Apri qui una fotomappa del versante orientale della Valle del Bitto di Albaredo

Due giorni per chiudere un elegante anello escurionistico intorno al monte Lago, l'elegante erbosa cima che guarda, su tre versanti, ala bassa Valtellina, alla Val Corta in Val di Tartano ed alla Valle del Bitto di Albaredo. Una piramide a base molto larga che deve il suo nome ad un alpeggio sul versante della Valle del Bitto di Albaredo, il quale, a sua volta, deve il nome alla presenza di un microlaghetto. Un monte alle cui falde si stendono alcuni dei più begli alpeggi dedicati alla produzione del pregiato formaggio Bitto, una cima che si lascia facilmente salire, senza troppe ritrosie o difese, regalando un panorama superbo. Due giorni ben spesi, in fin dei conti, dedicati alla scoperta di sentieri noti e assai meno noti, fra gli angoli più suggestivi delle Orobie occidentali.


Rifugio Alpe Piazza e Monte Lago

1. DA TARTANO AL RIFUGIO ALPE PIAZZA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Tartano-Bratta-Casera del Pisello-Baita Freger-Passo del Culino-Alpe Pedroria-Rifugio Alpe Piazza
5-6 h
1180
EE
SINTESI. All’uscita della seconda galleria di Paniga (per chi proviene da Milano) della nuova ss 38 impegniamo alla rotonda la terza uscita (indicazioni: Forcola 3km, Tartano 14 km). Dopo poche centinaia di metri si lascia la strada Provinciale Pedemontana Orobica per prendere a destra (strada provinciale 11) ed iniziale a salire lungo l’aspro fianco del Crap del Mezzodì. Dopo dopo 10 tornanti attraversiamo una breve galleria scavata nella roccia e ci affacciamo alla Val Tartano. Altri due tornanti sx e dx ed entriamo a Campo Tartano, uno dei due nuclei principali della valle, passando a sinistra della chiesa di S. Agostino (m. 1060). Proseguiamo fino a Tartano ed imbocchiamo, all’uscita del paese, la stradina che si stacca dalla strada della Val Lunga, sulla destra, scendendo, con pochi tornanti, alla piana della contrada Biorca. Qui si trova un ampio parcheggio, dove è possibile lasciare l’automobile. Partiamo da una quota approssimativa di 1160 metri, incamminandoci sulla sterrata della Val Corta. La pista, dopo un primo tratto quasi pianeggiante, comincia a salire e porta ad una baita (destra) e ad un ponticello alla nostra sinistra. Ignoriamo il ponte, che serve a chi sale in Val di Lemma, e proseguiamo sulla pista, entrando in bassa Val di Lemma, fino a raggiungere un secondo ponticello, sulla sinistra, ed alcuni cartelli escursionistici. Dobbiamo prendere come punto di riferimento il cartello della G.V.O. (Gran Via delle Orobie), che dà l'alpe Pedroria a 3 ore, l'alpe Piazza a 3 ore e 20 minuti ed il passo di San Marco a 7 ore e 20 minuti. Imbocchiamo il sentierino che lascia la pista sul lato destro e sale al piccolo nucleo delle baite della Bratta (m. 1402). Seguiamo ora il sentierino che sale in verticale sui prati proprio alle spalle delle baite, puntando alla linea degli abeti. Ci allontaniamo dal solco della Valle della Bratta, alla nostra sinistra, e saliamo in diagonale verso destra, fra macchie di abeti e piccole radure. Il sentiero raggiunge così il valloncello che sta in mezzo al largo dosso fra Valle della Bratta e Valle Brusada, e lo supera da sinistra a destra, entrando in una splendida pecceta, che comincia a salire con ripidi tornantini. Superata una baita solitaria in una piccola radura, usciamo dalla pecceta ai prati della Casera Culino (m. 1789). Appena alle spalle della casera il sentiero supera una breve fascia di abeti ed esce ad una nuova fascia di prati, dove incontriamo una prima baita. Salendo verso destra siamo ad una seconda baita, la Baita Puàa (m. 1860). Oltrepassata la baita il sentiero prosegue nella salita attraversando una noiosa fascia di larici e macereti. Prestiamo attenzione a non perderlo. Dopo un quato d'ora circa la bassa vegetazione si dirada e ci affacciamo all'ultima ed amplissima fascia di pascoli, quella del Fregèr. Superata una prima balza incontriamo i primi barek, cioè i bassi muretti a secco che delimitano porsioni di pascolo. Ignoriamo una traccia che ci lascia traversando verso destra e saliamo leggermente verso sinistra, passando nelle porte dei muretti a secco, fino ad affacciarci alla conca che ospira il rudere della baita Fregèr (m. 2098). Il sentiero, segnalato da segnavia bianco-rossi, sale ora in terreno aperto, leggermente verso destra, sperando altre brevi balze, che ci portano in vista dell'evidente sella del passo o bocchetta del Culino o del Pisello (m. 2221), che raggiungiamo dopo un ultimo strappo su terreno più ripido, senza però particolari difficoltà. Dalla bocchetta, senza difficoltà, saliamo su sentierino seguendo il crinale meridionale del monte Pisello, cioè verso destra, ed in una decina di minuti siamo alla croce di vetta (m. 2272). Ridiscesi alla bocchetta del Culino o del Pisello imbocchiamo un sentierino segnalato che scende per un tratto verso sinistra, taglia un costone che scende dal monte Culino per poi traversare in diagonale il versante occidentale del medesimo monte, fra roccette e macereti. Il sentierino perde gradualmente quota e si affaccia all'ampia conca che si apre a sud-ovest del monte Culino ed appena a monte dell'alpe Pedroria, che ora vediamo più in basso. Inizia a scenderne il fianco con diversi tornanti, poi, raggiunto più o meno il centro della conca, piega a destra e supera una modesta collinetta, portandosi poco sopra le baite dell'alpe, che raggiungiamo facilmente in pochi minuti su terreno di pascolo. L'alpe Pedroria (m. 1929) è la più alta nel sistema di alpeggi a monte di Talamona. Seguendo le indicazioni per l'alpe Piazza, imbocchiamo il sentierino (dedicato alla memoria di Stefano Tirinzoni) che traversa verso sinistra (per chi guarda verso nord, cioè al versante retico), cioè verso nord-ovest, passando a lato di una piccola baita ed infilandosi in una sorta di corridoio all'uscita del quale, superata una specie di porta, si affaccia allo splendido e solare versante degli alpeggi di Albaredo. Per un tratto restiamo sul largo crinale di pascoli che separa la Valle di Albaredo dal versante a monte di Talamona, passando anche accanto ai ruderi di un calec'. Il sentiero, poco marcato, scende poi sul versante della Valle di Albaredo, fra radi larici, e con qualche svolta porta ad una baita che si trova a poca distanza da rifugio Alpe Piazza (m. 1835), che vediamo appena più a monte, cioè alla nostra sinistra.

Il primo giorno dell'anello del monte Lago è dedicato alla traversata da Tartano al rifugio Alpe Piazza, con facile salita alla cima del monte Pisello e transito per l'alpe Pedroria, nella parte alta del sistema degli alpeggi di Talamona. Il primo e più impegnativo tratto sfrutta il sentiero che sale alla bocchetta del Culino o del Pisello e che coincide con un tratto della variente bassa della Gran Via delle Orobie. Si tratta di un sentiero marcato, anche se in alcuni tratti bisogna prestare attenzione a non perderlo, perché il ripido e selvaggio versante occidentale della Val Budria non consente "fuori-sentiero". Vediamo come procedere.


Apri qui una fotomappa del sentiero che sale dalla Bratta al monte Pisello

All’uscita della seconda galleria di Paniga (per chi proviene da Milano) della nuova ss 38 impegniamo alla rotonda la terza uscita (indicazioni: Forcola 3km, Tartano 14 km). Dopo poche centinaia di metri si lascia la strada Provinciale Pedemontana Orobica per prendere a destra (strada provinciale 11) ed iniziale a salire lungo l’aspro fianco del Crap del Mezzodì. Dopo dopo 10 tornanti attraversiamo una breve galleria scavata nella roccia e ci affacciamo alla Val Tartano. Altri due tornanti sx e dx ed entriamo a Campo Tartano, uno dei due nuclei principali della valle, passando a sinistra della chiesa di S. Agostino (m. 1060). Proseguiamo addentrandoci sul versante orientale della valle e raggiungiamo Tartano (m. 1210). Passiamo così a sinistra della chiesa di San Barnaba e dopo un breve tratto imbocchiamo una stradina che scende a destra e porta alla frazione della Biorca (m. 1140). Qui parcheggiamo all'ampio spiazzo.


Pista di Val Corta

Alcuni cartelli escursionistici segnalano il sentiero 116 (Barbera è data a 30 minuti ed il passo di Lemma a 3 ore e 30 minuti), il sentiero 113 (il passo di Pedena è dato a 3 ore e 30 minuti) ed il giardino botanico delle Orobie, nostra meta, in bassa Val di Lemma, dato ad un'ora. Poco più avanti un rospo in legno presidia l'edicola del Parco regionale delle Orobie valtellinesi, che parla di “foreste e cime innevate, ultimi rifugi di galli cedroni e pernici bianche” e raccomanda, fra l'altro, di non raccogliere piante e fiori e di non abbandonare rifiuti. Ci incamminiamo su una pista sterrata e procediamo verso sud-ovest quasi a ridosso del ramo di Val Corta del torrente Tartano, che, alla nostra sinistra, non si stanca di far sentire la sua voce che domina il panorama sonoro della bassa Val Corta. Alla nostra destra, invece, una fascia di ripidissimi prati sui quali sta abbarbicata una manciata di baite, incuranti di Newton e della sua legge, a partire dal nucleo di Fognini. Seguito dalla Foppa e da Ca' Bona. Davanti a noi si staglia un curiosissimo picco boscoso, sul limite della costiera che separa Val di Lemma e Val Budria, conosciuto localmente come “Züch”.


Pista di Val Corta

La pista, dopo un primo tratto quasi pianeggiante, comincia a salire e porta ad una baita (destra) e ad un ponticello alla nostra sinistra. Ignoriamo il ponte, che serve a chi sale in Val di Lemma, e proseguiamo sulla pista, entrando in bassa Val di Lemma, fino a raggiungere un secondo ponticello, sulla sinistra, ed alcuni cartelli escursionistici. Dobbiamo prendere come punto di riferimento il cartello della G.V.O. (Gran Via delle Orobie: passa di qui la variante bassa che scende dalla bocchetta dall'alpe Pedroria sopra Talamona e dalla bocchetta del Pisello), che dà l'alpe Pedroria a 3 ore, l'alpe Piazza a 3 ore e 20 minuti ed il passo di San Marco a 7 ore e 20 minuti.


Dalla Bratta alla Casera di Culino, sulla base di Google Earth (fair use)

Imbocchiamo dunque il sentierino che lascia la pista sul lato destro e sale al piccolo nucleo delle baite della Bratta (m. 1402), una delle quali propone la tipica struttura della Val Tartano, con il piano-terra in muratura e quello rialzato con pareti di tronchi ad incastro sugli angoli (blockbau). Sulla facciata di una baita vediamo un dipinto di Madonna con Bambino.


Bratta

Seguiamo ora il sentierino che sale in verticale sui prati proprio alle spalle delle baite, puntando alla linea degli abeti. Ci allontaniamo dal solco della Valle della Bratta, alla nostra sinistra, e saliamo in diagonale verso destra, fra macchie di abeti e piccole radure. Il sentiero raggiunge così il valloncello che sta in mezzo al largo dosso fra Valle della Bratta e Valle Brusada, e lo supera da sinistra a destra, entrando in una splendida pecceta, che comincia a salire con ripidi tornantini. Superata una baita solitaria in una piccola radura, usciamo dalla pecceta ai prati della Casera Culino (m. 1789). Appena alle spalle della casera il sentiero supera una breve fascia di abeti ed esce ad una nuova fascia di prati, dove incontriamo una prima baita. Salendo verso destra siamo ad una seconda baita, la Baita Puàa (m. 1860).


Apri qui una fotomappa della salita dal Fregèr al passo del Culino

Oltrepassata la baita il sentiero prosegue nella salita attraversando una noiosa fascia di larici e macereti. Prestiamo attenzione a non perderlo. Dopo un quato d'ora circa la bassa vegetazione si dirada e ci affacciamo all'ultima ed amplissima fascia di pascoli, quella del Fregèr. Superata una prima balza incontriamo i primi barek, cioè i bassi muretti a secco che delimitano porsioni di pascolo.


Dalla Casera del Culino al passo del Culino, sulla base di Google Earth (fair use)

Ignoriamo una traccia che ci lascia traversando verso destra e saliamo leggermente verso sinistra, passando nelle porte dei muretti a secco, fino ad affacciarci alla conca che ospira il rudere della Baita Fregèr (m. 2098). Il sentiero, segnalato da segnavia bianco-rossi, sale ora in terreno aperto, leggermente verso destra, sperando altre brevi balze, che ci portano in vista dell'evidente sella del passo o bocchetta del Culino (su alcune carte, anche, bocchetta del Pisello, m. 2221), che raggiungiamo dopo un ultimo strappo su terreno più ripido, senza però particolari difficoltà. Dalla bocchetta, senza difficoltà, possiamo salire. in una manciata di minuti, su sentierino, seguendo il crinale meridionale del monte Pisello, cioè verso destra, alla croce di vetta (la "Crus" o, in Val Tartano, il "Piz Fregèr", 2272 m), dalla quale si può godere di un panorama molto ampio.


Clicca qui per aprire una panoramica dalla cima del monte Pisello

A nord, da sinistra, si propongono le cime della Costiera dei Cech, seguite dal gruppo del Masino, che si propone nella sua integrale bellezza, con i pizzi Porcellizzo (m. 3075), Badile (m. 3308), Cengalo (m. 3367) e del Ferro (occ. m. 3267, centr. 3289 ed or. m. 3234), le cime di Zocca (m. 3174) e di Castello (m. 3386), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occ. m. 3349, cent m. 3290, or. m. 3333), il monte Sissone (m. 3330) ed il monte Disgrazia (m. 3678), che si erge, maestoso, alle spalle del più modesto e vicino monte Piscino. Segue la testata della Valmalenco, che propone, da sinistra, il pizzo Gluschaint (m. 3594), le gobbe gemelle della Sella (m. 3584 e 3564) e la punta di Sella (m. 3511), il pizzo Roseg (m. 3936), il pizzo Scerscen (m. 3971) il pizzo Bernina (m. 4049), i pizzi Argient (m. 3945) e pizzo Zupò (m. 3995), la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882), ed il più modesto pizzo Varuna (m. 3453). Proseguendo verso destra, si scorge il gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Ron (m. 3136). Più a destra, il pizzo Combolo (m. 2900) chiude la sequenza delle cime visibili: il fianco orientale della Val di Tartano, infatti, impedisce di vedere il gruppo dell’Adamello e di intravedere le cime delle Orobie centrali.


Apri qui una panoramica dal sentiero che scende dal passo del Culino all'alpe Pedroria

In compenso, il colpo d’occhio su buona parte della Val di Tartano, ad est e a sud, è fra i più completi e suggestivi: si mostrano, da sinistra, tutte le cime più significative della Val Corta, i pizzi Torrenzuolo e del Gerlo, il monte Seleron, la cima Vallocci, la cima delle Cadelle ed il monte Valegino; il monte Gavet, il monte Moro ed il pizzo della Scala separano Val Lunga e Val Corta; segue la Val di Lemma, ramo orientale dell’alta Val Corta, divisa a metà dal pizzo del Vallone; ed ancora, il pizzo Foppone, che si innalza, puntuto, dietro il suo caratteristico avamposto boscoso, e, alle sue spalle, l’arrotondato monte Tartano; alla sua destra, un ampio scorcio della Val Bùdria, ramo occidentale della Val Corta, con il minuscolo pizzo del Vento, la cima quotata 2319 e, appena visibile, sull’angolo di sud-ovest, il monte Azzarini (o monte Fioraro); ad ovest, infine, vediamo, in primo piano, la cima gemella del monte Culino (“cülign”, toponimo che deriva da "aquilino"; è chiamato in Val Tartano "Piz Salinèr"), poi, buona parte del versante occidentale della Val Gerola, dietro al quale fa capolino l’inconfondibile corno del monte Legnone, che delimita, sulla sinistra, lo stupendo quadretto dell’alto Lario, che chiude questo giro d’orizzonte a 360 gradi.



Apri qui una fotomappa della discesa dalla bocchetta del Culino o del Pisello al Sentiero Tirinzoni

La discesa dalla bocchetta del Culino o del Pisello all'alpe Pedroria, successivo segmento della traversata, non è difficile, e sfrutta un sentierino segnalato che scende per un tratto verso sinistra, taglia un costone che scende dal monte Culino per poi traversare in diagonale il versante occidentale del medesimo monte, fra roccette e macereti. Il sentierino perde gradualmente quota e si affaccia all'ampia conca che si apre a sud-ovest del monte Culino ed appena a monte dell'alpe Pedroria, che ora vediamo più in basso. Inizia a scenderne il fianco con diversi tornanti, poi, raggiunto più o meno il centro della conca, piega a destra e supera una modesta collinetta, portandosi poco sopra le baite dell'alpe, che raggiungiamo facilmente in pochi minuti su terreno di pascolo.
L'alpe Pedroria (m. 1929) è la più alta nel sistema di alpeggi a monte di Talamona.


Apri qui una panoramica dall'alpe Pedroria

Questi luoghi sono legati all'architetto Stefano Tirinzoni, che molto collaborò con il FAI. Oggi il FAI si sta impegnando a valorizzare, tutelare e potenziare queste montagne, tutelando la biodiversità degli habitat naturalistici.


Dal Passo del Culino all'alpe Pedroria, sulla base di Google Earth (fair use)

Presso le baite dell'alpe troviamo alcuni cartelli. Il primo cartello, della GVO (ed è il cartello che ci interessa), dà l’Alpe Piazza a 20 minuti ed il passo di S. Marco a 4 ore e 20 minuti. Il secondo cartello, relativo al sentiero 162, segnala il sentiero che, alla nostra destra, scende all’alpe Madrera in un’ora ed a Cornello in un’ora e 30 minuti. Il terzo cartello, infine, anch’esso della GVO, indica il sentiero che abbiamo seguito scendendo, che porta appunto al passo del Pisello (in realtà bocchetta del Pisello), dato a 50 minuti, alla Val Budria, data a 2 ore e 20 minuti ed alla Val di Lemma, data a 3 ore e 10 minuti.


Apri qui una panoramica dall'alpe Pedroria

Imbocchiamo dunque il sentierino (dedicato alla memoria di Stefano Tirinzoni) che traversa verso sinistra (per chi guarda verso nord, cioè al versante retico), cioè verso nord-ovest, passando a lato di una piccola baita ed infilandosi in una sorta di corridoio all'uscita del quale, superata una specie di porta, si affaccia allo splendido e solare versante degli alpeggi di Albaredo. Il panorama che si apre è magnifico: lo sguardo raggiunge l'alto Lario, domina la Costiera dei Cech, abbraccia l'intero versante occidentale della Valle del Bitto di Albaredo ed in basso la luminosa distesa dei pascoli di alpe Piazza e Bairtidana.


Dall'alpe Pedroria all'alpe Piazza, sulla base di Google Earth (fai use)

Per un tratto restiamo sul largo crinale di pascoli che separa la Valle di Albaredo dal versante a monte di Talamona, passando anche accanto ai ruderi di un calec' (baitello con le sole mura perimetrali senza copertura, che veniva assicurata dai pastori con un telo spostato da un baitello all'altro). Il sentiero, poco marcato, scende poi sul versante della Valle di Albaredo, fra radi larici, e con qualche svolta porta ad una baita che si trova a poca distanza da rifugio Alpe Piazza (m. 1835), che vediamo appena più a monte, cioè alla nostra sinistra.
Il rifugio, in eccellente posizione panoramica, dispone di 24-30 posti letto. Per informazioni si può consultare il sito http://www.rifugioalpepiazza.it (oppure scrivere a nadiacavallo@libero.it o telefonare ai numeri 338 4647620, 338 4647620 e 335 7085054).
Al rifugio Alpe Piazza, nello splendido scenario dell'alpeggio che si stende ai piedi del versante occidentale del monte Lago, che da qui si mostra in tutta la sua eleganza, termina la prima giornata dell'anello che a questa cima è dedicato.


Apri qui una fotomappa della traversata all'alpe Piazza

1. DAL RIFUGIO ALPE PIAZZA A TARTANO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Alpe Piazza-Monte Lago-Passo di Pedena-Val Budria-Tartano
5 h
980
EE
SINTESI. D al rifugio Alpe Piazza (m. 1835) proseguiamo sulla Gran Via delle Orobie, verso il monte Lago, superando una valletta e portandoci all'alpe Lago ed al bivacco bivacco Legüi (1898). Lasciamo la Gran VIa delle Orobie prendendo a sinistra e proseguiamo su debole traccia verso sud-est fino a salire al crinale (grande ometto), seguendo il quale siamo facilmente alla cima del monte Lago (m. 2353). Ridiscesci verso il bivacco, ci rimettiamo sulla Gran Via delle Orobie procedendo verso sinistra, sul sentiero segnalato che traversa tagliando un ripido versante di radi larici e pascoli, per affacciarsi al ripiano alto dell'alpe Lago. Raggiungiamo così la baita di quota 1887 all'alpe Lago. Ignorato il sentiero che scende a destra, saliamo alla baita più alta di quota 1920, scendendo poi al baitone di quota 1909 e passando alla sinistra della baita quotata 1824. Dopo un tratto nel bosco usciamo ai prati della Stabiena (m. 1793), Segue un tratto impegnativo, fra petraie e ontani (passaggi attrezzati), che conduce alle soglie del circo terminale della Val Pedena, dove dobbiamo salire ad intercettare una larga mulattiera che sale dal fondovalle. Seguendola, saliamo ad un bivio segnalato da cartelli, e proseguiamo la salita fino ad una baita alta dove siamo ad un nuovo bivio al quale seguiamo il sentiero che sale a sinistra verso il passo di Pedena. Saliamo su traccia appena visibile ed intermittente (rari i segnavia) verso sinistra, per poi svoltare a destra e proseguire con altre svolte fino al manufatto di una teleferica ed alla baita di quota 2000. Qui prendamo la porta alla nostra sinistra e saliamo ancora con ampie svolte, si traccia di sentiero, fino all'ampia sella erbosa del passo di Pedena (m. 2234). Scendiamo in Val Budria e dopo un primo tratto a destra (sud-sud-est), pieghiamo a sinistra (est-nord-est), passando a destra di un ampio corpo franoso, fino a raggiungere, scendendo a zig-zag, verso la ben visibile baita isolata dei Pradelli di Pedena (m. 2024), dove si trova un bivio: prendendo a destra si segue la GVO che traversa l’alta valle e raggiunge la bocchetta che si affaccia all’alta Val di Lemma; prendendo a sinistra, invece, si scende in bassa Val Budria. Prendiamo, dunque, a sinistra (nord-nord-est), su sentiero ora ben visibile, lasciando la GVO e scendendo alle due baite di Saroden (m. 1974). Qui pieghiamo leggermente a destra (ignorando invece una traccia di sinistra, peraltro poco visibile), scendendo fino al limite di una fascia di ontani, nella quale il sentiero, molto marcato, si immerge, proseguendo nella discesa con qualche tornante. Raggiunto il limite basso della fascia, ci affacciamo ai pascoli del fondovalle, dove la traccia si va perdendo. Scendendo in diagonale, passiamo per la baita isolata di quota 1555 e puntiamo alla casera di Val Budria (m. 1488) sul limite basso dell’ampia conca che si stende ai piedi dell’ultimo gradino di soglia della valle. Qui troviamo la mulattiera che prosegue nella discesa della valle, rimanendo sempre a sinistra del torrente. Passiamo, così, bassi rispetto al bel nucleo di baite della Bratta (m. 1402). Alla contrada Bagini troviamo, ignorandola, la deviazione a destra per la Val di Lemma. La mulattiera diventa un tratturo, che porta alla pista carozzabile tracciata di recente dal parcheggio della Biorca. Percorrendola, siamo all’ampio slargo presso la località Biorca (m. 1165), sotto Tartano, dove recuperiamo l'automobile.


Apri qui una panoramica dall'alpe Piazza

Il secondo giorno dell'anello del monte Lago prevede di seguire la Gran Via delle Orobie o Sentiero Andrea Paniga, nella traversata degli alpeggi di Piazza e di lago, nella salita al passo di Pedena e nella discesa in Val Budria. Qui lasciamo la Gran Via delle Orobie, che traversa alla Val di Lemma, per scendere ineramente la Val Budria tornando infine a Tartano. In questa giornata è anche possibile salire facilmente alla cima del monte Lago.


Apri qui una fotomappa della traversata dalla bocchetta del Pisello alla cima del monte Lago

Dal rifugio Alpe Piazza il sentiero che procede verso il monte e, attraversato un torrentello, ci porta al baitone quotato 1898 metri, affiancato dal piccolo bivacco Legüi. Sul baitone è posto un cartello che celebra le fatiche di quanti, nei secoli, si sono dedicati alle attività legate all'alpeggio ed alla produzione casearia. Poco più in alto si vede la solitaria baita Tachèr.
Una sosta al bivacco ci permette di gustare il panorama, già da qui splendido, sulla bassa Valtellina e sul gruppo del Masino-Disgrazia, che, emergendo, quasi, dalla linea dei larici che si disegna, regolare, a monte del rifugio Piazza, offre un effetto di contrasto cromatico di rara suggestione.


Il rifugio Alpe Piazza ed il monte Lago

Dal bivacco proseguiamo, intercettando una traccia di sentiero che proviene dalla baita dell'alpe, nei pressi della quale non mancherà il suono dei campanacci: è, questa, una delle alpi più pregiate delle valli del Bitto, e qui nasce l'omonimo formaggio, il più famoso prodotto caseario valtellinese.
I due itinerari si congiungono, e conducono, oltre un dosso, ad una caratteristica conca, adagiata sotto il fianco settentrionale del monte Lago. Già, il monte Lago: ma come lo si riconosce? Non c'è problema: la sua piramide arrotondata ed armoniosa si impone allo sguardo, verso sud-est, fin da quando raggiungiamo la Corte Grassa, e rimane lì, davanti a noi, per nulla minaccioso, ma quasi invitante, con il suo crinale occidentale che solo nell'ultimissimo tratto si fa un tantino più ripido. Il suo nome deriva da quello dell'alpe omonima, dalla quale, però, non passiamo, perché si stende ai piedi del suo versante meridionale.
D'inverno ci conviene aggirare a valle la conca, perché talora si staccano dal fianco del monte piccole slavine.
In ogni caso la meta è il crinale occidentale del monte: d'estate la si raggiunge seguendo un sentierino che parte proprio dalla conca e raggiunge una bocchettina sul crinale, contrassegnata da un ometto, poco sopra i 2100 metri. Evitiamo di salire a vista, per non calpestare i preziosi alpeggi del Bitto.

Raggiunto, dunque, il crinale, pieghiamo a sinistra e cominciamo a salire, su traccia sempre abbastanza visibile. Il crinale propone solamente alcuni strappi, ma, nel complesso, è agevole. Gli ultimi sforzo ci portano alla croce della cima, a quota 2353, dalla quale il panorama, da ampio che era nell'alpe sottostante, si fa grandioso. Il monte, infatti, pur non essendo molto alto, è uno dei più panoramici delle Orobie occidentali, non avendo vicino a sé altre o costiere che sbarrino lo sguardo. Potremo così godere di un ottimo colpo d'occhio sulla catena orobica, sul gruppo del Masino-Bregaglia, sul monte Disgrazia e sul versante orientale delle Alpi Lepontine.


Apri qui una panoramica dal sentiero per il monte Lago

La carrellata delle cime merita di essere menzionata nel dettaglio. A nord, da sinistra, si propongono le cime della Costiera dei Cech, seguite dal gruppo del Masino, che si propone nella sua integrale bellezza, con i pizzi Porcellizzo (m. 3075), Badile (m. 3308), Cengalo (m. 3367) e del Ferro (occ. m. 3267, centr. 3289 ed or. m. 3234), le cime di Zocca (m. 3174) e di Castello (m. 3386), la punta Rasica (m. 3305), i pizzi Torrone (occ. m. 3349, cent m. 3290, or. m. 3333), il monte Sissone (m. 3330) ed il monte Disgrazia (m. 3678), che si erge, maestoso, alle spalle del più modesto e vicino monte Piscino.
Segue la testata della Valmalenco, che propone, da sinistra, il pizzo Gluschaint (m. 3594), le gobbe gemelle della Sella (m. 3584 e 3564) e la punta di Sella (m. 3511), il pizzo Roseg (m. 3936), il pizzo Scerscen (m. 3971) il pizzo Bernina (m. 4049), i pizzi Argient (m. 3945) e pizzo Zupò (m. 3995), la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882), ed il più modesto pizzo Varuna (m. 3453). Proseguendo verso destra, si scorge il gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248) e la vetta di Ron (m. 3136). Più a destra, il pizzo Combolo (m. 2900) chiude la sequenza delle cime visibili: il fianco orientale della Val di Tartano, infatti, impedisce di vedere il gruppo dell’Adamello e di intravedere le cime delle Orobie centrali.
In compenso, il colpo d’occhio su buona parte della Val di Tartano, ad est e a sud, è molto interessante, anche se non completo: si mostrano, da sinistra, tutte le cime più significative della Val Lunga, i pizzi Torrenzuolo e del Gerlo, il monte Seleron, la cima Vallocci, la cima delle Cadelle ed il monte Valegino; il monte Gavet, il monte Moro ed il pizzo della Scala separano Val Lunga e Val Corta; segue la Val di Lemma, ramo orientale dell’alta Val Cortadivisa a metà dal pizzo del Vallone; ed ancora, il pizzo Foppone, che si innalza, puntuto, dietro il suo caratteristico avamposto boscoso, e, alle sue spalle, l’arrotondato monte Tartano; alla sua destra la Val Bùdria, ramo occidentale della Val Corta, , di cui si vede, però solo la parte più alta, con il minuscolo pizzo del Vento, la cima quotata 2319 e, appena visibile, sull’angolo di sud-ovest, il monte Azzarini (o monte Fioraro); a sud vediamo il crinale che separa la Valle del Bitto di Albaredo, con, in primo piano, il monte Pedena e, alle sue spalle, il monte Azzarini; a sud-ovest e ad ovest, infine, vediamo il passo di S. Marco ed il crinale che separa le valli del Bitto; dietro di questo, si scorge buona parte del versante occidentale della Val Gerola e, sul fondo, l'inconfondibile corno del monte Legnone, che delimita, sulla sinistra, lo stupendo quadretto dell’alto Lario, con cui si chiude questo giro d’orizzonte a 360 gradi.


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Ridiscesci verso il bivacco, ci rimettiamo sulla Gran Via delle Orobie procedendo verso sinistra, sul sentiero segnalato che traversa tagliando un ripido versante di radi larici e pascoli, per affacciarsi al ripiano alto dell'alpe Lago.
Passiamo così per la baita quotata 1840 metri. Tagliamo, poi, il largo crinale che scende verso ovest-sud-ovest dalla cima del monte Lago, attraversando un versante piuttosto ripido e guadagnando gradualmente quota, fino alla baita di quota 1887, che appartiene già all’alpe Lago.


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Dalla baita, invece di scendere sulla destra, proseguiamo sulla sinistra, salendo ancora in direzione sud-sud-est, fino a giungere in vista della baita più alta dell’alpe, a quota 1920, posta sul limite destro di una bella conca erbosa, occupata da un enorme masso erratico. Più in basso, sulla destra, vediamo il baitone quotato 1909 metri. Ora, però, lasciamo per qualche minuto il percorso della traversata e prendiamo a sinistra, in direzione del piccolo circolo glaciale al quale accediamo dopo aver superato un breve corridoio. Qui troviamo il laghetto quotato 1931 metri (anche se a fine stagione può darsi che sia quasi prosciugato), una piccola perla, impreziosita dall’aria raccolta di questi luoghi. Piccola, ma non insignificante, se si considera che si tratta dell’unico specchio d’acqua nell’intera Valle del Bitto di Albaredo.


Baita di quota 1920 e monte Pedena

Guardando al versante montuoso che si innalza ad est, cioè al crinale che ci separa dalla Val Budria, a sinistra dell’elegante e poderosa cima del monte Pedena (m. 2399), noteremo il suo aspetto selvaggio e scosceso. Eppure sono questi i luoghi (soprattutto sul lato opposto, della Val Budria) che in passato erano frequentati dalle donne che cercavano di strappare faticosamente alla montagna erba preziosa per nutrire le poche bestie. Un tempo, infatti, si poteva incontrare qui molta gente. Non solo gli alpeggiatori (che ancora oggi caricano l’alpe), ma anche quelle contadine che venivano fin quassù spinte dalla necessità di integrare il foraggio per le poche bestie facendo erba alle quote più elevate. Venivano soprattutto dal versante della Valle di Albaredo, appoggiandosi al crinale a sud del monte Lago (lo vediamo, in alto, alla nostra sinistra) e scendendo alle balze più alte della Val Budria, scoscese e pericolose (vi fu anche qualche vittima).


Laghetto all'alpe Lago

Venivano a fare la “cèra”, cioè a tagliare quell’erba scivolosa e filiforme che, pur non avendo un particolare pregio come nutriente, consentiva pur sempre di integrare la scorta di fieno. Arrivavano sul far dell’alba, quando ancora si vedevano le sette stelle del “pradèr”, finché nel cielo non restava solo l’ultima stella, la stella del mattino, “la dì”. Per arrivare così presto dovevano partire, in gruppi di una ventina di donne, almeno un paio d’ore prima, verso le tre, nel cuore della notte, e camminare qualche ora. Tagliavano l’erba per diverse ore, calzando zoccoli ferrati che permettevano di ancorarsi meglio al terreno. La sera, con una trentina di chili d’erba nella gerla, se ne tornavano a casa, e così ogni giorno, per 10-12 ore, tutta l’estate e per buona parte dell’autunno (qualche volta addirittura fino a S. Caterina, il 25 di novembre, come racconta Orsola Petrelli, una testimone intervistata da Patrizio Del Nero, autore del bel volume “Albaredo e la Via di San Marco”, Editour, 2001).


Il Lago

L'alpe Lago

Torniamo sui nostri passi, alla baita di quota 1920, e scendiamo al baitone di quota 1909, proseguendo nella discesa seguendo la traccia che serpeggia in un canalone, fino al ripiano che ci propone, sulla destra, la baita di quota 1824. Non ci portiamo verso la baita, ma, proseguiamo verso sinistra, ignorando la deviazione sulla destra, che scende verso la parte bassa della Valle di Lago.
Il sentiero, attraversato un piccolo corso d’acqua, sale dapprima con andamento deciso, poi con pendenza minore; attraversato un corpo franoso ed un valloncello, entra nel bosco, per uscirne sul crinale che scende dal pizzo delle Piodere (m. 2206), la cima che, ad ovest del monte Pedena, presidia il limite sud-occidentale dell’alpe Lago. Siamo ai prati della Stabiena, e passiamo a monte della baita omonima (m. 1793). Poi il sentiero volge a sinistra (sud-est) e taglia, scendendo, il selvaggio, ripido e brullo versante che sul fianco occidentale del pizzo delle Piodere. Non dobbiamo assolutamente perderla, perché questo versante non può essere affrontato al di fuori del percorso. Dopo un primo breve tratto pianeggiante, esposto su un salto roccioso (attenzione!), la traccia comincia a scendere serpeggiando fra macereti, qualche rado larice, macchie di ontani, prati ripidi e valloncelli. A metà della discesa superiamo un nuovo tratto esposto; infine, dopo aver attraversato un’ultima macchia di ontani ed un valloncello, ci ritroviamo ad un rudere, sulla parte bassa del circo terminale della Val Pedena. In alto vediamo la larga sella sulla quale è posto il passo omonimo, il più agevole valico fra Valle del Bitto di Albaredo e Val Budria (Val Tartano).


Croce dell'alpe Lago

Da qui dobbiamo cominciare a salire, in diagonale, verso sud est, cercando la traccia di una larga mulattiera che sale dal fondovalle. Se, invece, volessimo scendere da qui verso la parte bassa della valle, abbreviando l’anello, teniamo conto che non è facilissimo trovare il sentiero. Regoliamoci così: torniamo all’ultimo valloncello che abbiamo attraversato prima del rudere, riportiamoci sul lato opposto e scendiamo rimanendo nei pressi del suo solco, che resta alla nostra sinistra: dopo una breve discesa, intercetteremo il sentiero, che scende verso destra, e che ci porta al limite inferiore di una larga fascia di ontani, scendendo un dossetto e scavalcando di nuovo da sinistra a destra il valloncello. L’ultima parte della discesa avviene a vista, con facile diagonale verso la strada provinciale e la Casera di Pedena.


Apri qui una fotomappa del sentiero che dalla Valle di Lago traversa in Val Pedena

Ma torniamo al nostro percorso. Seguendo la mulattiera, dopo aver superato un piccolo corso d’acqua raggiungiamo un gruppo di tre cartelli semidivelti, tutti della GVO (Gran Via delle Orobie), che segnalano un bivio, ad una quota approssimativa di 1860 metri. Nella direzione dalla quale proveniamo un cartello indica l’alpe Lago e l’alpe Piazza, data ad un’ora e 20 minuti (si tratta della variante bassa della GVO; per raggiungere questi alpeggi, però, non dobbiamo percorrere a rovescio l’itinerario di salita, ma portarci al rudere di baita con recinto e di qui imboccare il sentiero che effettua la traversata dalla Val Pedena alla Valle di Lago, a nord di questa). Un secondo cartello indica che proseguendo verso destra, cioè in direzione sud, ci si porta in un’ora all’alpe Orta ed in un’ora e 50 minuti al passo di San Marco. Il terzo cartello indica che prendendo a sinistra saliamo al passo di Pedena in un’ora e 10 minuti, iniziamo la traversata dell’alta Val Budria in un’ora e 40 minuti e quella della Val di Lemma in 3 ore e 30 minuti. È, questo, infatti, il punto nel quale la Gran Via delle Orobie si biforca in due rami: quello superiore, che sale al passo di Pedena, passa in Val Budria, effettua una traversata alta di questa valle e della successiva Val di Lemma, e quello inferiore, che, seguendo il nostro percorso a ritroso, raggiunge l’alpe Piazza e poi sale alla bocchetta del Pisello, dalla quale scende (ma la discesa non è affatto facile) in Val Budria.
Prendiamo dunque il sentiero di sinistra che sale al passo di Pedena.


Dalla baita di quota 2000 al passo di Pedena, sulla base di Google Earth (fair use)

Prendiamo, dunque, a sinistra, iniziando a salire verso est-nord-est (la traccia, qui, non si vede), per poi piegare a destra ed attraversare una sorta di corridoio erboso. C’è da dire che in questo punto della salita non è facile seguire la traccia, che gioca a rimpiattino; in ogni caso si può salire anche a vista, descrivendo una diagonale che tende gradualmente a destra: ci si ritroverà ad un ripido versante erboso che sale diritto alla sella del passo (lo si può sfruttare, ma è piuttosto faticoso), oppure, proseguendo nella diagonale verso destra, alla baita isolata di quota 2000, leggermente a destra rispetto al passo (non è indicata sulla carta IGM). Vediamo, comunque, come tentare di seguire la traccia fino a questa baita.
Qualche segnavia sbiadito ci fa salire per un tratto verso destra, poi svoltare a sinistra, e quindi di nuovo a destra. Giungiamo, così, in vista del manufatto che serviva alla teleferica ormai in disuso, e che testimonia l’importanza, in passato, di questo ampio alpeggio. Sulla destra, più in basso, vediamo anche un calecc. Ora bisogna tirare un po’ ad indovinare: c’è una svolta a sinistra (con successiva svolta a destra), ma non è facile vederla. Se la perdiamo, prendiamo come punto di riferimento una splendida pianetta erbosa, e cominciamo a salire ad qui diritti, superando con un po’ di fatica ma senza difficoltà alcune rocce montonate: alla fine, ad una seconda pianetta, intercettiamo di nuovo, ad una quota approssimativa di 1960 metri, la traccia, che proviene da sinistra, e la seguiamo verso destra. Qui è tornata ben visibile, in alcuni tratti scalinata, e si destreggia fra diversi affioramenti rocciosi.
Passiamo, così, alti, sulla verticale del manufatto della teleferica, attraversiamo un piccolo corso d’acqua e raggiungiamo l’ampia conca della piccola baita posta a quota 2000 metri, presso la quale vediamo un grande roccione ed un ampio recinto con muretto a secco. Sul lato meridionale (di destra) del muretto vediamo una porta e, su un masso, un grande rettangolo bianco. L’indicazione riguarda non la salita al passo di Pedena, ma alla bocchetta di quota 2175, che vediamo più in alto, leggermente a sinistra (non confondiamola con un intaglio nella roccia molto più marcato, a destra) al termine di un canalone abbastanza ripido, aperta fra il pizzo d’Orta a destra (m. 2183), scuro corno roccioso che sorveglia l’angolo sud-occidentale della Val Pedena, e i versanti rocciosi che scendono a nord dal monte Azzarini, a sinistra. L’indicazione è rivolta a coloro che intendono effettuare una traversata dalla Val Pedena all’alta alpe d’Orta, sfruttando proprio la bocchetta. Dall’alpe d’Orta, poi, ci si può portare sul crinale che scende verso sud-ovest dal monte Azzarini e, percorrendolo, guadagnarne la cima.
Noi, invece, dobbiamo, dalla baita, procede in altra direzione (nord-est), cioè portarci sulla porta di sinistra (oltre la quale si trova un segnavia bianco-rosso), ritrovando il sentiero che attraversa un corso piccolo d’acqua da destra a sinistra (il medesimo che abbiamo attraversato in direzione inversa, poco sotto). Proseguendo diritti, passiamo per una bella porta intagliata in un roccione e raggiungiamo un baitello diroccato a quota 2040; poi pieghiamo a destra, descrivendo un arco che ci porta a salire in direzione di un muretto a secco che sostiene un tratto del sentiero, a quota 2110 circa. Approdiamo alla fascia dei pascoli più alti, quando la traccia si perde saliamo per un tratto diritti zigzagando e la intercettiamo più in alto, in un punto nel quale tende a sinistra. Superato un piccolo gradino costituito da un masso, giungiamo in vista dei cartelli che, alti sopra di noi, segnalano il punto della sella nel quale è posto il passo.
Ora possiamo anche procedere tranquillamente a vista, fino ai 2234 metri del passo di Pedena, che raggiungiamo dopo circa 2 ore minuti di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 700 metri). Il panorama dal passo non è molto ampio. Più ampio è quello sul lato della Valle di Albaredo: davanti a noi vediamo l’ampio dosso di Bema e, alle sue spalle, il versante occidentale della Val Gerola. Sul fondo, uno scorcio dell’alto Lario, della alpi Lepontine e della Costiera dei Cech. Sul versante opposto, invece, il panorama è dominato dall’alta Val Budria. I due cartelli della GVO posti sul passo ci informano che nella direzione dalla quale siamo saliti la GVO scende fino al bivio sopra menzionato, proseguendo (a sinistra) per il passo di S. marco, che si raggiunge dopo 2 ore e 30 minuti (il passo di Verrobbio è dato, invece, a 3 ore e 20 minuti). Sul versante della Val Tartano, invece, la GVO effettua, in 3 ore, la traversata al passo di Tartano (per il circo alto delle valli Budrie e di Lemma), scendendo, poi, ai laghi di Porcile (dati a 3 ore e 20 minuti).
Inizia da qui la lunga discesa che ci riporterà a Tartano.


Apri qui una panoramica sulla bassa Valtellina dal passo di Pedena

All’inizio la discesa è un po’ ripida è un po’ripida: dopo un primo tratto a destra (sud-sud-est), pieghiamo a sinistra (est-nord-est), passando a destra di un ampio corpo franoso, fino a raggiungere, scendendo a zig-zag, verso la ben visibile baita isolata dei Pradelli di Pedena (m. 2024), dove si trova un bivio: prendendo a destra si segue la GVO che traversa l’alta valle e raggiunge la bocchetta che si affaccia all’alta Val di Lemma; prendendo a sinistra, invece, si scende in bassa Val Budria. Prendiamo, dunque, a sinistra (nord-nord-est), su sentiero ora ben visibile, lasciando la GVO e scendendo alle due baite di Saroden (m. 1974).


Apri qui una panoramica sulla Val Budria dal passo di Pedena

Qui pieghiamo leggermente a destra (ignorando invece una traccia di sinistra, peraltro poco visibile), scendendo fino al limite di una fascia di ontani, nella quale il sentiero, molto marcato, si immerge, proseguendo nella discesa con qualche tornante. Raggiunto il limite basso della fascia, ci affacciamo ai pascoli del fondovalle, dove la traccia si va perdendo.


Apri qui una fotomappa della Val Budria

Scendendo in diagonale, passiamo per la baita isolata di quota 1555 e puntiamo alla casera di Val Budria (m. 1488) sul limite basso dell’ampia conca che si stende ai piedi dell’ultimo gradino di soglia della valle. Qui troviamo la mulattiera che prosegue nella discesa della valle, rimanendo sempre a sinistra del torrente. Passiamo, così, bassi rispetto al bel nucleo di baite della Bratta (m. 1402). Alla contrada Bagini troviamo, ignorandola, la deviazione a destra per la Val di Lemma.


Baita ai Pradelli di Pedena

La mulattiera diventa un tratturo, che porta alla pista carozzabile tracciata di recente dal parcheggio della Biorca. Percorrendola, siamo all’ampio slargo presso la località Biorca (m. 1165), dove recuperiamo l'automobile.


Scendendo in Val Budria

Si chiude qui questo splendido anello in due giorni, denso di suggestioni e prodigo di soddisfazioni anche per gli escursionisti più esigenti.


Baita all'ingresso della Val Budria

GALLERIA DI IMMAGINI

CARTE DEI PERCORSI SULLA BASE DI © GOOGLE MAP (FAIR USE)

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