CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line.

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La Val Masino è costituita da un arco di valli che hanno come estremi la valle di Spluga e la val Terzana. Entrambe condividono la sorte di essere sicuramente gli angoli meno conosciuti di una delle più celebri valli delle alpi Retiche. Immeritatamente. Questo discorso vale in particolare per la valle di Spluga (niente a che fare, a dispetto di equivoci, con la ben più ampia e famosa valle che si trova a nord di Chiavenna), che riserva scenari di forte impatto suggestivo, con la sua selvaggia, solitaria, ma non aspra bellezza.
E, se ciò non bastasse, riserva, nella sua parte più alta e nascosta, uno stupendo sistema di laghetti: si tratta degli unici specchi d’acqua, se ad essi si aggiunge il laghetto di Scermendone, dell’intera Val Masino, prodiga, per altri aspetti, di monumentali cattedrali di granito, ma avara di questo ingrediente così legato alla suggestione dell’alta montagna.
Chi ama gli orizzonti che coniugano in una miscela perfetta bellezza e solitudine non può, dunque, mancare di visitare la valle di Spluga: complice la mancanza di vie di accesso carrozzabili che proseguano oltre i 700 metri del paesino di Cevo, non vi troverà, anche nel cuore della stagione estiva, se non gli alpeggiatori, e forse, ma non è detto, qualche sparuto escursionista.
Vediamo come arrivarci e quali possibilità escursionistiche scegliere. Lasciando, sulla sinistra, la statale 404 della Val Masino (che si imbocca lasciando la ss. 38 all’altezza del comune di Ardenno) in località Ponte del Baffo (m. 571, dove si trova, sulla destra della strada, anche l’antica edificio della famosa osteria del Baffo),
si attraversa, su un ponte, il torrente Masino, per poi salire al paesino di Cevo (m. 700), in territorio del comune di Civo, ad 1,5 km dal ponte del Baffo. Un breve fuori-programma consente di ammirare le modeste ma interessanti cascatelle della parte più bassa del corso del torrente Cavrocco, che scende dalla valle di Spluga: basta imboccare un sentierino che si trova all’altezza del primo tornante sinistrorso che si incontra salendo verso Cevo. Al paesino si accede staccandosi sulla destra dalla strada principale (denominata strada di Valpòrtola), che prosegue affacciandosi sul limite orientale della costiera dei Cech nei pressi di Cadelpicco e Caspano.
All’ingresso del paese troviamo la bella chiesa di Santa Caterina, che, nell’attuale aspetto, risale al secolo XVII. Siamo al confine fra i comuni di Cevo e di Val Masino: è, infatti, il torrente Cavrocco a separarli. D’estate il paese si anima per la presenza di numerosi villeggianti. Nelle rimanenti stagioni vive di una vita tranquilla e quasi fuori del tempo.
 
Molto bello, anche se non particolarmente ampio, il panorama che si gode da qui: dominiamo la media Val Masino, con Cataeggio, suo centro amministrativo, sovrastato dalle selvagge pareti del monte Piezza, alle cui spalle si scorge la cima di Arcanzo; scorgiamo, in uno spiraglio sulla sinistra di questo monte, la cima di Castello, la più alta della Val di Mello, con i suoi 3386 metri; alla nostra destra, invece, l’impressionante, aspro e selvaggio versante occidentale della dorsale che culmina nella cima di Granda e separa la bassa Val Masino dalla Valtellina.
Per accedere alla valle di Spluga sfruttiamo una bella mulattiera che, nella prima parte, che ne percorre la sinistra orografica (destra per chi sale). Fino a qualche anno fa si imboccava un sentiero che partiva dalla parte alta del paese (raggiunta attraversandone le case),
lasciava l’abitato di Cevo,
passava accanto ad una cappelletta solitaria e scendeva al torrente, che viene superato su un ponte in cemento
in corrispondenza di una impressionante forra.
 
Ora al sentierino si è sostituita una pista che serve la centralina costruita per sfruttare a scopi idroelettrici le acque del Cavrocco.
La mulattiera è larga e comoda: ignorata, nel primo tratto, la deviazione sulla destra rappresentata dal sentiero per Cataeggio (tratto del Sentiero Italia Lombardia nord 3), saliamo quasi schiacciati a ridosso delle rocce dell’aspro fianco nord-orientale della valle. Alla nostra sinistra, più in basso, scorre il torrente. Superati un corpo franoso
ed una cappelletta,
la valle si allarga e raggiungiamo la prima tappa della salita, il maggengo di
Cerèsolo, posto in un ripiano, a quota 1041. Un’avvertenza: sulle carte IGM e su quelle Kompass è segnato un sentiero che si stacca dalla mulattiera a quota 750 metri circa e si inerpica sul selvaggio versante nord-orientale della valle, raggiungendo l’alpeggio di Cervìso (Cervìs). È però del tutto sconsigliabile avventurarsi su questo tracciato, che tende a perdersi in un’insidiosissima fascia di rocce. Qui, come in diversi altri luoghi della Val Masino meno battuta, il rischio di finire, come certe capre, “incrapelati”, cioè imprigionati da rocce dalle quali non riusciamo ad uscire, è davvero concreto. Non che non si possa salire a Cerviso, ma è assai più agevole farlo seguendo la mulattiera che parte da Ceresolo, e che considereremo più avanti.
A Ceresolo possiamo giungere anche per altra via: dalla centralina idroelettrica di Cevo la pista sterrata prosegue, infatti, sul versante opposto della valle rispetto a quello della mulattiera; all’altezza di Ceresolo, un ponticello ci porta sul versante dei prati e delle baite del maggengo. Salendo per questa seconda via troviamo, sulla nostra sinistra, l’indicazione della partenza di un sentiero, un po’ esposto e servito da corde fisse,
che porta
al maggengo di Rigorso (Rigurs), dal quale si scende, poi, facilmente, su pista carrozzabile
a Caspano: può essere un’idea per una breve escursione ad anello, considerando che da Caspano si può poi tornare, sulla strada di Valpòrtola, a Cevo, ma si usi tutta la prudenza necessaria.
Riprendiamo il racconto della salita verso la parte superiore della valle. Seguendo le indicazioni per i laghi, imbocchiamo un sentiero che attraversa un secondo corpo franoso, mentre alle nostre spalle il colpo d'occhio si allarga, raggiungendo la Val di Tartano, sul versante orobico.
Attraversiamo il torrente Cavislone, che tesse i suoi ricami su una fascia di roccette, e lo lasciamo alla nostra destra, prima di raggiungere le baite abbandonate della
Corte del Dosso, a 1460 m. Sulla prima di esse troviamo uno dei radi segnavia rosso-bianco-rossi, con la numerazione “22”.
L’ora di cammino che ci porta da Ceresolo ella Corte del Dosso è piuttosto noiosa, ma ora la valle comincia a regalare un primo ampio scorcio del suo lato sud-occidentale.

 
A quota 1760 circa raggiungiamo la fascia dei prati della Corte di Cevo, dove troviamo alcune baite e, sulla nostra sinistra, una casera ancora utilizzata. Superata anche la Corte di Cevo, entriamo per l’ultima volta in una fascia boscosa, che precede l’accesso all’alta valle, alla quale ci introduce la prima Casera di Spluga, a quota 1939. Qualche decina di metri più in basso, a quota 1900 circa, parte, sulla destra, un sentiero di cui vale la pena prendere nota. Nel primo tratto è difficile vederlo: dobbiamo prendere come punto di riferimento il rudere di un baitello, proseguendo, lungo la medesima direttrice, verso il limite del bosco.
Il sentiero si fa, quindi, evidente, e conduce alla più bassa delle casere di Spluga (m. 1987), nella valle omonima: torneremo più avanti su questa variante, che permette di salire alla poco nota bocchetta della Merdarola, dalla quale si scende nell’omonima valle, proseguendo per la Valle dell’Oro ed il rifugio Omio.
Torniamo alla casera di Spluga: la salita prosegue, da qui, su terreno aperto, luminoso, bellissimo, nel cuore dell’alta valle, chiusa a nord-est dalle cime della Merdarola (ben visibili alla nostra destra), che la separano dalla valle omonima.
La traccia si fa meno evidente, ma qualche segnavia ci aiuta a trovare la giusta direttrice: dopo un primo tratto di salita quasi in verticale, pieghiamo un po’ a sinistra,
attraversando un torrentello
e raggiungendo un “calècc”, un baitello senza copertura del tetto (viene utilizzato all’uopo un telo azzurro).
Dopo una lunga salita, la pendenza si fa meno aspra, ed il sentiero inizia un percorso a saliscendi nell’anfiteatro che chiude la valle, seguendo la direzione nord-est.
Guardando a sinistra, vediamo, più in basso, il primo microlaghetto che costituisce il sistema dei laghi di Spluga (m. 2108). Oltrepassato questo primo laghetto, ben presto incontriamo
una terza casera. Davanti a noi si mostrano, ormai, con chiarezza le due cime regine della valle: la cima del Desenigo, a sud (m. 2845, alla nostra sinistra) e la cima del Calvo, o monte Spluga, a nord (m. 2967, alla nostra destra, punto di congiunzione delle valli di Spluga, dei Ratti e Ligoncio). Alle spalle della casera sono facilmente riconoscibili anche i passi gemelli collocati fra le due cime, a distanza ravvicinata: il più noto passo di Primalpia, a sinistra, e quello meno praticato, che il Galli Valerio propone di chiamare passo di Talamucca, ma che ora viene denominato bocchetta di Spluga, a destra: entrambi danno accesso alla Valle dei Ratti.
Oltrepassata anche questa casera, lasciamo alla nostra sinistra
il secondo microlaghetto, detto lago medio.
Infine, dopo aver attraversato un pianoro paludoso, nascosto dietro balze rocciose dalle forme bizzarre, ci appare, improvviso e bellissimo
l’ultimo e più grande dei laghi, il lago superiore di Spluga, a quota 2163; sopra di esso sono ben visibili la bocchetta di Spluga ed il monte Spluga, o cima del Calvo.
Sulla sponda opposta del lago, rispetto al punto in cui ci troviamo, si trova una quarta ed ultima casera.
 
Superati, dopo circa quattro ore di cammino, circa 1480 metri di dislivello, non possiamo che concederci un meritato riposo, gustando fino in fondo la riservata ed intatta bellezza dell'alta valle di Spluga: un’esperienza impagabile, per certi versi unica.
non possiamo che concederci un meritato riposo, gustando fino in fondo la riservata ed intatta bellezza dell'alta valle di Spluga.
Se abbiamo ancora energie da spendere, possiamo proseguire verso il passo di Primalpia. Il sentiero, sempre segnalato dalle bandierine rosso-bianco-rosse, piega a sinistra, superando un dosso e passando sul versante destro (sinistro, per noi) della valle, per inerpicarsi sul suo fianco (c’è un passaggio un po’ esposto, sopra una placca: attenzione!).
I segnali indirizzano al passo del Colino, che scende in Val Toate e da Poira, sopra Roncaglia (costiera dei Cech); per raggiungere il passo di Primalpia, sempre ben visibile davanti a noi (mentre il passo di Colino rimane nascosto ai nostri occhi)
dobbiamo, però, lasciarli, poco dopo aver superato i passaggi più aspri, piegando a destra, su una traccia di sentiero non segnalata (la traccia è labile e va seguita con attenzione).
Ad un certo punto compaiono dei bolli rosso, la sigla SI (Sentiero Italia)
e, alla fine,
le bandierine rosso-bianco-rosse: la meta è vicina! Dopo un ultimo facile passo, raggiungiamo il passo, posto a quota 2476 m e presidiato da un grande ometto.

Dal passo di Primalpia possiamo scendere in Valle dei Ratti, passando accanto ad un quarto laghetto (tale itinerario fa parte del Sentiero Italia, nel tratto rifugio Volta-Cataeggio). Lo scorcio di questa valle visibile da esso non è però particolarmente ampio. Molto più ampia è la visuale che da esso si può godere sulla media Valtellina. La salita al passo dal lago superiore richiede un'ulteriore ora di cammino, ma si può fare di più.
 
Appena sotto il passo, a sinistra, guardando verso la Valtellina,
si vede su un masso l'indicazione per il rifugio Volta: essa segnala la partenza di un sentierino che permette di raggiungere il passo gemello, cioè la bocchetta di Spluga (m. 2526),
dopo aver attraversato, nel primo tratto, una fascia di grossi massi che richiede una certa attenzione.
Tale passo si trova al di là di un evidente sperone che lo separa da quello di Primalpia, conduce anch’esso in Valle dei Ratti e permette di scendere al rifugio Volta. Poco più di venti minuti di cammino, e siamo al passo gemello, anch'esso sorvegliato da un grande ometto.
Qui il panorama è molto più suggestivo e raggiunge l’alto Lario.
Da Cevo alla bocchetta calcoliamo 5 ore e mezza - 6 di cammino, necessarie per superare circa 1850 metri di dislivello in salita: un’escursione effettuabile in una sola giornata, anche se con ottimo allenamento e con non poca fatica. In genere chi si avventura in Valle di Spluga, però, si ferma al lago superiore, una meta comunque eccellente, che ripaga delle fatiche richieste.
È necessario ora completare l’esposizione del principale itinerario escursionistico
con l’aggiunta di tre varianti principali, cui si è già accennato nella relazione.
La prima ha come meta Cerviso. Torniamo, quindi, a Ceresolo. Cerchiamo sulla destra (per chi sale), alle spalle di una delle prime baite, la mulattiera, segnalata da bolli color arancio,
 
che risale, sempre ben visibile, il largo e selvaggio vallone posto a nord-est di Ceresolo.
E', questa, una montagna che incute timore: la sua asprezza sembra non regalare nessuna lusinga
all'escursionista che vi si addentri, soprattutto nelle stagioni autunnale, invernale e primaverile.
Il sentiero sale ripido fino alla parte alta del vallone, dove questo va restringendosi,
fino a raggiungere le baite di Cerviso bassa, poste, a quota 1381,sul largo crinale che separa la valle di Spluga dal solco principale della Val Masino.
Procediamo, quindi, piegando a sinistra: raggiungiamo, così, le baite, lasciando alla nostra destra una fascia di massi che scende da una formazione rocciosa dall’aspetto arcano e suggestivo.
Qui troviamo il sentiero che prosegue nella salita, aggirando a sinistra la fascia di rocce e guadagnando
i 1480 metri delle baite di Cerviso alta,
poste al limite inferiore di un ampio prato.
La solitudine di questi luoghi ha qualcosa di inquietante e, insieme, di affascinante. Possiamo proseguire ancora: sul limite superiore del prato il sentierino, infatti, riparte, salendo lungo il crinale di un dosso che va restringendosi, finché, intorno a quota 1700, si riduce ad una stretta fascia di rocce. Il sentiero prosegue sul fianco destro del crinale, e, superata una bocchettina, conduce all'alpe Cavislone, sul versante settentrionale della Valle di Spluga:
è però sconsigliabile cercare di effettuare la traversata, perché se si perde la traccia di sentiero, si rischia di perdersi in luoghi fra i più aspri e dirupati della Val Masino. Possiamo, quindi, considerarci paghi di questa bella escursione che, in tre ore circa (superati circa 1000 metri di dislivello), da Cevo ci ha portato ad un incontro con la montagna meno nota, ma non meno affascinante.
Esaminiamo, ora, la seconda variante, che ha come meta la bocchetta della Merdarola e parte dalla quota di circa 1900 metri (segnalata solo da un ometto: non ci sono segnavia), poco al di sotto della più bassa delle casere di Spluga, cioè poco prima che il sentiero per l’alta valle esca dall’ultima fascia di bosco. Al casello diroccato già menzionato si prende a destra, cercando, sul limite del bosco, la partenza del sentiero
 
che sale gradualmente nel bosco, per poi uscirne
poco sotto la casera di Cavislone (m. 1987), nella valle omonima, laterale di nord-est della valle di Spluga.
Qui la solitudine la fa veramente da padrone: ben difficilmente, infatti, troveremo anima viva. Proseguiamo la salita, su traccia di sentiero, o a vista: appena oltre il bordo del dosso successivo, troviamo una seconda e più grande casera, posta a quota 2148, a nord della prima.
Dobbiamo, ora, sormontare un secondo dosso, procedendo, sempre su labile traccia o a vista,
sempre in direzione nord,
rimanendo sul margine di una fascia di massi che resta alla nostra destra.
 
Non è l’unico percorso possibile: la carta IGM ne segnala uno che aggira la medesima fascia sul lato opposto.
Rimanendo alla sua sinistra, comunque, giungiamo in vista di un evidente panettone erboso, la quota 2278, e risaliamo il suo fianco sinistro (occidentale), giungendo alle spalle della sua cima arrotondata, sormontata da un grande ometto.
La meta è la bocchetta della Merdarola: si tratta di una depressione poco marcata sulla costiera Cavislone-Merdarola, facilmente riconoscibile, però, perché è l’unico punto della costiera raggiunto da una lingua erbosa.
Proseguiamo
prendendo leggermente a destra ed attraversando il lembo orientale (sinistro) di un’ampia fascia di massi, per poi riguadagnare il terreno erboso e lasciare il corpo principale della fascia alla nostra destra. Un ulteriore strappo ci porta a guadagnare la sommità di uno sperone roccioso, ben visibile già dalla quota 2278. Qui giunti, ci troviamo, ad una quota di 2380 metri, proprio ai piedi della larga fascia di pascoli che, salendo, si restringe fino alla porta della bocchetta.
Gli scenari che abbiamo attraversato ci hanno già regalato ampie emozioni,
 
ma il panorama che si apre ora dai 2515 metri di questa stupenda porta
ci lascia senza fiato: dalla bocchetta si apre un ampio scorcio della sezione orientale del gruppo del Masino. Distinguiamo, da sinistra, il pizzo Ligoncio, la punta della Sfinge, i pizzi dell’Oro, la cima del Barbacan, le cime d’Averta, il monte Porcellizzo, la punta Torelli ed i pizzi Badile e Cengalo.
Siamo in cammino da circa 5-6 ore ed abbiamo superato un dislivello approssimativo in salita di 1850 metri.
Se abbiamo due giorni a disposizione, possiamo completare l’escursione effettuando un’elegantissima traversata al rifugio Omio per la valle della Merdarola e la bocchetta di Medaccio.
La discesa dalla bocchetta della Merdarola all’alta valle omonima avviene sfruttando il corridoio naturale che si apre su questa versante fra il fianco della costiera della Merdarola ed uno sperone roccioso parallelo.
 
Si tratta di un canalone un po’ ripido ed occupato da sfasciumi: si impone, quindi, una grande attenzione, anche se non ci sono passaggi esposti: l’unico pericolo, peraltro da non sottovalutare, è costituito dai sassi mobili.
Raggiunta un’ampia fascia di massi ai piedi della bocchetta, proseguiamo la discesa a vista (non ci sono segnavia, come già detto, né sull’uno né sull’altro versante),
assumendo una direttrice iniziale nord-nord-est,
poi nord:
ben presto giungiamo in vista di una casera,
che dobbiamo raggiungere su debole traccia di sentiero.
È la baita intermedia di tre baite poste in diagonale nell’alta valle della Merdarola, ed è posta a quota 1942 m. Qui troviamo un sentiero, segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi:
seguendolo in direzione della terza e più alta baita,
ci portiamo nei pressi
dell’evidente depressione della bocchetta di Medaccio, che separa la valle della Merdarola dalla val Ligoncio.
Superata una fascia di massi, possiamo calarci nel canalone della bocchetta, posta a quota 2303, con qualche cautela, ma senza grossi problemi.
 
Il resto della traversata al rifugio Omio, che vediamo già davanti a noi, è dettato dai segnavia, che non dobbiamo mai perdere di vista.
La traversata Cevo-Omio richiede circa 9 ore di cammino, necessarie per superare un dislivello complessivo di 2050 metri.
Ecco, infine, la terza variante, che passa per il passo del Colino orientale (m. 2414; Ercole Bassi, nella sua monografia sulla Valtellina, pubblicata a Milano nel 1890, riporta il toponimo "Culino", che si trova anche nella Val Corta in Val di Tartano e che deriverebbe dal latino "aquilinus", con nobile riferimento alla presenza delle aquile; l'alpe Culino, a valle del passo, caricava allora 45 mucche). Imboccato il sentiero per il passo di Primalpia, oltre il lago superiore di Spluga, continuiamo a seguire i segnavia rosso-bianco-rossi, senza deviare a destra per il passo. Proseguiamo, quindi, non verso ovest, ma verso sud-est, per aggirare lo sperone roccioso che dalla cima del Desenigo scende in direzione est.
Risalito un breve versante che costituisce la propaggine dello sperone,
ci ritroviamo nella parte alta di un’ampia conca. Sempre seguendo i segnavia ed una labile traccia di sentiero, effettuiamo la traversata della conca,
oltrepassando un largo vallone, per poi cominciare a piegare a destra,
per balze di roccette e pascoli.
Descritto un ampio semicerchio, ci troviamo ai piedi del passo senza nome di quota 2414, che dà accesso all’alta Val Toate, sul limite orientale della Costiera dei Cech: potremmo chiamarlo passo del Colino orientale (m. 2403; Ercole Bassi, nella sua monografia sulla Valtellina, pubblicata a Milano nel 1890, riporta il toponimo "Culino", che si trova anche nella Val Corta in Val di Tartano e che deriverebbe dal latino "aquilinus", con nobile riferimento alla presenza delle aquile; l'alpe Culino, a valle del passo, caricava allora 45 mucche). È, infatti, posto di fronte al più alto passo denominato passo del Colino (m. 2630), collocato sul versante opposto (occidentale) dell’alta Val Toate. Si tratta di una porta d’accesso alla Valle dei Ratti.
Chi volesse effettuare una traversata dall’un passo all’altro, tenga presente che l’itinerario passa per un’ampio e singolare pianoro ai piedi del conoide che scende dal passo più alto: la piana, che da qui non si vede, ospita due singolari monoliti, curiosi e suggestivi.
Fra essa ed il passo di Colino est, infine, si frappone un crinale che può essere valicato con un po’ di attenzione, oppure, con tragitto più lungo, aggirato ai piedi. Dal passo di Colino occidentale
si può scendere all’alpe Primalpia ed al bivacco omonimo, in Valle dei Ratti,
oppure rientrare, scendendo per un ampio vallone e risalendo sulla sinistra, nella Costiera dei Cech per il passo di Locino, a monte del bivacco Bottani Cornaggia,
che si raggiunge poi facilmente
seguendo i segnavia.
Noi, però, raccontiamo come concludere una possibile escursione di un giorno. Dal passo di Colino orientale, che abbiamo raggiunto in circa 5 ore e mezza di cammino da Cevo (il dislivello è di 1750 metri), scendiamo, seguendo i segnavia, nell’alta Val Toate: dopo un primo tratto in cui si distingue una traccia di sentiero, fino ai piedi del passo, la traccia tende a perdersi. Pieghiamo allora a sinistra, superiamo una fascia di massi,
poi seguiamo un ampio dosso erboso, traversando, infine, verso destra, fino a raggiungere l’unica baita dell’alta valle,
la baita Colino, a 1937 metri.
La successiva discesa all’alpe Pecc (m. 1613) ed al maggengo di Ledino (m. 1232) avviene su un comodo sentiero segnalato. A Ledino troviamo, infine, una pista che conduce a Poira, dove parte la strada asfaltata per
Roncaglia e Caspano. Da Caspano, per la strada di Valportola, si torna, infine, a Cevo, dopo circa 10 ore di cammino.

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