est rispetto a noi. Oltre la baita, il sentiero prosegue, salendo leggermente e puntando ad un crinale che separa l’alpe dal vallone che dovremo sfruttare per salire al passo di Primalpia. Raggiunto il crinale erboso, in corrispondenza di un grande ometto, scendiamo, per un breve tratto, sul crinale medesimo, fra erbe e qualche roccetta, fino ad un masso, sul quale il segnavia, accompagnato dalla targhetta azzurra con il logo “Life”, indica una svolta a destra.
Salita dal rifugio Volta
Dobbiamo, ora, prestare
un po’ di attenzione, perché il sentiero, volgendo
decisamente a destra, ci porta ad una breve cengia
esposta, per la quale scendiamo al canalone che adduce al
passo. Le corde fisse ci aiutano nella breve discesa, che
sfrutta dapprima uno stretto corridoio nella roccia, poi
una traccia di sentiero esposta. Con le dovute cautele,
eccoci sul fondo del canalone, nel quale scorre il modesto
torrentello alimentato dai laghetti superiori.
Qui però lasciamo il sentiero LIFE, che sale verso destra,
e scendiamo lungo il canalone, fino ad un bivio segnalato:
mentre il sentiero di sinistra prosegue la discesa verso
l’alpe Camera e Frasnedo, imbocchiamo quello di destra che
sale con diversi tornantini fino a raggiungere la cima
dell’erboso Mot, sulla soglia dell’ampio sistema di
pascoli dell’alta Valle dei Ratti. Sempre seguendo il
sentiero ed i segnavia passiamo vicino al baitone
dell’alpe Talamucca e terminiamo la traversata al rifugio
Volta, posto isolato un po’ più in alto, e riconoscibile
per le finestre bianco-rosse.
Salita dal rifugio Volta al passo della Vedretta
meridionale
Lasciamo alle spalle il
rifugio Volta (m. 2212) e cominciamo a
salire sul circo terminale della valle seguendo le
indicazioni del Sentiero Attrezzato Dario di Paolo sud,
che traversa alla Valle dell’Oro per il passo della
Vedretta Meridionale. Per un buon tratto lo seguiamo,
salendo con qualche serpentina verso nord, con attenzione
a segnavia ed ometti. La salita è davvero divertente,
perché possiamo sfruttare un sistema di grandi placche
granitiche, davvero godibili da tagliare se asciutte (ma,
in generale, è del tutto sconsigliabile l’ascensione se il
terreno è bagnato). Se dovessimo perdere segnavia ed
ometti, possiamo regolarci visivamente: individuato il
piccolo becco roccioso della cima, procediamo diritti in
quella direzione, stando leggermente a sinistra.
Dopo aver attraversato una sorta di canalino nevoso fra
una placca ed una parete, ci portiamo a quota 2700 metri
circa, dove troviamo un microlaghetto che resiste come
piccola isola nel mare di granito. Proseguendo leggermente
verso destra ci portiamo ad un masso
adagiato nella vicina placca dove vediamo scritto in rosso
ed a caratteri grandi “Ligoncio”, insieme a due targhe del
Sentiero attrezzato Dario di Paolo sud.
Apri qui una fotomappa della dal bivio al passo
della Vedretta meridionale
Siamo infatti ad un bivio: andando a destra passiamo sotto il versante sud del pizzo Ligoncio e ci portiamo all’attacco del passo della Vadretta Meridionale, mentre andando a sinistra puntiamo al pizzo. Procediamo diritti, passando al piede del massiccio versante meridionale del pizzo Ligoncio. Procediamo verso est-sud-est fra lastroni e blocchi, seguendo sempre con attenzione ometti e segnavia rosso-bianco-rossi. Teniamo conto che il passo non è posto sulla rima depressione che vediamo nella costiera dopo il pizzo Ligoncio, ma su quella successiva, visivamente individuabile per un marcato intaglio a forma di U inclinata verso sinistra. Il passo non è per in corrispondenza dell'intaglio, ma della depressione immediatamente dopo.
Il monte Disgrazia ed i Corni Bruciati visti dal passo della Vedretta meridionale
Ci portiamo dunque ai piedi dell'intaglio della costiera che sale al passo della Vedretta Meridionale ed alcune corde fisse agevolano il passaggio sui primi roccioni lisci e fra i successivi grandi blocchi. La salita avviene con un traverso verso sinistra.
Il passo della Vedretta Meridionale, l'orso, la
marmotta, l'usignolo ed il monte Disgrazia sul fondo
Con tutta l'attenzione del caso ci portiamo così ai 2840 metri del passo della Vedretta Meridionale (o passo meridionale della Vedretta), una stretta porta fra due roccioni che, visti dal versante della Val dei Ratti, sembrano il muso di un orso e quello di una marmotta posti quasi naso a naso, sotto lo sguardo attento di un usignolo che si protende sopra la testa della marmotta. Un effetto curioso, con il monte Disgrazia a far da lontano e forse distratto spettatore. Più o meno i corrispondenza dell'orecchio dell'orso troviamo anche una targa del sentiero Dario di Paolo. La finestra che si apre ci mostra subito, sul lato di Val Masino, il monte Disgrazia e le cime della testata della Val Porcellizzo.
Il gruppo del Masino visto dal
passo della Vedretta meridionale (clicca qui per
ingrandire)
Inizia ora la parte più delicata della traversata, perché il sentiero Dario di Paolo scende lungo un canalino occupato da grandi blocchi, fra i quali ci si deve destreggiare con attenzione (sconsigliabilissimo il transito con rocce bagnate). Ai piedi del canalino si stende un ampio nevaio, piuttosto ripido ed insidioso con neve dura o gelata (in questo caso si impongono i ramponi).
La discesa verso il rifugio Omio dal primo nevaio
Scendendo a zig-zag ci portiamo al limite inferiore, verso sinistra, e, seguendo i segnavia, scendiamo fra roccette un primo gradino di soglia, che ci porta ad un ripiano occupato da blocchi e nevaietti. Procediamo diritti, verso nord-est, fino al suo limite, e di nuovo cerchiamo, aiutati dai segnavia, il passaggio più agevole che ci permette di superare un secondo gradino di soglia, scendendo ad un nuovo ripiano.
Apri qui una fotomappa della
Valle dell'Oro
Abbiamo ormai di fronte gli ampi pascoli dell'alta Val Ligoncio e dell'Oro, e vediamo la meta, il rifugio Omio. Una discesa fra strisce di pascolo e lastroni ci permette di traversare in quella direzione, passando a ridosso di lisce pareti che precedono il fianco delle pareti della testata della valle. E' pra ben visibile il sentierino che taglia il versante erboso e cala diritto sul rifugio, intercettando, poco prima di raggungerlo, un sentiero che scende da sinistra (il Sentiero Dario di Paolo nord).
Ultimo tratto della discesa al rifugio Omio
Pochissimi minuti ancora, e siamo al rifugio Omio (m. 2100).
DA POIRA A FRASNEDO; DA FRASNEDO A CODERA
Punti di partenza ed arrivo
|
Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Poira di Civo-Pre Sücc-Alpe
Visogno-Bivacco Bottani Cornaggia-
|
3 h e 30 min
|
1250
|
E
|
Bivacco Bottani Cornaggia-Passo
di Visogno-Bivacco
Primalpia-Corveggia-Frasnedo-Tracciolino-Cii-Codera
|
10 h
|
380
|
EE
|
SINTESI.
Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno
(per chi proviene da Milano) prendiamo a
sinistra, superando un cavalcavia ed una rotonda
e raggiungendo il ponte sull'Adda, oltre il
quale prendiamo a destra e, dopo breve salita,
ci immettiamo nella strada provinciale che sale
a Dazio, procedendo a sinistra. Dopo un tornante
dx, un lungo traverso ci porta a Dazio.
Qui seguiamo la strada che volge a sinistra e
sale a Serone, dove, presso la
chiesa, prendiamo a destra (indicazioni per
Naguarido e Caspano), salendo su una strada che
passa per Naguarido e Chempo. Prestiamo
attenzione alla deviazione a sinistra per
Roncaglia e Poira, e la imbocchiamo.
Oltrepassata Roncaglia, siamo
alla conca di Poira e ci
portiamo al termine della strada, dove
parcheggiamo presso la chiesetta di S.
Margherita (m. 1077). Ci incamminiamo tornando
sulla strada per pochi metri e prendendo a
destra (segnalazione del sentiero per i
Tre Cornini ed il bivacco Bottani Cornaggia),
seguendo una stradina che ci porta nella pineta,
dove diventa largo sentiero che sale per un buon
tratto diritto, per poi svoltare a destra ed
inanellare una lunga serie di tornantini verso
nord-est. Intercettata una pista tagliafuoco,
riprende sul lato opposto, proponendo nuovi
tornanti, fino al punto segnalato in cui volge a
sinistra ed effettua un traverso verso
ovest-sud-ovest, al termine del quale volge a
destra e si porta al limite sud-occidentale dei
prati del Pra' Sücc' (m.
1647). Il sentiero riprende alle spalle della
baita più vicina e sale alle baite della parte
alta dei prati. Qui, ignorata una deviazione a
sinistra, proseguiamo (segnalazione) sul
sentiero dei Tre Cornini, salendo verso destra
(nord). Superato un piccolo corso d'acqua, il
sentiero porta ad un ripiano-radura, oltre il
quale sale ad un'ampia conca di sfasciumi, che
viene tagliata verso sinistra. Con diversi
tornantini saliamo sul dorso di un dosso che ci
introduce all'alpe Visogno (m.
2003). Passiamo a sinistra del baitone dell'alpe
e tagliamo l'ampio pianoro, scovando sul lato
opposto la ripartenza del sentiero che sale
verso sinistra il ripido versante, portandoci ad
un bivio: mentre il ramo di destra si porta al
crinale dei Tre Cornini, quello di destra
prosegue salendo al bivacco Bottani-Cornaggia.
Prendiamo dunque a destra e, dopo pochi
tornanti, siamo ai piedi del bivacco
Bottani-Cornaggia (m. 2327). Saliamo dal rifugio verso nord
(segnavia), fino al vicino passo di
Visogno (m. 2522), che si affaccia
su un vallone laterale della Val dei Ratti.
Scendiamo verso nord, piegando gradualmente a
sinistra, fra grandi blocchi (attenzione ai
segnavia). Procedendo ad ovest usciamo dal
vallone e ci affacciamo all'ampio anfiteatro
dell'alpe Primalpia. Al rudere di baita di quota
2007 pieghiamo a destra (nord) e scendiamo fra
facili pascoli al già ben visibile bivacco
Primalpia (m. 1980). Da qui
proseguiamo nella discesa ignorando le
indicazioni del sentiero Walter Bonatti e
prendendo a sud-ovest. Seguendo i segnavia
raggiungiamo il limite dell'alpe e scendiamo
nella pecceta verso ovest. Attraversato un
torrentello, ci portiamo al fondovalle della Val
dei Ratti. Un ponte ci porta al versante opposto
(settentrionale) della valle, dove intercettiamo
il sentiero per il rifugio Volta. Seguendolo
verso sinistra, scendiamo ai prati di Tabiate
(m. 1253) e Corveggia. Qui
ignoriamo la traccia che scende verso sinistra e
stiamo a destra, proseguendo nella discesa che
ci porta a Frasnedo (m. 1287),
dove troviamo l'omonimo rifugio. Proseguiamo
nella discesa sul sentiero che porta a Varceia
e, a quota 900, intercettiamo il Tracciolino.
Lo seguiamo verso destra ed iniziamo la lunga
traversata in piano sul tracciato della ferrovia
a scartamento ridotto. Il Tracciolino passa a
monte di San Giorgio, poi supera il solco del
vallone di Revelaso. Ignorate le deviazioni per
Cola (destra) e San Giorgio (sinistra),
superiamo anche il solco della Val Grande e
prestiamo attenzione a sinistra, lasciando il
Tracciolino per seguire il sentierino che scende
a Cii ed al ponte
sulla bassa Val Ladrogno. Procedendo
diritti ci portiamo ad un secondo ponte,
sul torrente Codera e, dopo breve
salita, siamo alle baite di Codera
(m. 825).
|
Apri qui una fotomappa degli alti bacini di Visogno e Toate
Questa presentazione vuol
essere un contributo che arricchisce quanto già riportato
nel felice volumetto “Sui Sentieri della Guerra Partigiana
in Valsassina – Il percorso della 55° Brigata F.lli
Rosselli”, recentemente edito a cura di G. Fontana, E.
Pirovano e M. Ripamonti, per iniziativa dell’A.N.P.I. di
Lecco. Vi si racconta l’epopea (cui abbiamo fatto più volte
cenno sopra) del ripiegamento della brigata, nel novembre
1944, per sfuggire al rastrellamento nazi-fascista, dalla
Valsassina alla Val Bregaglia (Svizzera), passando per la Val Gerola, la Costiera dei
Cech, la Valle dei Ratti e la Val Codera.
Il volumetto non si limita a raccontare vicende e
vicissitudini della travagliata marcia, ma propone anche
un’escursione in sei giorni che ne ricalca le orme, da
Introbio a Bondo. La seconda tappa ipotizza una traversata
da Poira di Civo (Costiera
dei Cech) al bivacco Primalpia,
nel cuore della Valle di Ratti, passando per il passo di
Malvedello, un’esile striscia di pascolo che interrompe il
frastagliano crinale roccioso sulla verticale del bivacco
Bottani-Cornaggia. Un passaggio piuttosto difficile,
forse effettivamente praticato da alcuni elementi della
brigata. Qui si propone un’escursione in due giorni che
prevede due direttrici alternative, l’una (quella bassa per
il passo del Culmine o forse per quello della Piana)
sicuramente seguita dalla maggior parte dei partigiani,
l’altra (quella alta, per il passo di Visogno) probabilmente
utilizzata da elementi che scelsero il passaggio più diretto
e sicuro alla Valle dei Ratti. In entrambi i casi, dobbiamo
dedicare la prima giornata a portarci in quota, ricalcando,
comunque, le orme della 55sima che, valicato il fiume Adda
in punti diversi, si ricompone a Poira di Civo e prosegue
compatta alla volta dell’alpe Visogno.
È bene premettere, al racconto dell’escursione, una
sintetica scheda storica. Nell’ottobre del
1944 le forze nazifasciste organizzano un rastrellamento in
grande stile che interessa la Valsassina. Gli elementi della
brigata partigiana 55sima Rosselli, per sfuggire
all’accerchiamento, decidono di ripiegare in Svizzera,
lasciando solo alcune unità sul territorio della valle
orobica, nell’intento di non perdere il contatto con la
popolazione locale. Il grosso della brigata sale, quindi, in
Val Troggia e, valicata la bocchetta di Trona ("buchéta de
Truna"), si affaccia sulla Val Gerola, di cui attraversa
l’intero fianco occidentale, passando per gli alpeggi di
alta quota, al fine di evitare il presidio di SS italiane
che staziona a Pedesina.
Clicca qui per aprire una panoramica dai Tre Cornini
Dalla Corte scende, quindi sul fondovalle, varcando, in punti diversi, con il favore delle tenebre, il fiume Adda. È il 3 novembre. Gran parte degli elementi, risalito il versante orientale della Costiera dei Cech, si ritrovano alla piana di Poira, sopra Civo, già sede, per alcuni mesi, del comando della 40sima Matteotti. Il racconto dei testimoni diventa, da qui, meno chiaro. Vengono scelte diverse direttrici per passare in Val dei Ratti. La direttrice bassa, più agevole ma pericolosa, comporta la traversata verso il limite occidentale della Costiera (con tappa all’Oratorio dei Sette Fratelli, allora ricovero provvisorio di elementi partigiani, e probabilmente anche alla Baracca dei Partigiani sopra i prati della Brusada, altro ricovero d’emergenza) ed il passaggio in Val dei Ratti per l’agevole passo del Culmine o per il più impegnativo ma sicuro passo della Piana (il primo ad ovest, il secondo ad est del monte Brusada).
Apri qui una panoramica dei sentieri per i Tre Cornini, la Croce GAM ed il bivacco Bottani-Cornaggia
La direttrice più alta, invece, passa per l’alpe Visogno, a
monte di Poira e per un passo a nord dell’alpe: forse il
malagevole passo di Malvedello (m. 2630), appena ad est
della cima omonima, esigua striscia erbosa sul crinale,
assai insidiosa con neve o ghiaccio; forse anche il passo di
Visogno, ad est del primo, più agevole ed ampia depressione
sul medesimo crinale. Entrambe le direttrici portano fuori dalla Costiera
dei Cech e si affacciano alle montagne della Valchiavenna,
congiungendosi all’alpe Codogno nella valle omonima, prima
laterale importante di sud-est della Val dei Ratti.
Scese all’alpe di Lavazzo, a valle dell’alpe Codogno, le
colonne procedono, anche qui in ordine sparso, verso
Frasnedo, centro principale della Val dei Ratti, sul
versante opposto rispetto alla Val Codogno. La Val dei
Ratti, una delle più belle e meno conosciute della Val
Chiavenna, non offre alcun accesso diretto al territorio
svizzero: si deve, quindi, di passare in Val Codera. La
traversata Val dei Ratti-Val Codera avviene sfruttando il Tracciolino,
12 km di ferrovia a scartamento ridotto, in gran parte
intagliata nella viva roccia di un versante montuoso orrido
e selvaggio, alla quota costante di 910 metri, per unire gli
sbarramenti idroelettrici di Moledana e Saline (a monte di
Codera). Si procede di notte, in condizioni meteorologiche
avverse: l’insidia del sentiero, esposto su versanti
dirupati, tradisce alcuni elementi, i cui corpi verranno
ritrovati nella primavera successiva. Fra il 28 ed il 29
novembre, infine, Codera, centro della valle omonima, è
raggiunta. Resta, però, l’ultima e più drammatica parte
della traversata, la salita alla bocchetta della Teggiola,
sulla testata della valle, e la discesa, ripida ed
insidiosissima, sull’opposto versante della Val Bregaglia,
che si conclude a Bondo, in Svizzera, nella giornata del
primo dicembre.
Apri qui una panoramica dei sentieri del comprensorio del Malvedello
Noi, però, ci premureremo di ripercorrere una parte della traversata in una stagione decisamente più clemente: in estate, forse, o anche nella prima parte dell’autunno, prima che nevichi.
Passo di Visogno
Possiamo salire a Poira utilizzando i mezzi pubblici da Morbegno, oppure, se disponiamo di automobili, lasciando la ss. 38, sulla sinistra, all’ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano), seguendo le indicazioni per la Costiera dei Cech. Raggiunto il ponte sul fiume Adda, prendiamo a destra e saliamo fino alla conca di Dazio. Continuando la salita (indicazioni per Caspano e Poira), deviamo a sinistra quando troviamo le indicazioni per Roncaglia e Poira. Seguendo la strada fino alla sua conclusione, possiamo parcheggiare nell’ampio piazzale che sta di fronte ala chiesette di Poira (m. 1077).
Apri qui una panoramica della discesa dal passo di Visogno verso il bivacco Primalpia
Qui inizia il cammino: seguiamo le indicazioni relative al Sentiero dei Tre Cornini, identificato dal numero 23. Il punto di partenza è indicato da due cartelli, sulla sinistra, della Comunità Montana Valtellina di Morbegno, che indicano il Pre Soccio (italianizzazione del Pre Sücc) ed il bivacco Bottani Cornaggia (attenzione a non imboccare, invece, la pista sulla destra Sentiero n. 23, per l'alpeggio dei Pesc, la Croce di Roncaglia e l'alta Val Toate). Iniziamo, così, a percorrere per un breve tratto una pista fra alcune case di villeggiatura, e troviamo, alla nostra sinistra, anche il vecchio cartello del Sentiero dei Tre Cornini, che dà il Pra’ Succ ad un’ora, il bivacco Bottani Cornaggia a 3 ore, la croce GAM ed il passo di Vesogno (o Visogno) a 4 ore. Poco più avanti alcuni cartelli della Comunità Montana Valtellina di Morbegno indicano il Pre Soccio, il bivacco Bottani Cornaggia, l’Oratorio dei Sette Fratelli ed i Tre Cornini. Nel primo tratto il sentiero, largo, come una mulattiera, procede quasi diritto, in direzione del monte, ma con pendenza mite.
Bivacco Primalpia
Poi, ad un cartello che ci ricorda come la pulizia del
sentiero sia nelle nostre mani, piega a sinistra e, con
traccia più stretta, ma sempre molto bella e riposante (il
fondo è davvero buono), risale, con molti tornanti, il
versante boscoso sul lato occidentale del vallone che si
apre, più in basso, fra Poira e Roncaglia di Sopra. I
segnavia rosso-bianco-rossi sono pochi, ma non c’è pericolo
di perdersi. A quota 1450 circa il sentiero è interrotto,
per pochi metri, dal una nuova pista tagliafuoco. Scavalcata
la pista, riprendiamo la salita, sempre all’ombra di un bel
bosco, fra betulle e pini. Ignorata una deviazione a destra
(cartello “Sentiero per acqua”), prendiamo a sinistra ed
affrontiamo un lungo tratto all’aperto, in direzione ovest.
Proseguiamo sul nostro sentiero fino ad una svolta a destra:
due rapidi tornantini ci portano sul limite inferiore di
sinistra (ovest) dell’alpe Pre Sücc (o Pre
Soccio, cioè Prato Asciutto, m. 1650). Senza attraversare la
valletta che precede le baite più basse, saliamo, su traccia di
sentiero, diritti verso le baite più alte, sulla sinistra
del prati. Nella parte alta dei prati troviamo la traccia di
sentiero, che prende a destra, e poi svolta a sinistra,
portandoci ad un vecchio cartello della Comunità Montana
Valtellina di Morbegno che dà i Tre Cornini ad un’ora di
cammino ed il bivacco Bottani Cornaggia ad un’ora e tre
quarti. Superata, quindi, l’ultima e più alta baita (m.
1727), incontriamo, ad un bivio, i nuovi cartelli della
Comunità Montana e prendiamo a destra (indicazione per i Tre
Cornini ed il bivacco Bottani Cornaggia). Il sentiero
prosegue, dunque, verso nord-nord-est, superando anche un
modesto corso d’acqua. Lo scenario è, qui, piuttosto mesto:
attraversiamo una sorta di cimitero di alberi, quel che
resta dopo un incendio che ha sfregiato una pineta che
doveva essere davvero molto bella. Oltrepassato il corso
d’acqua, prestiamo un po’ di attenzione, perché il sentiero
principale prosegue sulla nostra sinistra, mentre a destra è
raggiunto da una traccia secondaria (che rischiamo di
scambiare per quella principale). Dopo qualche tornante fra
scheletri d’albero ed alberi ancora vivi e… vegeti,
approdiamo, infine, ad una splendida radura, a 1850 metri di
quota. Proseguiamo, verso destra (indicazione su un masso),
entrando in una piccola selva che ci permette di aggirare,
da destra, appunto, una faticosa fascia di massi. Il
sentiero piega, quindi, a sinistra, esce dalla selva e
taglia in diagonale, verso sinistra, massi e pascoli. Ci troviamo nel cuore di un ampio vallone che scende dal ramo
orientale dell’alpe Visogno. Il sentiero, con qualche
tornante, guadagna quota risalendo il fianco sinistro di
questo vallone; seguendolo, tagliamo un ampio dosso, finché,
improvviso ed emozionante, si apre di fronte ai nostri
occhio lo splendido scenario dell’alpe Visogno, delimitato,
a sinistra, dal lungo crinale sul cui limite inferiore sono
riconoscibili i suoi guardiani di granito, i Tre Cornini.
Alta Costiera dei Cech occidentale
In alto, a nord, quasi
sulla verticale del baitone dell’alpe, la cima di
Malvedello, elevazione poco pronunciata sulla severa e
gotica costiera di granito che separa la Costiera dei Cech
dalla Valle dei Ratti. Guardando, invece, a destra, cioè a
nord-est, distinguiamo, su una elevazione della costiera che
separa l’alpe Visogno dalla Val Toate, la
Croce di Roncaglia, o Ledino (m. 2093). Se, infine,
guardiamo alle nostre spalle, a sud, ottimo è lo scenario
orobico, che propone, in primo piano, le Valli del Bitto di
Albaredo e di Gerola.
L'alpe Visogno è costituita da un ampio pianoro, sorvegliato
da due baite, a quota 2003. Prima di raggiungere queste
baite, incontriamo un cartello che dà il bivacco
Bottani-Cornaggia ad un’ora ed il rifugio Volta a 5 ore. Nei
suoi pressi, una targa dell’ A.N.P.I. di Lecco ricorda che
la 55sima Rosselli è passata di qui. E qui si è divisa: il
gruppo principale ha optato per una traversata verso ovest,
ma diversi elementi hanno preferito un passaggio diretto
sulla verticale dell’alpe. Vedremo, nella seconda giornata,
i due itinerari alternativi. Per ora vediamo di raggiungere
il punto di appoggio per il pernottamento, il bivacco
Bottani-Cornaggia, del G.A.M. di
Morbegno, posto a 2327 metri di quota e dedicato alla
memoria degli alpinisti Nino Bottani e Siro Cornaggia. Il
bivacco dovrebbe essere sempre aperto, ma, per sicurezza, è
bene assumere informazioni ed eventualmente chiedere le
chiavi ad Oscar Scheffer del G.A.M. di Morbegno (tel.: 0342
611022), oppure agli alberghi Scaloni o Ville di Poira, a
Poira di Civo, o, infine, ad Anselmo Tarca, all’alpe Visogno
o al Pre’ Soccio. La salita dall’alpe al bivacco non è
difficile. Attraversiamo, dunque, la piana, in diagonale,
verso il limite sinistro, ritrovando, infine, il sentiero
che, inizialmente, sale verso sinistra, poi piega a destra
(ignoriamo la traccia che punta a sinistra, in direzione del
cinale che scende ai Tre Cornini), effettuando una lunga
diagonale che ci porta allo speroncino di roccia su cui è
posto il bivacco Bottani-Cornaggia. Qui terminano
le fatiche della prima giornata, che richiede,
complessivamente, circa 3 ore e mezza di cammino, necessarie
per superare un dislivello approssimativo di 1250 metri, in
uno scenario di grande bellezza e suggestione, anche alcuni
rovinosi incendi nel secondo dopoguerra ne hanno intaccato
le splendide pinete.
Ecco il racconto della seconda giornata,
con le due direttrici possibili. Quella alta,
innanzitutto, più agevole (nella stagione estiva, ma non ad
autunno inoltrato!). Sul crinale a monte dell’alpe Visogno,
verso destra, si trova un’ampia ed invitante depressione, il
passo di Visogno. Difficile pensare che non sia stata notata
dai partigiani che optarono per la traversata alta, più
difficile ma anche più sicura. Oggi il percorso è segnalato
da segnavia rosso-bianco-rossi e bianco-rossi e parte nei
pressi del bivacco, alle sue spalle. Su un grande masso,
salendo, scorgiamo l'indicazione dei rifugi Volta ed Omio,
che si giustifica tenendo presente che dal passo di
Visogno si scende in alta Valle dei Ratti e
quindi ci si può portare al rifugio Volta, dal quale, poi,
la traversata può proseguire fino al rifugio
Omio (per la via più diretta del passo
della Vedretta o per quella indiretta del passo di
Primalpia e del passo del Calvo). L’itinerario di salita al
passo punta a nord-est, districandosi fra gli ultimi magri
pascoli ed una fascia di massi che occupa il piede della
depressione del passo (depressione che non è visibile dal
bivacco, ma che cominciamo a vedere salendo).
Panorama dai prati della Brusada
Raggiunto, senza difficoltà, il passo (m. 2574), si apre lo stupendo scenario della testata della Valle dei Ratti, che propone, da sinistra, l’affilato profilo del sasso Manduino (m. 2888), la cima quotata m. 2846, la punta Magnaghi (m. 2871), le cime di Gaiazzo (m. 2920 e 2895), il pizzo Ligoncio, la maggiore elevazione di questa testata, con i suoi 3038 metri, i pizzi delle Vedretta (m. 2925) e Ratti (m. 2907) ed, infine, il monte Spluga o cima del Calvo (m. 2967), che, da qui, sembra la cima più alta. Valicato il passo, entriamo in terra di Valchiavenna ed iniziamo la discesa, sempre guidati dai segnavia, ai più alti pascoli dell'alpe Primalpia. La prima parte della discesa, con direttrice ovest-nord-ovest, avviene in un ampio vallone, fra sfasciumi; poi, raggiunta la parte alta dei pascoli dell’alpe, si piega leggermente a destra (nord-nord-ovest), descrivendo una diagonale che porta al ben visibile (colorato in bianco-rosso) e simpatico bivacco Primalpia (m. 1980), sempre aperto: volendo, possiamo pernottare qui.
Passo della Piana
Se, invece, vogliamo
continuare nella traversata, dobbiamo proseguire nella
discesa, dal bivacco, prendendo però, ora, a sinistra.
Guidati dai segnavia, troviamo il marcato sentiero che
scende, in direzione ovest, al limite del bosco (nel primo
tratto si tratta di una debole traccia, poi si fa più
marcato) e, dopo un tornante a destra, porta all’alpe
di Primalpia bassa (m. 1678), Riprende, quindi,
sul limite inferiore dei prati di quest’alpe, rientrando nel
bosco e scendendo, con alcuni tornanti, al fondovalle (m.
1430), dove, sul limite inferiore di un ripido prato con
qualche baita, troviamo il ponticello che scavalca il
torrente della Val dei Ratti. Una breve risalita sul
versante opposto ci porta ad intercettare il sentiero che da
Frasnedo sale al rifugio Volta. Seguendolo verso sinistra
passiamo per Tabiate (m. 1379) e
raggiungiamo un trivio, dove è posta anche una targa
dell’ANPI che ricorda la traversata della 55sima Rosselli.
Ci raggiunge qui, da sinistra,
il sentiero A1, che scende da Lavazzo e dalla Nave (lo
descriveremo, sotto, raccontando la variante bassa della
traversata). Noi proseguiamo seguendo le indicazioni per
Frasnedo e raggiungendo il maggengo di Corveggia (m.
1221), che propone un ottimo colpo d’occhio sull’alto Lario.
Seguiamo, quindi, la traccia di destra e, attraversato un
torrentello, incontriamo un tratturo che, con un ultimo
tratto in salita, ci porta al limite orientale del grazioso
paese di Frasnedo (m. 1287), che si anima,
d’estate, per la presenza di villeggianti che godono della
pace concessa dall’assenza di carrozzabili che salgano da
Verceia (al paese si sale solo con un’ora e mezzo-due di
cammino). È qui il cuore della Valle dei Ratti, che deve il
suo nome non ai noti roditori, ma alla meno nota famiglia
della nobiltà comasca che ne possedeva, un tempo, gran parte
degli alpeggi.
Imboccata, quindi, la mulattiera per Verceia, proseguiamo la
discesa passando appena a valle del nucleo di baite di Càsten,
simpaticamente definita, su un cartello, frazione d’Europa
(qui l’ANPI ha collocato anche una targa che ricorda la
traversata della 55sima Rosselli), ed intercettando i binari
del Tracciolino, a quota 910 metri.
Qui giunge anche la direttrice bassa, che
ora illustriamo, partendo di nuovo dall'alpe Visogno.
La maggior parte degli elementi della 55sima optò per una
traversata che dai Tre Cornini (tre grandi
conglomerati di massi erratici che spiccano sul crinale
occidentale dell’alpe Visogno, a m. 2021) conduce
all’Oratorio dei Sette Fratelli (base partigiana) e prosegue
in direzione dei passi più occidentali per la Valle dei
Ratti (il passo del Culmine, forse, il più agevole, ma forse
anche quello più impegnativo ma sicuro della Piana).
Codogno
Se abbiamo una buona esperienza escursionistica, possiamo ripercorrere la traversata, che avviene in buona parte su traccia di sentiero discontinua e poco marcata. Siccome abbiamo pernottato al bivacco, non ci conviene tornare all’alpe Visogno, ma scendere solo per un tratto, verso ovest, ripercorrendo i passi della precedente giornata, fino ad un bivio, dove lasciamo il sentiero che piega a sinistra e prosegue verso l’alpe, per imboccare quello di destra, che sale al crinale occidentale, a monte dei Tre Cornini. Qui, a 2180 metri, troviamo un cartello che indica la direzione per la Croce G.A.M. (posta sulla quota 2583, con una visuale splendida sulla Valle dei Ratti) e quella per l’Oratorio dei Sette Fratelli. Seguendo questa seconda direzione nord-ovest), imbocchiamo un sentiero incerto, che si snoda nella parte alta dei brulli pascoli ai piedi del crinale Cech-Ratti. Il sentiero prosegue, con qualche saliscendi, tenendosi tendenzialmente ad una quota di poco inferiore ai 2200 metri e superando diversi dossi erbosi (attenzione ad alcuni passaggi un po’ esposti), fino a raggiungere il dosso più pronunciato, dove scende fino alla solitaria e ben visibile cappella settecentesca denominata Oratorio dei Sette Fratelli o Oratorio di S. Eufemia (m. 2010).
Media Val dei Ratti
Era questa, nel 1944, un
punto di appoggio dei partigiani della zona. Un secondo
punto di appoggio venne costruito, nel luglio del 1944, dopo
la battaglia di Buglio, più ad ovest, ad una quota
leggermente inferiore (m. 1981): si tratta della Baracca dei
Partigiani, a monte dei prati della Brusada, quasi alla
stessa altezza dell’Oratorio dei Sette Fratelli, ma più ad
ovest, nella parte alta del lungo dosso gemello rispetto a
quello dell’Oratorio.
Proprio in direzione della baracca prosegue la traversata:
dobbiamo scendere per un tratto sul largo dosso
immediatamente ad ovest dell’Oratorio, passando a destra di
una pineta scampata ai rovinosi incendi. Raggiunto, ad una
quota di circa 1900 metri, una sorta di corridoio, alla nostra
destra, dove la pendenza si fa più dolce, prendiamo a
destra, lasciando la traccia di sentiero che continua a
scendere. Effettuiamo, quindi, una traversata mantenendo più
o meno la stessa quota, fino a raggiungere il solco
dell’alta val Maronara. Raggiunto il fianco opposto della
valle, scendiamo gradualmente, su traccia di sentiero che si
intuisce più che vedere, puntando al limite superiore di una
pineta che occupa il crinale del dosso gemello rispetto a
quello dell’Oratorio dei Sette Fratelli.
Ora, se abbiamo tempo ed energie per un fuori-programma di
circa 40 minuti, invece di scendere nella pineta,
riprendiamo a salire sul filo del dosso, riguadagnando quota
2000 e piegando poi a sinistra: dopo una breve traversata in
piano, raggiungiamo il rudere della citata baracca,
appollaiata su una selle erbosa in posizione nascosta e
strategica.
Ma torniamo alla pineta: qui troviamo un sentiero che scende
fino ad una baita ad est dei prati Brusada, prendendo poi a
destra, fino ad intercettare il sentiero per questo alpeggio
(qui troviamo un cartello che segnala la Barac(h)ia di
Partigian e la Cunvula – cioè la zona dell’Oratorio dei
Sette Fratelli). Prendiamo, ora, a destra, fino a
raggiungere la parte alta dei prati della Brusada
(m. 1584), occupati normalmente dai partigiani della zona
(che si ritiravano nella baracca più alta o nell’Oratorio
dei Sette Fratelli quando giungeva notizia di un possibile
rastrellamento). Probabilmente la 55sima giunse
all’alpeggio, e proseguì verso ovest.
Senza scendere, portiamoci sul lato opposto dei prati, dove,
presso una cappelletta, troviamo la ripartenza del sentiero,
che si dirige all’alpe Bassetta, dove
si trova il già citato passo del Culmine. Seguendolo, ci
troviamo, in breve, ad attraversare un ampio ed evidente
canalone: guardando in alto, vediamo che esso raggiunge il
crinale, in un punto segnato da una facile sella erbosa. È,
quello, il passo della Piana (m. 2052),
che forse fu utilizzato per la traversata, nel timore che il
passo principale fosse già presidiato da forze nazifasciste
(che, di fatto, vi salirono, ma troppo tardi, dai Prati
dell’O, sopra Cino).
Il passo della Piana è raggiunto, da est, da un sentierino
secondario che rimane in quota: lo troviamo sul medesimo
crinale del dosso prima citato, risalendo il quale possiamo
giungere alla Baracca dei Partigiani: alla prima pianetta a
monte del limite superiore della pineta, troviamo la traccia
del sentiero, che prende a sinistra. Possiamo anche salire
al passo della Piana, con un po’ di fatica ma senza reali
difficoltà, risalendo, a vista (non troviamo segnavia), per
circa 300 metri di dislivello, il canalone erboso, dal
sentiero Brusada-Bassetta fino al crinale.
Dal passo ci affacciamo sulla Val Codogno, prima ampia
laterale sud-orientale della Valle dei Ratti. Scendiamo,
poi, sempre a vista e con un po’ di cautela (non troviamo
segnavia), fra macereti, verso nord-nord-ovest, fino alla
visibile baita dell’alpe Codogno (m. 1878).
Ad una seconda baita, quotata 1804 metri, e distante circa
300 metri dalla precedente, termina, invece, la mulattiera
che proviene dal passo del Culmine
e taglia il fianco occidentale e settentrionale del monte
Brusada.
Vediamo, quindi, come sfruttare il passo del Culmine. In
questo caso dobbiamo percorrere interamente il sentiero che
dai prati della Brusada procede verso
l’alpe Bassetta. Raggiunto il canalone sopra menzionato, non
lasciamo, quindi, il sentiero, ma continuiamo a seguirlo e,
dopo un tratto nel bosco, usciamo all’aperto, effettuando
una traversata che taglia il versante meridionale del monte
Brusada. Con qualche saliscendi, su un sentiero stretto ma
sempre ben visibile, ci portiamo, così, al limite orientale
della splendida alpe Bassetta,
estremamente panoramica. Il sentiero termina ad una sorta di
pianetta delimitata, a valle, da un parapetto in filo
spinato, per poi riprendere in direzione del baitone
dell’alpe.
Invece di seguirlo, alla pianetta prendiamo a destra,
salendo al crinale, dove, con un po’ di attenzione, in una
radura, scorgiamo i segnavia bianco-rossi e la scritta
“Culmine” che indicano il passo del Culmine
(non ci si aspetti una vera e propria sella: si tratta del
punto del crinale dal quale, a quota 1818 metri, parte la
mulattiera per la Val Codogno, senza alcuna visibile
depressione). Imbocchiamo la mulattiera che, prima nel
bosco, poi all’aperto taglia il fianco occidentale e
settentrionale del monte Brusada e porta alle baite dell’alpe
Codogno.
Per una via o per l’altra, qui giunsero i partigiani della
55sima che scelsero la traversata bassa. Vediamo come
scendere, ora, a Frasnedo. Dalla baita quotata
1878 un sentiero, segnalato da segnavia bianco-rossi,
comincia, su terreno aperto, la discesa in direzione
sud-ovest, guadagnando il filo del dosso posto in mezzo a
due valloni che scendono dall’alpe. Il sentiero piega quindi
a destra, assumendo l’andamento nord-ovest e, con diverse
serpentine, scende sul filo del dosso, finché, nella sua
parte bassa, piega di nuovo a destra, attraversa il
torrentello di uno dei valloni laterali e scende tranquillo
ai prati dell’alpe Lavazzo (Lavazz, m.
1560), dove troviamo diverse baite, fra le quali una spicca
per la moderna ristrutturazione. Dalla conca dell’alpe
possiamo godere di un ottimo colpo d’occhio sull’alto Lario
e sul versante occidentale della bassa Valchiavenna.
Il sentiero, ben marcato e sempre segnalato da segnavia
bianco-rossi, riprende, verso destra, dalle baite più basse
di destra dell’alpe, con andamento pianeggiante,
districandosi fra i massi di un antico corpo franoso.
Ignorata una deviazione che scende alla nostra sinistra,
procediamo in direzione nord-nord-est, all’ombra di un
fresco bosco, cominciando la discesa che ci porta a sbucare
sull’angolo di sud-est dei prati dell’alpe Nave
(m. 1454), appena a monte di una grande baita (riconoscibile
per la curiosa scalinata in sasso posta perpendicolarmente
alla facciata) e di una fontana in cemento.
Ottimo è il colpo d’occhio che l’alpe ci offre sul versante
opposto della valle, dove, a mezza costa, vediamo bene
Frasnedo. Sul versante a monte di Frasnedo
distinguiamo, da sinistra, la cima di Provinaccio (m. 1636),
il monte di Frasnedo (m. 1993) e la massiccia cima del Cavrè
(m. 2601). L’occhio è colpito, però, dalla superba mole del
Sasso Manduino (m. 2888), che si erge alle sue spalle,
appena a sinistra. A destra della cima del Cavré uno
spaccato dell’alta Val dei Ratti ci mostra, invece, il monte
Spluga o cima del Calvo (sciöma del munt Splügam. 2967, la
maggiore elevazione vista da qui), alla cui destra si
distingue bene la depressione sulla quale sono posti la
bocchetta di Spluga ed il passo di Primalpia, per i quali si
accede in valle
di Spluga (laterale della Val
Masino, sopra Cevo).
Dobbiamo, ora operare una scelta: ricalcare integralmente le
orme della brigata, passando per Frasnedo, oppure optare per
una versione più breve (diciamo di un’ora e mezza-due) della
traversata, che scende direttamente alla diga di Moledana ed
al Tracciolino, tagliando fuori il simpatico paese.
Nel primo caso continuiamo a seguire i segnavia
bianco-rossi, rimanendo sul sentiero che taglia l’alpe in
direzione nord-est e poi comincia a scendere in direzione
del fondovalle, dove troviamo il ponticello quotato 1259
metri. Una breve salita sul versante opposto della valle ci
porta ad un nucleo di baite ed al sentiero che da Frasnedo
conduce all’alta Valle dei Ratti (rifugio Volta).
Nel punto in cui intercettiamo il sentiero è segnalato il
trivio su un masso (i cartelli indicatori della Comunità
Montana della Valchiavenna ci dicono che abbiamo percorso il
sentiero A1); qui si trova anche una targa dell’ANPI che
ricorda la traversata della 55sima Rosselli. Prendendo a
sinistra, scendiamo a Corveggia (m. 1221)
e, seguendo le indicazioni (destra), proseguiamo verso Frasnedo,
cui giungiamo dopo aver attraversato un torrentello ed aver
effettuato un’ultima salita lungo un comodo tratturo.
Nel secondo caso (cioè se optiamo per una versione più breve
– si fa per dire – dell’escursione) ci conviene procedere
così. All’alpe Nave, lasciamo il sentiero
segnalato e, poco oltre il baitone e la fontana, puntiamo
alla prima baita isolata a sulla sinistra e da questa
scendiamo, a vista, lungo il ripido prato, alle baite più
basse di sinistra (riconoscibili anche per un recinto in
legno). Appena a valle di queste baite, si riconosce una
sorta di corridoio erboso, che procede verso sinistra
(ovest) sul limite rado del bosco, facendosi, più avanti,
sentiero ben visibile (anche se non segnalato, o meglio,
segnalato solo da sporadici bolli rossi e frecce).
Seguendolo, effettuiamo una traversata verso sinistra,
giungendo al punto di svolta a destra (segnalato da frecce
su un masso) in corrispondenza di una vallecola e di un
casello dell’acqua sul suo lato opposto). Proseguiamo quindi
nella discesa, su sentiero ben visibile, finché, dopo
un’ultima svolta a sinistra, giungiamo in vista del limite
superiore di una fascia di prati. Poco prima di accedere ai
prati, prestiamo attenzione ad un sentiero che si stacca
sulla destra ed imbocchiamolo: rientriamo, così, nel bosco
e, dopo una serie di tornanti, raggiungiamo la parte alta
dei prati di Moledana (m. 1042).
Da qui è ancora possibile, procedendo a destra, salire a
Frasnedo; noi, però, prendiamo a sinistra, seguendo un
sentiero marcato, fino ad un trivio: qui, mentre il sentiero
principale prosegue la sua discesa fino a Verceia ed un ramo
di sinistra inizia una difficile traversata al maggengo di
Foppaccia, sopra Verceia, noi prendiamo a destra,
portandoci, dopo una brevissima discesa, al camminamento
della diga di Moledana (costruita sulla
paurosa forra posta sul limite della parte inferiore della
Valle dei Ratti).
Oltre il camminamento, troviamo
l’inizio del Tracciolino: seguendolo.
Intercettiamo, dopo un buon tratto, la mulattiera che da
Frasnedo scende a Verceia: qui le due direttrici si
congiungono, e da qui inizia l’ultima e più
facile parte della traversata.
Si tratta, infatti, di seguire per circa 8 km il
Tracciolino, ferrovia a scartamento ridotto costruita, negli
anni Trenta, con arditi intagli nella viva roccia, per
congiungere i bacini di Moledana e di Saline, sopra Codera.
La percorriamo agevolmente, perché interamente pianeggiante,
ma dobbiamo prestare un po’ di attenzione perché viene
ancora utilizzata.
Non fu affato agevole, invece, la traversata per i
partigiani della 55sima, cui si erano uniti elementi della
90sima Zampiero saliti da Verceia: la notte fra il 28 ed il
29 novembre dovettero infatti affrontarla in precarie
condizioni di visibilità, superando tratti esposti che
costarono la vita ad alcuni di loro. Oggi l’intero percorso
è in sicurezza: l’unica cautela da adottare è quella di
avere con sé una torcia, in quanto, dopo un primo tratto,
molto panoramico (ottimo il colpo d’occhio sull’alto Lario),
all’aperto si giunge ad un bivio, al quale si prende a
destra, imboccando una galleria lunga circa 300 metri. Ne
seguono altre, meno lunghe, che si dipanano nel cuore del
tormentato versante che precipita ad ovest della cima di
Provinaccio, una montagna selvaggia, incombente,
impressionante, talora semplicemente orrida. La traversata
è, per gli scenari che propone, un’esperienza che
difficilmente si dimentica. Ma, vale la pena di ricordarlo
di nuovo, se per noi oggi ha il sapore della suggestione,
nell’autunno inoltrato del 1944 assunse anche le tinte della
tragedia.
Apri qui una fotomappa del Tracciolino
Terminate le galleria, troviamo, sulla sinistra, il sentiero che si stacca dal Tracciolino per scendere a S. Giorgio di Cola (m. 748), incantevole paesino adagiato in un’amena conca a monte di Novate Mezzola, che ci regala una splendida chiesetta interamente costruita in granito, un singolare cimitero raccolto sotto un enorme masso in granito ed un antichissimo avello celtico. Una breve visita richiede un fuori programma di circa 40 minuti. Poi attraversiamo il selvaggio vallone di Revelaso ed incontriamo, sulla destra, la deviazione che sale al paesino di Cola.
Cii
Poco più avanti, superata anche la val Grande, dobbiamo lasciare il Tracciolino (interrotto per una frana nell’ultimo tratto) per scendere, seguendo le indicazioni di un cartello, lungo il sentiero che se ne stacca sulla sinistra, verso Cii (m. 851), un pugno di baite che si affaccia, tranquillo e silenzioso, sull’alto Lario. Proseguendo sul sentiero, superiamo un trivio (seguiamo le indicazioni per Codera) e raggiungiamo lo splendido ponte a schiena d’asino sul torrente Ladrogno. Poco oltre, ci attende un nuovo ponte, che scavalca il solco del torrente Codera (che urla rabbioso circa 40 metri più in basso).
Il Punt de la Val Mala
Un’ultima breve salita ci porta a Codera (m. 825), centro principale della valle omonima, abitato per
tutto l’anno, nonostante sia raggiungibile solo con un paio
d’ore di cammino dalla frazione di Mezzolpiano di Novate
Mezzola. Qui termina la lunga traversata: i
partigiani proseguirono risalendo l’intera valle, fino alla
bocchetta della Teggiola; noi scenderemo, invece, a Novate
sfruttando la splendida mulattiera (a meno che vogliamo
approfittare dei due punti di appoggio costituiti dai rifugi
Osteria Alpina e Risorgimento).
Due conti. La seconda giornata è davvero impegnativa, e
richiede, se si passa da Frasnedo, circa 9-10 ore di cammino
per entrambe le direttrici, anche se il dislivello in salita
non è eccessivo (380 metri circa per la direttrice alta, 580
per quella bassa – in questo caso, però, se non si sale a
Frasnedo, se ne calcolino 320 e si riduca il tempo di circa
un’ora e mezza).
Apri qui una panoramica del primo tratto del Tracciolino
L'ANELLO DELLA FORCELLA DI FRASNEDO
Punti di partenza ed arrivo
|
Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Verceia (parcheggio sopra
Vico)-Tracciolino-Vallone Revelaso-Forcella di
Frasnedo-Frasnedo-Verceia
|
6 h
|
1070
|
EE
|
Qui giunti
lasciamo il Tracciolino ed iniziamo a salire sul
sentiero che, tagliando il fianco meridionale (di
destra, per noi) dell’aspro vallone di
Revelaso ci porta alla forcella (o
forcola) di Frasnedo. Cominciamo a salire, in un
bosco di betulle, (segnavia bianco-rossi),
superando un valloncello e raggiungendo una prima
baita solitaria (località Alla Valle, m. 1051).
Procedendo in direzione est, il sentiero aggira
una formazione rocciosa (il tratto è attrezzato da
corde fisse ed allargato con dei tronchi), che
precede un secondo e più marcato vallone. I tratti
esposti della discesa nel vallone e della
successiva risalita sono anch’essi protetti da
corde fisse. Proseguiamo fino ad incontrare una
radura con due nuove baite, quasi nascoste nel
cuore del bosco (m. 1192). Attraversiamo, nella
successiva salita, una bella pineta, con diversi
tornanti, fino a raggiungere il limite inferiore
dell’ultimo e più aspro tratto, dove la pendenza
si fa più accentuata e la traccia più debole. Il
sentiero, ora, serpeggia fra l’erba. Cominciamo ad
intuire ed intravedere la meta, costituita dalla
sella posta sulla verticale della direttrice di
salita. L’ultimo tratto della salita, fra radi
larici, è anche il più faticoso, perché la
pendenza si fa davvero notevole. Ed alla fine
siamo alla sospirata forcella di Frasnedo
(m. 1662), dove troviamo il cartello giallo del
Sentiero Life. Nel primo tratto di discesa in
Vallle di Ratti effettuiamo un lungo traverso a
destra, restando poco al di sotto del crinale ed
attraversando un corpo franoso, poi entriamo in un
bel bosco, intervallato da amene radure. Il
sentiero comincia a scendere, rimanendo
approssimativamente sul crinale fra Valle dei
Ratti e Vallone di Revelaso, in direzione
sud-ovest. Poi, appena prima di una bella radura
panoramica, sul tronco di un grande faggio
troviamo una ben visibile freccia che segnala il
cambiamento di direzione, verso sinistra. Una
seconda segnalazione di deviazione si trova,
sempre in bella evidenza, su un masso. Inizia una
discesa più decisa, che termina alla parte alta di
Frasnedo. Due i sentieri praticabili e segnalati
dai segnavia bianco-rossi. Suggerisco quello che
sta più a destra, leggermente più in basso: lo si
trova scendendo per un tratto quasi in diagonale
verso sinistra (qui la traccia di sentiero è
piuttosto incerta), fino a trovare, aiutati dai
segnavia, un sentiero marcato, che prosegue
scendendo verso sinistra. Su un masso troviamo
anche il rassicurante quadratino azzurro con il
logo del progetto Life. Poco sotto, passiamo a
valle di uno splendido bosco di radi larici, che
lasciano filtrare abbondante la luce del sole che
si stende, con un effetto di rara suggestione, su
un tappeto di felci. Difficile trattenere la
tentazione di fermarsi e guardare. Poi, superata
una piccola radura, affrontiamo l’ultimo tratto,
che ci porta a monte delle case più alte di Frasnedo,
appena sopra la chiesetta dedicata alla Madonna
delle Nevi (m. 1287). Sul limite settentrionale
del paese si trova il rifugio Frasnedo.
|
Apri qui una fotomappa di Frasnedo e della Forca o
Forcella di Frasnedo
Abbiamo raccontato, sopra, il percorso del Tracciolino dalla Valle dei Ratti alla Val Codera; questo percorso può essere inserito in un inedito anello escursionistico che, passando per la Forcella di Frasnedo, consente di scendere a Frasnedo e di qui tornare all'automobile parcheggiata a monte di verceia. Un anello impegnativo (oltre 1000 metri di dislivello) e lungo (circa 6 ore di cammino), ma di grande fascino e suggestione, anche storica, in quanto ripercorre le orme dei soldati agli ordini del Perucci che, per ordine del Pappenheim, a capo delle forze degli imperiali contro gli alleati franco-grigioni, nel 1625 "prese le aclività di quel monte, e superandone l’altezza, non che la costa di quelli che dividono dall’altra Valle detta dei Ratti, d’onde uscivasi sopra Verceja, dopo due giorni e tre notti di periglioso arrampicarsi e marciare, prendevano alle spalle e ai fianchi gli alleati, senza che le scolte od alcun avamposto se ne accorgesse…” (Giuseppe Romegialli, op. cit.).
La casa dei guardiani della diga di Moledana
Saliti dal parcheggio sopra Verceia al Tracciolino,
lo seguiamo verso la Val Codera, come sopra descritto, fino
a raggiungere la deviazione, segnalata, per il Vallone di
Revelaso e la Forcella di Frasnedo (la segnalazione -
segnavia bianco-rossi) è giustificata perché questo percorso
si inserisce nella seconda tappa del Sentiero Life delle
Alpi Retiche).
Lo percorriamo fino a trovate la deviazione, segnalata,
sulla sinistra, per lo splendido paese di San Giorgio di
Cola (varrebbe proprio la pena di scendere a visitarlo,
allungando di circa un'ora l'anello); poco oltre troviamo,
sulla destra, la segnalazione della partenza del sentiero che dovremo seguire per salire alla Forcella di Revelaso. Si
tratta di una freccia bianca contornata di rosso, posta,
insieme con la targa gialla del Sentiero Life, su un masso a
lato del Tracciolino, nei pressi di un traliccio. Se abbiamo
scelto di non effettuare il fuori-programma della discesa a
S. Giorgio giungiamo, invece, fin qui più comodamente
seguendo il tracciolino, che attraversa il vallone di
Revelaso e propone un tratto nel quale dobbiamo prestare
attenzione, perché esposto alla caduta di massi.
Primo tratto del Tracciolino
Dobbiamo, ora, lasciare il tracciolino ed iniziare a salire
sul sentiero che, tagliando il fianco meridionale dell’aspro vallone di Revelaso (o Val Revelàs, che
scende dalla parete meridionale del Sasso Manduino), ci
porta alla forcella (o forcola) di Frasnedo, l’unica porta
naturale fra Val Codera e Valle dei Ratti. Un sentiero
davvero suggestivo, che non è segnato, se non nella prima parte, neppure sulla
carta IGM. Cominciamo, dunque, a salire, in un bosco di
betulle, sempre accompagnati dall’assidua e graditissima compagnia dei segnavia bianco-rossi, superando un
valloncello e raggiungendo una prima baita solitaria
(località Alla Valle, m. 1051). Procedendo in direzione est,
il sentiero aggira una formazione rocciosa (il tratto è
attrezzato da corde fisse ed allargato con dei tronchi), che
precede un secondo e più marcato vallone. I tratti esposti
della discesa nel vallone e della successiva risalita sono
anch’essi protetti da corde fisse.
Raggiunti lidi più tranquilli, proseguiamo fino ad
incontrare una radura con due nuove baite, quasi nascoste
nel cuore del bosco (m. 1192). Attraversiamo, nella
successiva salita, una bella pineta, con diversi tornanti,
fino a raggiungere il limite inferiore dell’ultimo e più
aspro tratto, dove la pendenza si fa più accentuata e la
traccia più debole. Il sentiero, ora, serpeggia fra l’erba,
che minaccia sempre di mangiarselo di nuovo (dico di nuovo
perché è stato appena pulito nel luglio del 2006; se, però,
non vi saranno interventi successivi, prima o poi sarà
sommerso dall’erba). Cominciamo ad intuire ed intravedere la
meta, costituita dalla sella posta sulla verticale della
direttrice di salita. Alla nostra destra sta un aspro fianco
roccioso, che mette paura solo a guardarlo. Qualche larice
stroncato dai fulmini rende l’atmosfera ancora più
inquietante. L’ultimo tratto della salita è anche il più
faticoso, perché la pendenza si fa davvero notevole; qualche
sosta si impone e, guardando alle spalle, riconosciamo le
case di Cola (voce dialettale che significa colle, vetta),
dominate dall’affilata punta Redescala (m. 2304). I radi
larici sparsi lungo il pendio sembrano mostrarci tutta la
loro solidarietà.
Alla fine, non senza aver pagato un copioso tributo di
sudore al severo vallone, nelle due ore di salita di salita,
siamo alla sospirata forcella di Frasnedo (m. 1662), dove il cartello giallo del Sentiero Life sembra
sorriderci, congratulandosi con noi per la perseveranza. 760
metri circa di dislivello dividono il tracciolino dalla
forcella, non uno scherzo! Ora il dado è tratto: col piede
sinistro siamo ancora in Val Codera, con quello destro già
in valle dei Ratti (o viceversa). Nessun roditore in vista:
la valle, infatti, deve il suo nome alla nobile famiglia
comasca dei Ratti, che, in passato, ne possedevano tutti gli
alpeggi. Una valle che ci mostra il suo versante
meridionale, ricco di boschi e di alpeggi. Una tranquilla
discesa in scenari più gentili ci attende. Nel primo tratto
effettuiamo un lungo traverso a destra, restando poco al di
sotto del crinale, che propone, qui, lo spettacolo un po’
desolante di diversi scheletri di larice. Nel traverso
attraversiamo un corpo franoso e, dopo aver gettato
un’ultima occhiata al lago di Mezzola, entriamo in un bel
bosco, intervallato da amene radure. Il sentiero comincia a
scendere, rimanendo approssimativamente sul crinale fra
Valle dei Ratti e Vallone di Revelaso, in direzione
sud-ovest. Poi, appena prima di una bella radura panoramica,
sul tronco di un grande faggio troviamo una ben visibile
freccia che segnala il cambiamento di direzione, verso
sinistra. Una seconda segnalazione di deviazione si trova,
sempre in bella evidenza, su un masso. Inizia una discesa
più decisa, che termina alla parte alta di Frasnedo.
Due i sentieri praticabili e segnalati dai segnavia
bianco-rossi. Suggerisco quello che sta più a destra,
leggermente più in basso: lo si trova scendendo per un
tratto quasi in diagonale verso sinistra (qui la traccia di
sentiero è piuttosto incerta), fino a trovare, aiutati dai segnavia, un sentiero
marcato, che prosegue scendendo verso sinistra. Su un masso
troviamo anche il rassicurante quadratino azzurro con il
logo del progetto Life. Poco sotto, passiamo a valle di uno
splendido bosco di radi larici, che lasciano filtrare
abbondante la luce del sole che si stende, con un effetto di
rara suggestione, su un tappeto di felci. Difficile
trattenere la tentazione di fermarsi e guardare.
Poi, superata una piccola radura, affrontiamo l’ultimo
tratto, che ci porta a monte delle case più alte di Frasnedo,
appena sopra la chiesetta dedicata alla Madonna delle Nevi
(m. 1287). Da qui ridiscendiamo, per la comoda mulattiera,
all'automobile. L'intero anello comporta circa 1070 metri di
dislivello e 6 ore di cammino.
Chi volesse ulteriori informazioni o
aggiornamenti, può rivolgersi all’ERSAF, a Morbegno (SO),
tel. 02 67404.581, fax 02 67404.599, oppure all’Infopoint
ERSAF, tel. 02-67404451 o 02-67404580; può anche scrivere a oscar.buratta@ersaf.lombardia.it,
oppure a life@ersaf.lombardia.it.
Risulta utile anche la consultazione del sito Internet www.lifereticnet.it/italiano/home.htm
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L’ANELLO DELLA
FOPPACCIA
Punti di partenza ed arrivo
|
Tempo necessario
|
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica,
E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
|
Verceia (parcheggio di via
Molino)-Quadrivio di quota 930-Monte del
Drogo-Foppaccia-Verceia
|
4 h
|
830
|
E
|
SINTESI.
Percorriamo la ss 36 in direzione di Chiavenna e,
usciti dalla prima galleria, la lasciamo prendendo
a destra al secondo svincolo di Verceia
e portandoci alle case del paese. Saliamo fino ad
un parcheggio di via Molino
(quota approssimativa: 260 metri), dove troviamo
un cartello escursionistico della Comunità Montana
di Chiavenna che dà la Foppaccia a due ore.
Prendiamo a destra, seguendo una breve stradina
asfaltata ma, prima di raggiungere l’argine del
torrente Ratti, prendiamo a destra, raggiungendo
l’imbocco della mulattiera che
comincia a salire verso destra. Ignorata una
deviazione a sinistra, incontriamo il primo
segnavia rosso-bianco-rosso su un sasso alla
nostra sinistra, appena prima un tornante sx. Dopo
un paio di tornantini troviamo un nuovo bivio:
ignorato il sentiero che prende a sinistra, stiamo
sulla destra, seguendo i segnavia. Proseguiamo,
poi, verso sinistra, fino ad un bivio dove
prendiamo la mulattiera che prosegue a sinistra.
Superata la cappelletta di San Fedele
a quota 444 m., raggiungiamo una zona più aspra:
il sentiero corre sul ciglio di un ripido versante
(in alcuni tratti un corrimano ci offre maggiore
sicurezza), è protetto per breve tratto da una
galleria paramassi e, restringendosi, corre poco a
monte del letto del torrente. Proseguendo,
troviamo un tratto protetto con parapetto, che ci
introduce al solco della selvaggia ed ombrosa Val
Priasca. A quota 660 metri circa ci
lascia, sulla sinistra, un sentierino; la
mulattiera prosegue superando un tratto intagliato
nella nuda roccia che, spesso umida, può riservare
qualche insidia. Dopo un tratto diritto, troviamo
una svolta a destra, che precede un nuovo bivio;
la mulattiera prosegue a sinistra (segnavia
rosso-bianco-rosso), mentre il sentiero di destra
porta, come leggiamo su un masso, al “Monte
Drogo”. Stiamo a sinistra e passiamo a sinistra di
uno spuntone di roccia e sotto il cavo della
teleferica. Dopo un tratto un po’ esposto,
raggiungiamo il filo di uno stretto dosso, che il
sentiero comincia a risalire, zigzagando.
Passiamo, quindi, di nuovo sotto il filo della
teleferica e poi a monte di un baitello che resta
alla nostra sinistra. Raggiungiamo, infine, il
punto di arrivo della teleferica e continuiamo a
salire, sul fianco meridionale della valle. Un
nuovo tratto protetto da parapetto ci introduce
alla Val Codogno e dopo una
nuova salita, incontriamo un quadrivio
(quota 930 circa), segnalato da
cartelli: qui prendiamo a destra, trovando
subito un ponte in ferro che scavalca un
valloncello. Il sentiero diventa poi più largo e
procede in leggera salita; i segnavia sono
bianco-rossi, ma anche bolli rossi. Poco oltre,
dopo un tratto protetto da corrimano, troviamo un
secondo ponte in ferro, che scavalca un nuovo
vallone. Torniamo, poi, ad incontrare la Val
Codogno, la prima laterale importante sul fianco
meridionale della Val dei Ratti, in un punto nel
quale una briglia in cemento raccoglie le acque
del torrente che poi vengono incanalate in un tubo
che le porta alla diga di Moledana. A monte del
manufatto vediamo una bella cascata del torrente
Codogno. Nel successivo tratto, in parte protetto
da corrimano in legno, si aprono alcuni scorci
interessanti sul lago di Mezzola e su Frasnedo.
Poi un breve tratto in discesa ci porta ad
attraversare un vallone. Raggiungiamo, quindi, il
punto in cui ci intercetta, salendo da destra, un
sentiero. Andiamo avanti diritti ed in breve siamo
ai prati della località Monte del Drogo
(“munt”, m. 942). Lasciate alle spalle le baite,
riprendiamo a salire: dopo un breve strappo, siamo
ad un bivio, al quale ignoriamo il sentiero di
sinistra che sale deciso nel bosco e proseguiamo
diritti (indicazione su un masso, alla nostra
sinistra: “Fopascia”, con freccia bianca bordata
di rosso). Poi un tratto con tornantini scalinati
ci porta all’ultimo traverso che ci avvicina al
solco della selvaggia Val Priasca,
alla qale giungiamo dopo una ripida discesa,
protetta in più punti da corrimano metallici, fra
roccioni incombenti alla nostra sinistra, discesa
che, in un punto, propone un punto abbastanza
delicato, perché ripido ed insidioso per le foglie
scivolose. Sul lato opposto del vallone torniamo a
salire, in un tratto ancora esposto, ma qui il
fondo è pulito e non scivoloso. Dopo una breve
discesa ed una nuova salita, passiamo accanto ad
un enorme masso erratico, che precede di poco il
limite orientale dei prati della Foppaccia
(m. 1020). Ci portiamo al nucleo delle baite, dove
troviamo il rifugio Chianova.
Dobbiamo prendere come riferimento la baita più
bassa e raggiungerla; da qui parte, verso
sinistra, presso una croce dedicata alla memoria
dei Della Bitta Ferdinando, un sentiero che però
ignoriamo, per puntare ad un gruppo di baite
ancora più basso, sulla destra (i Tecc'), che
dalla parte alta del maggengo non potevamo vedere.
Raggiunte questa baite, ci portiamo a quella più a
destra (vediamo, peraltro, che ancora più a
destra, cioè a nord, c’è un ulteriore nucleo, che
però non ci interessa): appena sotto vediamo un
bollo rosso, un segnavia rosso-bianco-rosso ed un
nuovo bollo rosso; giunti al limite del bosco, a
quota 970, sulla verticale della baita, vediamo
una marcata mulattiera che scende decisa. È la
nostra. Nella discesa dopo alcuni tornanti un
breve traverso a destra ci porta al nucleo di Pecendrè
(m. 776), che ormai è assediato dal bosco; su una
baita resta però un segno eloquente dell’antica
vita e dell’antica fede, un dipinto di Madonna con
Bambino. Appena sotto questa baita, ecco un bivio:
entrambi i sentieri, di sinistra e di destra,
scendono. Mentre il primo porta alla località
Predello, sopra Verceia (m. 428), cui giunge una
strada asfaltata, noi proseguiamo sulla mulattiera
di destra. Più in basso lasciamo alla nostra
destra una baita isolata ed incontriamo un secondo
cartello che ci esorta a non abbandonare i
rifiuti; qui dobbiamo stare un po’ attenti, perché
non dobbiamo né prendere a sinistra, né a destra
verso la baita, ma continuare diritti nella
discesa, seguendo il segnavia rosso-bianco-rosso.
Poco sotto, prendiamo a destra, passando a valle
della baita, e ricominciamo ad inanellare
tornanti. Più in basso prendiamo a sinistra, con
qualche tornantino, e, dopo una svolta a destra,
scendiamo alla cappelletta quotata 480 metri (con
l’indicazione Giuseppe Montini f.f.); appena sotto
raggiungiamo la strada asfaltata, che la
mulattiera taglia da sinistra a destra,
continuando a scendere. Appena prima di toccare
la strada troviamo l’indicazione, per chi sale
“Foppaccia mulattiera 1”. Scendendo, oltre la
strada, verso destra, dopo un breve tratto la
intercettiamo di nuovo; potremmo proseguire sul
suo lato opposto, ma qui la mulattiera è piuttosto
sporca, per cui ci conviene seguire la strada
stessa. Alla fine, eccoci di nuovo all’automobile.
|
Chiudiamo quest’ampia (ma non esaustiva) presentazione delle ricche possibilità escursionistiche offerte dalla Val dei Ratti raccontando un anello che da Verceia ci porta a girovagare sul selvaggio e solitario versante meridionale della bassa Val dei Ratti, passando per il Monte del Drogo e la Foppaccia. La prima parte dell’anello coincide con il secondo itinerario sopra descritto per salire a Frasnedo, quello, cioè, che sfrutta, appunto, la meno nota mulattiera del versante meridionale della valle. Riepiloghiamolo.
Clicca qui per aprire una
panoramica dalla Foppaccia
Lasciamo la ss. 36 dello Spluga al secondo
svincolo sulla destra (per chi proviene dalla Valtellina) di
Verceia (il primo porta alla chiesa di S.
Fedele) e saliamo fino ad un parcheggio di via
Molino (quota approssimativa: 260 metri), dove
troviamo un cartello escursionistico della Comunità Montana
di Chiavenna che dà la Foppaccia a due ore, il monte
Bassetta a 4 ore ed il passo del Culmine a 4 ore e 15
minuti. Seguendo la direzione indicata dal cartello,
prendiamo a destra, seguendo una breve stradina asfaltata
ma, prima di raggiungere l’argine del torrente Ratti,
prendiamo a destra, raggiungendo l’imbocco della mulattiera
che comincia a salire verso destra. Ignorata una deviazione
a sinistra, incontriamo il primo segnavia rosso-bianco-rosso
su un sasso alla nostra sinistra, appena prima un tornante
sx. Dopo un paio di tornantini troviamo un nuovo bivio:
ignorato il sentiero che prende a sinistra, stiamo sulla
destra, seguendo i segnavia. Proseguiamo, poi, verso
sinistra, fino ad un bivio: qui proseguiamo sulla mulattiera
più marcata, che prosegue a sinistra (anche se i segnavia ci
portano a destra). Dopo un buon tratto di salita,
incontriamo la cappelletta di quota 444,
dove viene dipinta una Madonna con Bambino ed alcuni santi,
S. Giovanni, S. Guglielmo, S. Lorenzo, S. Antonio e S.
Fedele, patrono di Verceia. Raggiungiamo, quindi, una zona
più aspra: il sentiero corre sul ciglio di un ripido
versante (in alcuni tratti un corrimano ci offre maggiore
sicurezza), è protetto per breve tratto da una galleria
paramassi e, restringendosi, corre poco a monte del letto
del torrente. Proseguendo, troviamo un tratto protetto con
parapetto, che ci introduce al solco della selvaggia ed
ombrosa Val Priasca, la valle delle streghe; sul lato
opposto entriamo nel territorio del comune di Dubino, ed il
primo tratto è agevolato da parapetto e corde fisse. A quota
660 metri circa ci lascia, sulla sinistra, un sentierino; la
mulattiera prosegue superando un tratto intagliato nella
nuda roccia che, spesso umida, può riservare qualche insidia
se non stiamo attenti.
Dopo un tratto diritto, troviamo una svolta a destra, che
precede un nuovo bivio; la mulattiera prosegue a sinistra
(segnavia rosso-bianco-rosso), mentre il sentiero di destra
porta, come leggiamo su un masso, al “Monte Drogo”,
congiungendosi con il sentiero che termina al già citato
maggengo della Foppaccia (possiamo anche imboccarlo,
raggiungendo la località Monte del Drogo ed accorciando
lo’anello; ne parleremo più avanti). Passiamo, quindi, a
sinistra di uno spuntone di roccia e sotto il cavo della
teleferica; dopo un tratto un po’ esposto, raggiungiamo il
filo di uno stretto dosso, che il sentiero comincia a
risalire, zigzagando. Ripassiamo sotto il filo della
teleferica e poi a monte di un baitello che resta alla
nostra sinistra. Raggiungiamo, infine, il punto di arrivo
della teleferica e continuiamo a salire, sul fianco
meridionale della valle. Poco oltre, passiamo sotto il
faggio dalla forma bizzarra e vagamente mostruosa, con le
radici abbarbicate ad un grosso masso erratico. Superata
subito dopo, una baita solitaria, un nuovo tratto protetto
da parapetto ci introduce alla Val Codogno,
oltrepassata la quale rientriamo nel territorio di Verceia.
Dopo una nuova salita, eccoci al quadrivio di quota
930, segnalato da cartelli: procedendo diritti si
va a Moledana, prendendo a destra ci si dirige alla
Foppaccia mentre scendendo verso sinistra si scende alla
diga di Moledana.
Panorama dal Monte del Drogo
Prendiamo, dunque, a destra, trovando
subito un ponte in ferro che scavalca un valloncello. Il
sentiero diventa poi più largo e procede in leggera salita;
i segnavia sono bianco-rossi, ma anche bolli rossi. Poco
oltre, dopo un tratto protetto da corrimano, troviamo un
secondo ponte in ferro, che scavalca un nuovo vallone.
Torniamo, poi, ad incontrare la Val Codogno, la prima
laterale importante sul fianco meridionale della Val dei
Ratti, in un punto nel quale una briglia in cemento
raccoglie le acque del torrente che poi vengono incanalate
in un tubo che le porta alla diga di Moledana. A monte del
manufatto vediamo una bella cascata del torrente Codogno.
Nel successivo tratto, in parte protetto da corrimano in
legno, si aprono alcuni scorci interessanti sul lago di
Mezzola e su Frasnedo. Poi un breve tratto in discesa ci
porta ad attraversare un vallone. Raggiungiamo, quindi, il
punto in cui ci intercetta, salendo da destra, un sentiero.
Alcune scritte indicano che scendendo lungo questo sentiero
si ritorna a Verceia (si tratta, infatti, del sentiero che
abbiamo incontrato più in basso e che si stacca dalla
mulattiera Verceia-Moledana, sulla destra - indicazione per
Drogo -). Su un sasso troviamo l’indicazione che nella
direzione da cui proveniamo si va
in Valle dei Ratti, a Frasnedo ed a Moledana; nella
direzione in cui stiamo procedendo, invece, si va alla
Foppaccia. Andiamo, dunque, avanti diritti ed in breve siamo
ai prati della località Monte del Drogo
(“munt”, m. 942). Il nome deriva dalla voce “rovéd”, roveto,
o, più probabilmente, da “drago” o “dargùn”, che significa
“torrente rovinoso”. Ottimo, da qui, il panorama sulla bassa
Valchiavenna, sul monte Berlinghera e sul lago di Mezzola.
Le poche baite sono ancora discretamente conservate e solo
lo scrosciare discreto di un filo d’acqua raccolta in una
bacinella rompe il silenzio arcano di questo luogo intriso
d’antico. Non possiamo non fermarci a gustarne la pace,
profonda, assoluta. Un tempo questo maggengo pulsava di
un’intensa vita: dalle belle piante le ciliegie venivano
raccolte e vendute a Verceia. Un tempo.
Lasciamo alle nostre spalle quest’oasi di pace e riprendiamo
a salire: dopo un breve strappo, siamo ad un bivio, al quale
ignoriamo il sentiero di sinistra che sale deciso nel bosco
e proseguiamo diritti (indicazione su un masso, alla nostra
sinistra: “Fopascia”, con freccia bianca bordata di rosso).
Poi un tratto con tornantini scalinati ci porta all’ultimo
traverso che ci avvicina al solco della temibile Val
Priasca, la valle delle streghe. Niente paura,
però: la luce del giorno le tiene lontane, perché solo da
suono a suono dell’Ave Maria (cioè dalle sei di sera alle
sei di mattina) possono prendere il volo ed insidiare i
viandanti. Prima di arrivarci, però, superiamo qualche
saliscendi, in una splendida ed inquietante faggeta (un
faggio secolare, in particolare, ha qualcosa di mostruoso ed
orripilante che non manca di colpirci) poi saliamo per un
tratto, fino a quota 1040, ed iniziamo una ripida discesa,
protetta in più punti da corrimano metallici, fra roccioni
incombenti alla nostra sinistra, discesa che, in un punto,
propone un punto
abbastanza delicato, perché ripido ed insidioso per le
foglie scivolose. Eccoci, infine, nel cuore oscuro della
valle: anche in pieno giorno l’alito freddo di una
cascatella ci mette i brividi. Ci prende quella paura remota
che forse fu il sale di giornate lontane, quando le favole
raccontate o lette ci consegnavano ad un’angoscia dalla
quale difficilmente venivamo strappati. Qui è un po’ come
allora. Per rassicurarci, volgiamo lo sguardo al lato
opposto, allo spicchio di Valchiavenna che lo sguardo può
raggiungere, e là si staglia la mole massiccia del pizzo di
Prata. Il pizzàsc', anch’esso di sinistra fama. Solo il
riprendere della cadenza del passo ci riporta alla sicurezza
del presente. Torniamo a salire, in un tratto ancora
esposto, ma qui il fondo è pulito e non scivoloso. Dopo una
breve discesa ed una nuova salita, passiamo accanto ad un
enorme masso erratico, che precede di poco il limite
orientale dei prati della Foppaccia (fopàscia). È un po’ un
riemergere alla luce, e soprattutto al presente. Si
intuisce, qui, la presenza, domenicale ed estiva, di un buon
numero di abitanti di Verceia profondamente legati alla loro
terra ed a questo maggengo, panoramicissimo e gentile.
Superato lo spiazzo dove una grande H segnala il punto di
atterraggio per l’elicottero, eccoci alle baite della Foppaccia.
Si tratta di uno splendido maggengo costituito da un’ampia e
panoramica fascia di prati che si stende, fra quota 1020 e
quota 1090 circa, sopra Verceia. Da qui si gode di un
panorama davvero suggestivo sul lago di Novate Mezzola,
sulla piana di Chiavenna e sulla bassa Valle dei Ratti, il
cui versante settentrionale è dominato, da sinistra, dalle
eleganti cime della punta Redescala (m. 2304), del Sasso
Manduino (m. 2888) e della punta Magnaghi (m. 2871). Oggi il
maggengo è un ottimo centro di villeggiatura estiva, dove si
può trovare anche un rifugio, il Chianova, sempre aperto e
quindi in grado di fungere da ricovero di emergenza. C’è
anche un comodissimo telefono (anche
se oggi la sua utilità, dato il dilagare dei telefonini, è
attenuata). Un tempo questi prati costituivano un pascolo
preziosissimo nell’economia di sostentamento della
popolazione di Verceia. Qui si portavano, a maggio, le
mucche, che poi salivano, in estate, all’alpe del monte
Bassetta (m. 1746), a sud-est del maggengo. La carenza
d’acqua, che attanaglia cronicamente i versanti del monte
Bassetta, indusse gli abitanti del maggengo a costruire
all’interno delle case cisterne di cemento nelle quali
confluisce l’acqua piovana, che viene così conservata.
Questa carenza è, forse, all’origine del toponimo: Foppaccia
è spregiativo di Foppa, che, a sua volta, è toponimo assai
comune in Valtellina e Valchiavenna, dalla voce lombarda
“foppa”, che significa “buca”, “fossa”. Qualche avvallamento
del terreno nella parte alta dei prati è forse all’origine
di tale nome.
L'angolo più caratteristico di questo splendido terrazzo
panoramico è rappresentato dalla chiesetta dedicata ai santi
Anna e Gioacchino, che se ne sta, solitaria, ad est del
nucleo più alto di baite, vegliata da un caratteristico
campanile dal profilo bombato. Sulla sua facciata è dipinto
San Bernardo di Mentone, mentre trafigge il drago-demonio
che, secondo quanto si racconta, infestava il passo alpino
cui poi venne assegnato il nome del santo.
Dal maggengo partono tre sentieri: l’uno, nella parte alta,
sulla sinistra (lo troviamo, salendo, oltre la baita più
alta ed appema prima di un boschetto di betulle; sale per un
tratto diritto, poi propone un bivio, al quale, ignorata la
direzione di sinistra segnalata su un masso per Lavazz,
prendiamo a destra), risale il versante boscoso a monte
dello stesso (ma non è sempre chiaro ed è scarsamente
segnalato) e, dopo aver toccato una sorgente, effettua un
ultimo traverso a destra che lo porta a raggiugere il
crinale a monte di Monastero di Dubino e San Giuliano,
crinale che separa Valtellina e Valchiavenna. Sul crinale
corre un sentiero che, percorso salendo porta all’alpe ed al
monte Bassetta (m. 1746), sontuoso terrazzo panoramico su
Valchiavenna, alto Lario e bassa Valtellina (con un bel
colpo d’occhio, però, anche su parte della Val dei Ratti).
Seguendo i segnavia bianco-rossi, possiamo da qui procedere
appena sotto il crinale, superare la bella baita dell’alpe e
salire in una rada pecceta fino al vicino passo del Culmine
(m. 1818), che richiede un po’ di attenzione per essere
individuato, perché non è affatto marcato; semplicemente si
trova nel punto in cui il crinale comincia a farsi più
impervio e sulla sinistra si stacca un sentiero che taglia,
con lungo traverso, in qualche punto un po’ esposto, i
fianchi occidentale e settentrionale del monte Brusada (m.
2143). Il sentiero porta all’alpe Codogno (m. 1878), dalla
quale si può proseguire scendendo all’alpe Nave ed a
Moledana nel modo sopra descritto (cfr. scheda relativa alla
traversata Poira-Frasnedo). Il ritorno a Verceia sfruttando
la mulattiera che corre sul lato settentrionale della valle
chiuderebbe un impegnativo ma bellissimo doppio anello di
circa 8 ore di cammino (dislivello in altezza: 1540 metri
circa). Ma bisogna avere una grande gamba per cimentarsi in
camminate di tale sviluppo.
Chiesetta della Foppaccia
Torniamo, allora, alla Foppaccia, per
vedere come chiudere in modo assai meno faticoso l’anello.
Prima, però, segnaliamo che sul lato orientale del maggengo,
al quale ci si porta facilmente raggiungendo la chiesetta e
proseguendo diritti in direzione della Valtellina, parte un
sentierino che continua verso sud, attraversando un vallone
e raggiungendo, dopo una decina di minuti, superata la baita
isolata di quota 1040, i prati della Motta (m. 999), oasi di
solitudine non paragonabile al Monte del Drogo, ma anch’essa
appartata e con il prego ulteriore della grande
panoramicità.
Vediamo, infine, come procedere per tornare direttamente
dalla Foppaccia a Verceia. Prima, però, offriamo questa
indicazione per chi volesse percorrere l’anello al
contrario: il sentiero che dalla Foppaccia si addentra in
Val dei Ratti (segnalazione per il Munt) si trova prendendo
come riferimento una nuova baita isolata, sulla sinistra,
nella parte alta dei prati, presso una grande conca;
superata la conca, salendo leggermente, troviamo il sentiero
che entra nel bosco e passa presso l’enorme masso erratico.
Bando agli indugi, iniziamo la discesa a Verceia.
Dobbiamo prendere come riferimento la baita più bassa e
raggiungerla; da qui parte, verso sinistra, presso una croce
dedicata alla memoria dei Della Bitta Ferdinando, un
sentiero che però ignoriamo, per
puntare ad un gruppo di baite ancora più basso, sulla destra
(i Tecc'), che dalla parte alta del maggengo non potevamo
vedere. Raggiunte questa baite, ci portiamo a quella più a
destra (vediamo, peraltro, che ancora più a destra, cioè a
nord, c’è un ulteriore nucleo, che però non ci interessa):
appena sotto vediamo un bollo rosso, un segnavia
rosso-bianco-rosso ed un nuovo bollo rosso; giunti al limite
del bosco, a quota 970, sulla verticale della baita, vediamo
una marcata mulattiera che scende decisa. È la nostra. Ci
accoglie un cartello del comune di Verceia che,
sacrosantamente, recita: “Aiutateci a tenere pulito il
bosco. Non abbandonate i vostri rifiuti”. Già, gran segno di
civiltà, questo, saper frequentare la natura senza lasciare
altro segno che la propria labile orma, grati dell’orma, ben
più profonda, che essa lascia in noi.
Così scendiamo, accompagnati dallo scoscio delle foglie di
castagno che tappezzano la mulattiera. Poco sotto, a quota
880, un simpatico cartello recita: “A la posa in mez ai foo
lèghia net come se al füdès to”, cioè nella sosta in mezzo
ai faggi lascia pulito come se il luogo fosse di tua
proprietà. Non fatichiamo a rispettare l’invito, data la
bellezza dei luoghi. Dopo alcuni tornanti, un breve traverso
a destra ci porta al nucleo di Pecendrè
(m. 776), che ormai è assediato dal bosco; su una baita
resta però un segno eloquente dell’antica vita e dell’antica
fede, un dipinto di Madonna con Bambino. Appena sotto questa
baita, ecco un bivio: entrambi i sentieri, di sinistra e
di destra, scendono. Mentre il primo porta alla località
Predello, sopra Verceia (m. 428), cui giunge una strada
asfaltata, noi proseguiamo sulla mulattiera di destra. Dopo
pochi tornanti, effettuiamo un traverso a destra, fino ad un
cartello, a quota 750 metri, che recita “A la posa de la
livera lèghia tϋt cume che l’èra”, cioè alla sosta
della livera lascia tutto com’era: stessa filosofia di cui
sopra (ma noi, scendendo, probabilmente non avvertiamo
neppure il bisogno di sostare). Scendendo ancora, verso
sinistra, lasciamo alla nostra destra una baita isolata ed
incontriamo un secondo cartello che ci esorta a non
abbandonare i rifiuti; qui dobbiamo stare un po’ attenti,
perché non dobbiamo né prendere a sinistra, né a destra
verso la baita, ma continuare diritti nella discesa,
seguendo il segnavia rosso-bianco-rosso. Poco sotto,
prendiamo a destra, passando a valle della baita, e
ricominciamo ad inanellare tornanti. Poi, a quota 570, ecco
il terzo cartello con rima didascalica: “A la pòsa del pusìn
pòsa pϋr, ma porta a cà i tò latìn”, cioè alla sosta del
pusìn riposa pure, ma porta a casa le tue lattine. Parole
sante.
Poi prendiamo a sinistra, con qualche tornantino, e, dopo
una svolta a destra, scendiamo alla cappelletta quotata 480
metri (con
l’indicazione Giuseppe Montini f.f.); appena sotto, la
strada asfaltata, che la mulattiera taglia da sinistra a
destra, continuando a scendere. Appena prima di toccare la
strada troviamo l’indicazione, per chi sale “Foppaccia
mulattiera 1”. Scendendo, oltre la strada, verso destra,
dopo un breve tratto la intercettiamo di nuovo; potremmo
proseguire sul suo lato opposto, ma qui la mulattiera è
piuttosto sporca, per cui ci conviene seguire la strada
stessa. Alla fine, eccoci di nuovo all’automobile; ci
avviene da pensare che hanno ragione quelli che parlano
dell’intelligenza delle macchine, anche perché dove le
lasci, lì restano. Intanto facciamo due conti: abbiamo
camminato per circa 4 ore, superando un dislivello in
altezza di 830 metri o poco più. È tempo di riposare, anche
per il cronista di molte camminate che, sicuramente, con la
prolissità delle presentazioni avrà tradito l’amore per
questa valle, per tanti aspetti unica.
CARTE DEI PERCORSI sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
MEDIA
VAL DEI RATTI
ALTA VAL DEI RATTI
Mappa del percorso - elaborata su un particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere
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