Esiste, in Valchiavenna, una valle dal nome singolare, la valle di Lei, la cui denominazione allude ad una figura femminile (o parrebbe alludere: in realtà il toponimo significa "lago"). Sull’identità di questa figura, però, le spiegazioni divergono.
Una prima storia rimanda ad uno sfondo storico assai lontano nel tempo, cioè all’epoca della dominazione romana della Rezia. Ne è infelice protagonista la moglie di un soldato romano, un centurione di stanza in val Ferrera, attualmente in territorio svizzero. Costei tradì il marito, che non la prese affatto bene e le inflisse una punizione terribile: la rinchiuse in una caverna e la lasciò morire lì.
Passarono circa mille anni, prima che alcuni pastori di Piuro (i pascoli della valle di Lei, assai pregiati, sono, infatti, nel territorio di tale comune) rinvenissero quel che restava della sventurata, sopra l’alpe del Scengio. Come abbiano fatto a ricostruire la vicenda che aveva portato alla tragica fine, non ci è dato sapere: la scoperta, però, suscitò tale impressione e mosse gli animi a tali sentimenti di pietà, che la valle, da allora, assunse il nome che doveva ricordare lei, la donna che trovò nel cuore dei suoi monti la propria tomba.
Da allora quando il vento sibila e pare produrre gemiti lamentosi, i pastori dicono che è l'anima di "lei", un'anima in pena, che piange per il suo tradimento e la sua terribile sorte (cfr. Martino Fattarelli, "Intese e discordie lungo i millenari confini del chiavennasco", in "Clavenna", n. 14, del 1975, e E. Simonetti-Giovanoni, "Almanacco dei Grigioni Italiani", Poschiavo, 1975, pp. 97-98).
Esistono, però, almeno un paio di altre leggende, che ci portano a scenari decisamente più fantastici, anche se non meno tragici (cfr. “C'era un volta, Vecchie storie e leggende di Valtellina e Valchiavenna”, ed. a cura del Comune di Prata Camportaccio, Sondrio, Bonazzi Grafica, dicembre 1994).
La prima ci presenta un tempo in cui la valle godeva di un clima particolarmente favorevole e caldo, ed era quindi particolarmente prospera. Vi dimorava allora una principessa, che possedeva consistenti ricchezze. Purtroppo le situazioni felici, anche nel mondo fantastico delle leggende, non sono mai durature, ed ecco, quindi, entrare in scena un perfido mago, che le intimò di consegnarle tutto l'oro. Inizialmente la principessa resistette alla sua prepotenza, ma quando questi minacciò di congelare la sua bella valle, fu presa dalla paura e cedette.
Aver donato tutto il suo oro, però, non le valse a nulla, perché il mago si fece avanti ancora, con pretese maggiori: questa volta voleva l'intera valle. Questa volta la principessa rispose che non avrebbe mai acconsentito a cedere la sua bella valle. Questo rifiuto segnò il suo destino, perché il mago la uccise. Era tanto malvagio, che neppure volle godersi la valle conquistata con il sopruso, preferendo godersi il gusto di un atto di malvagità gratuita: usò, infatti, le sue arti magiche per stendervi sopra una coltre di ghiaccio. Da allora, in memoria della sua ultima sventurata principessa, la valle assunse l'attuale denominazione.
Una seconda leggenda spiega il nome con una vicenda per certi versi analoga. Questa volta la protagonista è una ragazza di grande bellezza, che abitava sul versante montuoso che scende ad oriente del pizzo Groppera, la vetta che segna il confine sud-occidentale della valle. La sua bellezza non sfuggì ad un malvagio stregone, che passò un giorno nella valle, e che le chiese di sposarlo. La ragazza oppose un netto rifiuto, anche perché, come tutti gli esseri malvagi nell'universo delle leggende, costui era davvero brutto. Brutto e vendicativo: non ci pensò su due volte, e trasformò la ragazza in una grande massa di ghiaccio, in un vero e proprio ghiacciaio. Anche in questo caso alla sventurata venne tributato l'omaggio del ricordo nel nome della valle.
Una terza ed ultima leggenda è riportata nella bella raccolta “C'era un volta, Vecchie storie e leggende di Valtellina e Valchiavenna”, ed. a cura del Comune di Prata Camportaccio, Sondrio, Bonazzi Grafica, dicembre 1994, con contributi di diverse scuole della Provincia di Sondrio (quello riportato è della Scuola Media Bertacchi di Chiavenna):
"Un tempo si diceva che i "malspirit", cioè gli spiriti maligni, erano stati confinati nel posto più tetro della Val di Lej. Qui essi si divertivano a tendere scherzi e tranelli alle persone di passaggio. Il mio bisnonno quasi quasi cascò in uno di questi tranelli. Un giorno infatti giunse alla bocchetta che porta alla Val di Lej quando, improvvisamente, su un burrone, vide una scure conficcata nella roccia. Lui però non la prese, anche se all'inizio gli era venuta la tentazione di farlo per portarla a suo figlio. Si ricordò per fortuna che gli avevano detto che i "malspirit" lasciavano delle scuri in posti pericolosi come quello, per far sì che chiunque tentasse di prenderle, cadesse nel burrone."

Le prime due leggende prendono spunto dalla presenza, nella valle, di ghiacciai, in particolare di quello della Ponciagna, che occupa il vallone dello Stella, il quale, a sua volta, scende dal versante settentrionale del pizzo Stella (m. 3163), ed il ghiacciaio della cima di Lago (m. 3083), che presidia l'angolo di sud-est della valle. Le diverse leggende fiorite sull'origine del suo nome testimoniano della singolarità della valle, che, idrograficamente appartiene al territorio elvetico, essendo tributaria del bacino del Reno, mentre politicamente appartiene all'Italia. Un accordo italo-svizzero, però, ha riservato alla Svizzera il diritto di sfruttamento idroelettrico delle acque della valle. Lo sbarramento dell'enorme invaso (dalla capacità di 197 milioni di metri cubi d'acqua) che occupa il fondovalle, infatti, è in territorio svizzero, ed è stato realizzato fra il 1958 ed il 1961. La valle, orientata a nord, è chiusa, ad oriente, dalla costiera che dallo Schahorn (m. 2836) scende alla cima di Lago (m. 3083) e ad occidente da quella che dal pizzo Motta (m. 2835) scende ai pizzi Groppera (m. 2948) e Stella (m. 3136).
Alla valle si può comodamente accedere, con autoveicoli, dalla val Ferrera, salendo da Innerferrera, in territorio svizzero. L'accesso dal territorio italiano comporta, invece, lunghe camminate. Per accedere da Piuro si deve sfruttare il passo di Lei (m. 2660), presidiato dal bivacco Chiara e Walter, che sovrasta il lago dell'Acqua Fraggia. Da Piuro al passo, però, ci sono circa 2260 metri di dislivello, per cui la traversata in una sola giornata è impresa da camminatori eccezionali.
Più facile è la traversata che sfrutta il passo dell’Angeloga (m. 2391), sopra l’alpe omonima, che si raggiunge da Fraciscio (m. 1341) con due ore e mezza circa di cammino. All’alpe si trova il rifugio Chiavenna (m. 2044), in prossimità del quale partono tre sentieri, quello sfruttato per l’ascensione al pizzo Stella, quello che, in direzione opposta, effettua una bella e facile traversata di mezza costa alla Motta di Madesimo (C10) e quello che sale diritto al ripiano del lago Nero (C3).
Quest’ultimo si inerpica sull’erboso e ripido versante che scende all’alpe dall’ultimo gradino roccioso, che la separa dalla piana del passo di Angeloga (termine che deriva da “angolo”, con riferimento alla forma o alla piega che la valle assume). Riprendiamo, quindi, il cammino in direzione nord-est, sfruttando diversi tornanti che ci portano proprio a ridosso delle formazioni rocciose terminali. Poco prima di raggiungerle il sentiero ci propone anche un passaggio un po’ esposto, che va affrontato con concentrazione. Poi, ecco il corridoio che si apre fra le rocce, e nel quale si infila un piccolo corso d’acqua: alcuni gradini ed alcune corde fisse ci permettono di superare quest’ultimo ostacolo, prima di uscire ad un nuovo ampio e bellissimo scenario, dominato dal lago Nero (m. 2352).
A dispetto del nome, questo lago non ha nulla di tetro, anzi, in una bella giornata, regala riflessi di un blu intenso. Alla sua destra, è sempre il pizzo Stella a farla da padrone, anche se ora il suo primato è insidiato dal pizzo Peloso (m. 2780), dal profilo, oltre che dal nome, assai meno elegante. Percorriamo, dunque, il lato settentrionale (di sinistra, per noi) del lago, seguendo il sentiero per il passo di Angeloga. Raggiunto il suo limite orientale, lasciamo per un po' il sentiero, piegando a destra e passando a valle di un piccolo specchio d'acqua: dopo una breve salita su un dosso erboso, giungiamo a scovare un secondo e più piccolo lago, il lago Caldera (m. 2369), che dal sentiero non si vede. Questa breve digressione ci costa pochi minuti di cammino supplementare, ma ci regala uno scorcio panoramico di grande suggestione, che coniuga le scure acque del lago allo svelto profilo del pizzo Stella, che occhieggia alle sue spalle. 
Tornati al sentiero, lo percorriamo verso il passo, incontrando ancora un piccolo specchio d’acqua. Il passo, a 2391 metri di quota, non è altro che una piccola porta fra le rocce arrotondate: probabilmente non ce ne accorgeremmo, se non vi fosse una piccola croce di legno che lo segnala.
Oltre il passo, siamo in valle di Lei, ma la valle non appare improvvisamente, in quanto si mostra gradualmente. Appare, innanzitutto, la sua costiera orientale, che impressiona per il senso di solitudine suscitato dalla mancanza di segni di insediamento umano, e cominciano a mostrarsi, alla nostra destra, anche le eleganti cime che costituiscono la testata est della val di Cà, prolungamento meridionale della Val di Lei. Comincia ad intravedersi, ancora più a destra, anche il ghiacciaio ai piedi del versante settentrionale del pizzo Stella, il già menzionato ghiacciaio della Ponciagna.
Appena valicato il passo, ecco, qualche decina di metri sotto di noi, un altro bel lago, il lago Ballone (termine che deriva da “pallone”, m. 2321). Forse troveremo anche qualche capo di bestiame, perché i pascoli della Val di Lei sono particolarmente pregiati.
Ben presto incontriamo un bivio: pendendo a destra (C5) si scende facilmente all’alpe Mottala, sul fondo della valle, non lontano dal bivacco Pian del Nido; prendendo a sinistra, invece, si effettua una lunga traversata che rimane sulla parte alta del versante occidentale della valle, superando le laterali valle Caurga e valle Rebella, varcando poi il crinale per scendere in val Sterla (dalla quale la discesa prosegue fino alla val Scalcoggia, appena sopra Madesimo). Pochi passi su l’uno o l’altro dei sentieri, ed ecco apparire anche il fondovalle, con il grande lago originato dallo sbarramento artificiale.
La valle si mostra ampia, aperta, luminosa, ma il senso di solitudine rimane: si intuisce la presenza umana, ma questa non cancella l’impressione di un luogo remoto, sconosciuto agli uomini. Tutto ciò, unito alla dolcezza del paesaggio, genera un fortissimo senso di pace e di armonia, che vale interamente le tre ore e mezza approssimativamente necessarie per giungere fin qui, superando i 950 metri circa di dislivello in salita. Nulla sembra suggerire, dunque, la tragedia delle tre donne che si contendono il privilegio di essere la “lei” evocata dal nome della valle.

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