CARTE DEL PERCORSO - ESCURSIONI A PIATEDA - LA LEGGENDA DELLA CROCE DI AMBRIA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Agneda-Scais-Cornascio-Alpe Zocco-Passo del Forcellino
3 h
1020
E
Agneda-Scais-Cornascio-Alpe Zocco-Passo del Forcellino-Rifugio Gianmario Lucini-Baite Dossello-Ambria-Agneda
5-6 h
1250
E
SINTESI. Da Piateda saliamo alle frazioni alte ed a circa 5 km dalla partenza, troviamo, in località Monno, ad un tornante sx, la stradina asfaltata che se ne stacca sulla destra e si inoltra in Val Venina, tagliandone il selvaggio fianco orientale. Superata la località di Vedello, troviamo un bivio, al quale prendiamo a sinistra. Dopo un ultimo tratto abbastanza dissestato, siamo ad Agneda (m. 1228), a 10,5 km circa dal centro di Piateda. Procediamo poco oltre nella piana e parcheggiamo prima della pista che sale verso la diga di Scais. Seguiamo la carozzabile fino a trovare, sulla sinistra, le indicazioni che segnalano un sentiero che se ne stacca (segnavia rosso-bianco-rosso con numerazione 251). Passiamo su un ponte da destra a sinistra del torrente Caronno e proseguiamo sul marcato sentiero fino alla casa dei custodi della Diga di Scais (m. 1484). Il sentiero prosegue costeggiando il lato orientale del bacino, fino ad un bivio, segnalato da un cartello: qui prendiamo a destra, seguendo le indicazioni per il passo del Forcellino, e passando sotto il bell'edificio dell'ex-rifugio Guicciardi (m. 1549). Descriviamo, così, un arco che ci porta a superare, su un ponticello, il torrente Caronno, proseguendo verso l'imbocco della val Vedello, dove ci accoglie una gentile macchia di conifere. Seguiamo i segnava rosso-giallo-rossi, che ci guidano, in breve, fino al punto in cui il sentiero intercetta la pista sterrata che sale sul lato opposto della valle, rispetto alla mulattiera seguita, fiancheggiando il lato occidentale del bacino. Dobbiamo, ora, seguire per un buon tratt la pista che si addentra in val Vedello, oltrepassando la baita Cornascio, a 1599 metri. Dopo essere saliti per qualche tornante, lasciamo la pista, per imboccare un sentiero che se ne stacca sulla destra (segnalazione, su un masso, per l'alpe Zocco). Dopo un primo ripido tratto, raggiungiamo un tratto che, sempre mantenendo la direzione verso destra, assume un andamento più dolce, e ci porta alla baita dell'alpe Zocco, a 1814 metri. Ora dobbiamo di nuovo piegare a sinistra (sud-ovest), cominciando una lunga salita in diagonale, che ci porta in vista della sella sulla quale è posto il passo del Forcellino (m. 2245). La discesa nella valle avviene seguendo le indicazioni della Gran Via delle Orobie. Nel primo tratto procediamo in direzione nord-ovest, poi, a quota 1900 metri circa, pieghiamo bruscamente a sinistra (sud) e descriviamo un ampio arco quasi in piano che contorna la base della testata della Valle d'Ambria, portandoci sul suo lato occidentale per poi traversare verso nord alle baite Cigola ("la Scìgula", m. 1870), una delle quali è stata attrezzata come bivacco con brande e stufa (dal 16 settembre 2017 rifugio Gianmario Lucini).Qui lasciamo alla nostra sinistra la Gran Via delle Orobie che sale al Passo Brandà e proseguiamo nella discesa verso nord, portandoci gradualmente all'ampia piana del fondovalle. Seguendolo sul lato sinistro passiamo per le baite Dossello ("Dusèl", m. 1593). Percorriamo ora un pianoro che, nel periodo del disgelo o dopo abbondanti precipitazioni, si riempie d’acqua, diventando un lago, denominato lago di Zappello Dall'ampia piana di Zappello, infine, con facile discesa, che passa per la baita Zappello, raggiungiamo Ambria e proseguiamo nella discesa fino al bivio e risalire ad Agneda.


Apri qui una fotomappa della salita in Val Vedello

La Val Vedello ("Val dul Vedèl") non è una meta escursionistica particolarmente ambita: soffre, infatti, della vicinanza delle più note ed interessanti val Caronno (ad est), valle di Ambria e val Venina (ad ovest), tutte tributarie del torrente Caronno ("Val Caròn"). Ma chi ama setacciare sentieri e scenari e, soprattutto, chi desidera percorrere, magari in giorni e periodi diversi, il sentiero Bruno Credaro (segmento centro-orientale dell'Alta Via delle Orobie), non può mancare di visitarla.
Anticamente si chiamava Valle del Salto. Così la descive la Guida alla Valtellina edita dal CAI nel 1884: "La Valle del Salto, a sud di Scais, è breve e sale rapidamente. Nella prima alpe che si incontra i ricoveri son fatti sotto enormi rupi (corne) rotolate dall'alto, che servono di tetto. Da ciò il suo nome di Cornasch (m. 1680). Lasciata anche la seconda alpe detta Cargador (1750 m.), si arriva dopo non molto alla vedretta del Salto, ripida ma non difficile. Giunti quasi in cima ad essa, si volge a sinistra, e per un erto e lungo canale, che in estate suol essere sgombro di neve, si arriva, dopo circa tre ore di faticosa ascesa da Scais, al psddo del Salto (2600 m.), da cui un buon sentiero scende all'ampio bacino del Salto detto Campo (m. 1415) e a Fiumenero (780 m.) in Val Seriana. Il pizzo Ceri detto anche Pizzo del Salto che si eleva in fondo alla valle a oltre 2800 metri non è stato a quanto sappiamo salito". La presentazione identifica il pizzo del Salto con il pizzo oggi chiamato Ceric: in realtà sono due cime diverse.
Proponiamo, qui, un'escursione che non porta al ripido e faticoso passo del Salto, sopra descritto (che pure era, in passato, abitualmente valicato dai fedeli di Piateda devoti al santuario mariano di Ardesio), ma al più facile e panoramico passo del Forcellino (m. 2245), che si affaccia sulla Valle d'Ambria, ad ovest della Val Vedello, con possibilità di discesa a quest'ultima e ritorno ad Agneda chiudendo un bell'anello escursionistico (anche se un po' lungo e monotono nella parte finale).
Saliamo, allora, ad Agneda, partendo da Piateda, imboccando la strada per Piateda alta e staccadocene, sulla destra, quando, intorno a quota 600, troviamo una stretta carrozzabile che percorre il fianco orientale della bassa val Venina, fino ad un bivio, dove, ignorata la strada che, sulla destra, sale ad Ambria, proseguiamo sulla sinistra e, d
opo un ultimo tratto abbastanza dissestato, siamo ad Agneda (Agnéeda, m. 1228), a 10,5 km circa dal centro di Piateda. Il paese è posto all'inizio di un'ampia piana che precede l'imbocco della Val Caronno (Val de Caròn). La Guida alla Valtellina, edita dal CAI di Sondrio nel 1884, ci offre queste notizie della chiesetta di S. Agostino, testimonianza della vitalità antica del piccolo nucleo (a quel tempo abitato permanentemente, ora, da circa mezzo secolo, residenza solo stagionale): "Sull'arco della porta della chiesetta d'Agneda leggesi in numeri arabici la data 1424.14. M. ... Probabilmente ... essa si trasse da qualche documento, il quale provava che fin quel tempo esisteva quassù una chiesa".


Piana di Agneda

In passato Agneda (termine che deriva dal latino "agnus", agnello) non fu borgo insignificante: fu fondato, probabilmente nel secolo XIV, da pastori provenienti dal versante bergamasco (Val Seriana e Brembana) e, fin dal tardo medioevo, visse soprattutto dei commerci con il versante bergamasco dell'alta Val Seriana, legati soprattutto all'estrazione ed alla lavorazione di minerali ferrosi. Nel 1589, al tempo della visita pastorale del vescovo di Como Feliciano Ninguarda, vi dimoravano 35 famiglie, mentre il censimento del 1861 contò 27 abitanti, che venivano soprannominati "còòrf" (corvi). Qui vide la luce anche Giovanni Bonomi, valorosa guida alpina che, fra la fine dell'ottocento ed i primi del novecento, molto contribuì all'esplorazione di queste montagne.
Il nucleo fu abitato permanentemente fino alla metà circa del secolo XX. Al termine della seconda guerra mondiale si consumò il definitivo spopolamento, ed è interessante notare che metà dei suoi abitanti emigrarno nel varesotto.
Oltrepassate le case, proseguiamo per circa un km, attraversando l'ampio pianoro della media valle. Bellissimo e selvaggio lo scenario: sul lato di sinistra (est) esso è chiuso da un versante di ripidi pascoli, con roccioni e brevi macchie di conifere, che scende dalla punta della Pessa (m. 2472); sul lato opposto si vedono imponenti roccioni levigati dall'azione dei ghiacciai; sul fondo, infine, si presenta il gradino glaciale che introduce all'alpe di Scais (ora sommersa dall'omonimo bacino), oltre il quale occhieggiano le cime del Medàsc (m. 2647) e la Cima Soliva (m. 2710). Raggiunto lo slargo-parcheggio (con area di sosta attrezzata per il pic-nic) oltre il quale è vietato il transito ai veicoli non autorizzati (l'autorizzazione a salire fino alla diga è, però, acquistabile presso il municipio di Piateda
- Tel. 0342 370.221; Fax 0342 370.598; e-mail: acpiateda@provincia.so.it; orari di apertura: Martedì e giovedì:  ore 08:00 - 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00; Lunedì, mercoledì e venerdì: ore 08:00 - 14:00), parcheggiamo l'automobile e ci mettiamo in cammino.
Saliamo seguendo una pista che supera un gradino roccioso con qualche tornante ed un andamento piuttosto ripido, fino ad un ponticello, che ci permette di passare dalla parte destra (per noi) a quella sinistra della valle, ammirando anche il bello spettacolo di una marmitta dei giganti scavata dal torrente Caronno. Per la verità la pista prosegue sul lato destro, ma la mulattiera che troviamo sul lato sinistro rappresenta un'interessante variante per chi effettua l'escursione. Dopo una breve salita in una bella pineta, raggiungiamo, così, la casa dei guardiani della diga di Scais. Il bacino artificiale, dalla capienza di circa 9 milioni di metri cubi d'acqua, è posto a 1494 metri, a 3 km da Agneda, proprio alla confluenza della val Caronno e della val Vedello. Il sentiero prosegue costeggiando il lato orientale del bacino, fino ad un bivio, segnalato da un cartello: qui prendiamo a destra, seguendo le indicazioni per il passo del Forcellino, e passando sotto il bell'edificio dell'ex-rifugio Guicciardi (m. 1549). Descriviamo, così, un arco che ci porta a superare, su un ponticello, il torrente Caronno, proseguendo verso l'imbocco della val Vedello, dove ci accoglie una gentile macchia di conifere.
Seguiamo i segnava rosso-giallo-rossi, che ci guidano, in breve, fino al punto in cui il sentiero intercetta la pista sterrata che sale sul lato opposto della valle, rispetto alla mulattiera seguita, fiancheggiando il lato occidentale del bacino. Dobbiamo, ora, seguire la pista per un buon tratto, mentre sulla nostra sinistra possiamo godere di un bel colpo d'occhio sulla val Caronno. La pista si addentra in val Vedello, oltrepassando la baita Cornascio, a 1599 metri.
Dopo essere saliti per qualche tornante, in uno scenario dominato dall'imponente piramide del pizzo del Salto (m. 2665), lasciamo la pista, per imboccare un sentiero che se ne stacca sulla destra (segnalazione, su un masso, per l'alpe Zocco). Dopo un primo ripido tratto, raggiungiamo un tratto che, sempre mantenendo la direzione verso destra, assume un andamento più dolce, e ci porta alla baita dell'alpe, a 1814 metri.
Ora dobbiamo di nuovo piegare a sinistra (sud-ovest), cominciando la lunga salita finale che ci condurrà al passo del Forcellino. Sul lato opposto (orientale) della valle è il pizzo Gro (m. 2653) a dominare lo scenario, aspro e selvaggio. Più a valle, si notano ancora i manufatti della miniera di uranio, aperta e successivamente chiusa, che, negli anni passati, non ha certo giovano alla fama della valle. Per capire come andarono le cose dobbiamo retrocedere nel tempo all'autunno del 1973, quando la guerra del Kippur fra egitto e Siria da una parte, Israele dall'altra, determinò un repentino aumento dei prezzi del petrolio (più che triplicati in pochissimo tempo) ed alla successiva grave crisi energetica. Si aprì ben presto il periodo dell'austerity (così si diceva allora): il governo Rumor varò una serie di provvedimenti, quali il blocco della circolazione dei veicoli la domenica, la riduzione dell'illuminazione stradale e commerciale e perfino la chiusura anticipata dei programmi televisivi.


Val Caronno e Val Vedello

La crisi indusse il governo anche a cercare risorse alternative. Iniziò così un progetto di costruzione di centrali nucleari, che però, per funzionare, avevano bisogno di uranio. La ricerca sulle montagne italiane diede esito positivo in Val Seriana e, appunto, in Val Vedello, dove venne scoperta una vena che si stimò potesse fornire materia prima per alimentare per diversi decenni una grande centrale nucleare. Vennero quindi scavati diversi chilometri di gallerie, ed ancora si vedono le piste tracciate per servirle. Poi, però, negli anni Ottanta il vento cambiò. la svolta definitiva si ebbe con il referendum del 8-9 novembre 1987, nel quale la maggioranza degli Italiani si espresse contro la costruzione e l'utilizzazione di centrali nucleari. I lavori di scavo in Val Vedello si interrompono. Resta, muto testimone dell'intera vicenda, un versante che ne mostra ancora chiaramenti le tristi ferite. E resta la fama un po' sinistra della valle, perché sentir parlare di uranio e radioattività genera nella maggior parte delle persone un istintivo timore.


Il versante orientale della Val Vedello (apri qui per ingrandire)

Ma torniamo ai nostri passi. Il sentiero prosegue, tracciando una lunga diagonale, e ci porta in vista della sella sulla quale è posto il passo del Forcellino ("Buchéta dul Sfursilìì"). Qualche sosta ci permette di ammirare il volto ben diverso, più gentile, del lato orientale della val Caronno, dominato dal pizzo di Rodes (m. 2829). La presenza sempre più massiccia ed incombente del pizzo del Salto accompagna i nostri ultimi passi in direzione della sella. Ed è proprio da qui che la valle mostra nella forma più compiuta il suo volto arcigno, soprattutto sul suo versante orientale.
L'intero percorso, dal bivio fino al passo, è una parte della tappa del sentiero Bruno Credaro che porta dal rifugio Caprari, in valle del Livrio, al rifugio Mambretti, in val Caronno, passando, appunto, per la val Venina, la valle di Ambria e la val Vedello. Il passo è posto a 2245 metri, e ci introduce, sotto lo sguardo severo dei suoi guardiani rocciosi, all'alta valle di Ambria (o val Zappello), appena a monte di una conca nella quale riposta un piccolo specchio d'acqua.
La discesa nella valle avviene seguendo le indicazioni della Gran Via delle Orobie. Nel primo tratto procediamo in direzione nord-ovest, seguendo un largo avvallamento, poi, a quota 1900 metri circa, pieghiamo bruscamente a sinistra (sud) e descriviamo un ampio arco quasi che contorna la base della testata della Valle d'Ambria, con un primo tratto in piano, una salita ed un nuovo tratto in piano. Attraversiamo una fascia di terreno franoso e ci portiamo sul lato occidentale della valle per poi traversare su balze erbose verso nord
alle baite Cigola ("la Scìgula", m. 1870; l'alpeggio è già citato in un documento del 1474 come "Cigole Vallis"), una delle quali è stata attrezzata come bivacco con brande e stufa (dal 16 settembre 2017 rifugio Gianmario Lucini), utilissimo, quindi, come punto di appoggio in caso di necessità.
Il bivacco ricorda la splendida figura di un pensatore e poeta che ha tanto amato queste montagne. Sue le parole, che meritano un'attenta e profonda meditazione: "Saranno dunque i miti a possedere la terra / coloro che diranno: ”non facciamo più armi / non lavoreremo oltre il necessario, / vogliamo il nostro tempo per capire il / donde e il dove / vogliamo la dignità, non la ricchezza / non vogliamo sciupare nulla ma / prendere in prestito soltanto / chiedendo il permesso alla natura / per l’attimo che dura la nostra scintilla / nella magnifica notte dell’immensità / senza sogni da vendere o sogni da / comprare / vivi fino all’ultimo, eretti / con dignità davanti alla morte / salutando gli amici” / Così canteranno i miti / portando covoni di grano. / Canteranno i loro poemi / quando tornerà la bellezza dagli occhi / ridenti / alla fine d’ogni parola / al tramonto d’ogni ragione.” (da Gianmario Lucini, Sapienziali, CFR edizioni, Piateda 2013).


Apri qui una fotomappa della discesa dal passo del Forcellino in Valle d'Ambria

Attualmente (estate 2017) è dotato di cucina rustica, con camino (manca al momento la stufa ma probabilmente sarà a breve fornita dal comune di Piateda), fornello a gas, acqua corrente, (aperta nei mesi caldi), armadio pensile contenente i libri fra cui quello delle poesie di Gianmario Lucini, tavolo e due letti a castello, bagno con doccia (per ora fredda), camera contenente 2 letti a castello. Dispone anche di energia elettrica (pannello + batteria). Il rifugio è sempre aperto e incustodito.


Le baite Cigola ed il rifugio-bivacco Gianmario Lucini

Qui lasciamo alla nostra sinistra la Gran Via delle Orobie che sale al Passo Brandà e proseguiamo nella discesa verso nord, portandoci gradualmente all'ampia piana del fondovalle. Davanti a noi, a nord, la splendida cornice dei giganti della Valmalenco, i pizzi Roseg, Scerscen, Bernina. Argient e Palù.
Seguendolo sul lato sinistro passiamo
per le baite Dossello ("Dusèl", m. 1593), dove, d’estate, troveremo i pastori che caricano l’alpe. Percorriamo ora un pianoro che, nel periodo del disgelo o dopo abbondanti precipitazioni, si riempie d’acqua, diventando un lago, denominato lago di Zappello ("Làach dul Zapèl"), a 1502 metri (valle di Zappello - "Val dul Zapèl" - è anche il secondo nome, per così dire, della valle di Ambria). In passato il lago qualche volta a fine estate si alzava tanto da impedire per qualche tempo il ritorno delle mandrie dall'alpeggio, per cui le bestie erano costrette a nutrirsi di forglie di ontani e rametti di larice. Dall'ampia piana di Zappello, infine, con facile discesa, che passa per la baita Zappello, raggiungiamo Ambria, straordinario borgo orobico.


Discesa verso la piana di Zappello

Ecco come lo descrive la Guida alla Valtellina della sezione valtellinese del CAI (1884, II edizione): "Da Vedello, volgendo a destra, si sale in tre quarti d'ora, lungo un'angusta valle, ad Ambria (1360 m.), povero villaggio sepolto fra rupi, dove è una quiete che manca di fascino. Gli abitantidurante l'estate attendono ai pascoli e alla raccolta del fieno, nel lungo inverno fabbricano scale, sedie e culle, gerle e campaggi, e così traggono di che vivere. Il parroco è per essi sacerdote, maestro, medico e consigliere, ed è anche per gli alpinisti che visitano questi luoghi una vera provvidenza, perché presso di lui, che tiene osteria, possono sempre trovare modesto alloggio e di che mangiare."

Ecco come la Guida alla Valtellina della sezione valtellinese del CAI (1884, II edizione, a cura di Enrico Besta) descrive il borgo: "Da Vedello, volgendo a destra, si sale in tre quarti d'ora, lungo un'angusta valle, ad Ambria (1360 m.), povero villaggio sepolto fra rupi, dove è una quiete che manca di fascino. Gli abitanti durante l'estate attendono ai pascoli e alla raccolta del fieno, nel lungo inverno fabbricano scale, sedie e culle, gerle e campaggi, e così traggono di che vivere. Il parroco è per essi sacerdote, maestro, medico e consigliere, ed è anche per gli alpinisti che visitano questi luoghi una vera provvidenza, perché presso di lui, che tiene osteria, possono sempre trovare modesto alloggio e di che mangiare."


Val Caronno e Val Venina

Ambria è oggi abitata solo nei mesi della buona stagione, ma in passato ebbe grande importanza: nonostante la sua posizione di nucleo montano raggiungibile solo con lunga marcia dal piano o da altri nuclei di media montagna, godette, fin dal medio-evo, di grande vitalità, soprattutto grazie ai commerci con la bergamasca per le valli di Ambria (passo Cigola) e Venina (passo Venina), costituiti in gran parte dai minerali estratti in queste valli. Non stupisce, quindi, che Ambria sia menzionata, insieme ai comuni della Valtellina, nell'Estimo generale del 1531: da esso risultano case e dimore per un valore complessivo di 19 lire, orti che hanno un valore complessivo di 1 lira, 25 pertiche di campi del valore di 11 lire, 88 pertiche di prati e pascoli per 35 lire; boschi e proprietà comuni per 25 lire, una segheria del valore di 1 lira; il valore complessivo dei beni è valutato 96 lire (per avere un termine di paragone, il valore complessivo dei beni di Piateda è valutato 8253 lire, quello dei beni di Boffetto è di 2950 lire). Non stupisce neppure che, nel 1589 Feliciano Ninguarda, vi trovasse 20 famiglie (100-120 abitanti, con dato congetturale) e che vi fosse la vice-cura (viceparrocchia) legata alla chiesetta di San Gregorio. Ecco quel che scrive:
"A due miglia abbondanti da Piateda vi è la Valle detta di Ambria in cui trovansi due chiese, una nella contrada di Ambria, dedicata a San Gregorio, che è vicecurata soggetta all'arcipretura di Tresivio da cui dista otto miglia, l'altra fuori dall'abitato, dedicata a San Bartolomeo Apostolo: in questa vallata vi sono oltre venti famiglie cattoliche".


Ambria

L'antichità del borgo (testimoniato nel 1254; il Quadrio afferma che era già abitato nel secolo XI), nato molto probabilmente dalla colonizzazione di pastori provenienti, nel medio-evo, dal versante bergamasco, è, infine, testimoniata da ulteriori elementi. L'etimo, innanzitutto, peraltro incerto: forse è da un nome etrusco, "Amre" o dalla base prelatina "ad-umbrivo", nel significato di "in ombra"; forse è dalla radice germanica "ambr", per "acqua". Nel tardo medio-evo, infine, venne costituita la singolarissima (per il luogo) entità feudale del ducato di Ambria, che ricadeva nei domini dei Visconti di Milano (signori, dopo il 1335, della Valtellina), e vi fu eretto un castello, di proprietà della potente famiglia degli Ambria; ducato e castello non sopravvissero alla dominazione delle Tre Leghe Grigie, iniziata nel 1512. Restano, oggi, i ruderi della torre (Toor de Ambria), a sud di Ambria e ad ovest del sentiero per la Val Venina, un manufatto con base quadrata di 8 metri per lato.


Ambria e l'imbocco della Val Venina

Non fu però l'inizio di una decadenza verticale. Nel 1861 Ambria contava 83 persone mentre nel 1938 risiedevano permanentemente ad Ambria 224 abitanti, soprannominati "càa" (cani), secondo l'antica consuetudine di battezzare gli abitanti delle diverse frazioni di un comune con soprannomi vagamente denigratori.
Nel secondo dopoguerra iniziò un progressivo spopolamento. L'ultimo abitante a risiedervi stabilmente fu Arrigo Filippini. Dopo la sua morte (1958), il paese è rimasto per buona parte dell'anno deserto, anche se nella bella stagione la vita torna a rifiorire per le numerose famiglia che vi salgono per la villeggiatura.


Ambria

Portale medievale ad Ambria

Merita assolutamente una visita la chiesetta di san Gregorio, edificata nel 1615 su quel che restava di una chiesetta preesistente. Nei secoli passati vi era custodita una pregevole e grande croce in legno, ora nella casa parrocchiale di Fusine, croce legata ad una singolare leggenda. Nel Seicento la adocchiarono e rubarono, si narra, due abitanti della bergamasca, che si diedero alla fuga risalendo in tutta fretta a Val Venina. Prima, però, che potessero varcare il passo di Venina, il cielo si fece scuro e cominciò a piovere a dirotto, ma non comune pioggia, bensì una densa pioggia di sangue. I due furono colti da terrore di fronte a quel chiaro segno dell'ira divina e lasciarono la croce sotto una grande roccia, prima di proseguire la fuga. Gli abitanti di Ambria, scoperto il furto, vennero presi dallo sconforto, ma qualcuno udì un misterioso scampanellio, come di una capra che si fosse persa sulle balze delle Scale di Venina. Decisero di vederci chiaro e si incamminarono verso la valle. Lo scampanellio li precedeva, era sempre un po' più avanti, ma nessuna animale si vedeva, e così per l'intero solco della valle.


Il lago di Zappello in una fase di "minima"

Quando giunsero in prossimità della sua testata, là dove il sentiero si impennava per salire al passo di Venina, il suono si fece più debole e scomparve. Si fermarono, quindi, smarriti, ma qualcuno notò una sagoma nota sporgere da un roccione. Era la croce, e la recuperarono levando al cielo preghiere di lode e di ringraziamento. Oggi la croce torna nella chiesetta di Ambria solo in occasione della festa della Madonna della Neve, la seconda domenica di agosto.
Dopo una breve visita alla chiesetta di san Gregorio, edificata nel 1615 su quel che restata di una chiesetta preesistente, proseguiamo nella traversata. Da Ambria proseguiamo nella discesa fino al bivio e risalire ad Agneda, chiudendo un anello che richiede circa 6 ore e mezza di cammino. Possiamo però anche scegliere di tornare per la medesima via di salita. Calcoliamo, infine, circa tre ore e mezza di cammino da Agneda al passo (il dislivello è di circa 1020 metri).

CARTE DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE-MAP (FAIR USE)

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri).

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