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Verceia

Sul limite sud-orientale della Val Chiavenna e sulle rive del lago di Mezzola (o di Novate) si colloca il comune di Verceia (Varsceja), fino al 1770 vicinanza del contiguo comune di Novate Mezzola (Lezzeno superiore fino al secolo XVI),. Il paese che divide la sua vocazione fra le placide acque del lago e l’aspra roccia delle valli, ed è posto sull’ampio conoide alluvionale del torrente Ratti, che scende dall’omonima valle, il cui nome probabilmente rimanda alla nobile famiglia Comasca dei Ratti, che anticamente ne possedeva gran parte degli alpeggi.
Difficile dire quando per la prima volta questi luoghi conobbero la presenza umana. All’età del bronzo risalgono i graffiti rupestri con scanalature e coppelle rinvenuti su tre superfici rocciose presso il vicino nucleo di San Giorgio, nascosto dietro un imponente sperone che sta allo sbocco della Val Codera. Alla tribù celtica degli Aneuniati vengono altresì attribuiti due avelli scavati nel serizzo poco presso il cimitero poco a monte di San Giorgio, in un luogo significativamente chiamato, nell’uso locale, “sagràa di pagàn”. Altrettanto accreditata è però l’ipotesi che essi risalgano già all’età romana o longobarda.


Verceia

La romanizzazione della piana di Chiavenna e quindi anche di Verceia risale ai decenni a cavallo della nascita di Cristo, con le spedizioni di Publio Silio (16 a.C.) e Tiberio e Druso (15 d.C.). La disgregazione dell’Impero Romano d’occidente portò alle invasioni (o migrazioni, a seconda dei punti di vista) delle popolazioni germaniche e probabilmente Novate Mezzola fu inglobata, dopo il 489, nel regno ostrogoto di Teodorico, in quel medesimo V secolo nel quale si colloca la prima penetrazione del cristianesimo nella valle. Il paese fu inglobato nella pieve S. Fedele presso Samolaco, santo del ciclo romano, quello più antico. “La divisione delle pievi”, scrive lo storico Besta, “appare fatta per bacini… aventi da epoche remote propri nomi, come è infatti accertato per i Bergalei, i Clavennates, gli Aneuniates”. La pieve, dopo il mille, era, insieme a quelle di S. Lorenzo a Chiavenna, di S. Stefano di Olonio, di S. Lorenzo in Ardenno e Villa, di S. Stefano a Mazzo, di S. Eufemia o S. Pietro in Teglio, dei martiri Gervasio e Protasio in Bormio e Sondrio e di S. Pietro in Berbenno e Tresivio, uno dei poli fondamentali dell'irradiazione della fede cristiana.


La Foppaccia

L’offensiva Bizantina riconquistò probabilmente alla “romanità” la valle della Mera, anche dopo l'irruzione e la conquista dei Longobardi (568); nell'VIII secolo, però, con il re Liutprando il confine dei domini longobardi raggiunse il displuvio alpino, quindi anche Chiavenna, che divenne, allora, “una delle più importanti stazioni doganali del Regno d’Italia” (Besta), in quando posta in zona non lontana da territori di lingua tedesca: qui i mercanti d'oltralpe dovevano sostare e pagare un dazio corrispondente al 10% del valore delle merci. Tracce della presenza longobarda sono rinvenibili anche nei dialetti valtellinesi e valchiavennaschi ed il repertorio di termini che ad essa rimandano non è insignificante. Per citarne solo alcuni, di uso piuttosto comune, si possono segnalare "sberlüsc'" (lampo) e "matüsc'" (caciottella di formaggio molle), “güdàzz" (padrino), "sluzz" (bagnato), "balòss" (furbo, furfante), "maschérpa" (ricotta), "gnècch" (di malumore), "lifròch" (sciocco), "bütér" (burro), "scagn" (appoggio per mungere), "scràna" (panca), "scoss" (grembo) , "stracch" (stanco), “slendenàa” (ozioso), “menegold” (coste, bietole), “trincà” (bere), “slòz” (bagnato), “sgrafignà” (rubare), “snizà” (iniziare a mangiare), “grignà” (ridere), “scòss” (grembo), “gram” (cattivo, scarso), “maròs” (cespuglio, ontano), “schèrp” (contenitore), “stachèta” (chiodo per scarpe), “burnìs” (brace), “biótt” (nudo), “rüt” (sporco, rifiuto), “bródeg” (sporco), “ghèi” (soldi).


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Sconfitti, nel 774, i Longobardi da Carlo Magno, la valle della Mera rimase parte del Regno d’Italia, sottoposto alla nuova dominazione franca. Il paese, già infeudato al vescovo di Como, venne inglobato nel feudo di Lezzeno Superiore nel 803 da Carlo Magno. La frammentazione dell’Impero di Carlo portò all’annessione del Regno d’Italia a quello di Germania, il che conferì alla Valchiavenna un rilievo strategico primario, posta com’era quasi a cavallo fra i due regni. Con diploma del 5 ottobre 978 l’imperatore Ottone II donò al vescovo di Como le peschiere del Lago di Mezzola, e con esse la facoltà di giudicare e riscuotere tasse. Il 3 settembre 1024 l’imperatore Corrado succedette ad Enrico II, inaugurando la dinastia di Franconia, e confermò al vescovo di Como i diritti feudali sul contado di Chiavenna, oltre che sul contado di Mesolcina. Il nucleo di Lezzeno superiore (questo il nome di Novate e Verceia fino al secolo XVI) viene citato per la prima volta in atti altomedievali nella’espressione “loco et fundo Leucilio” (o Leuzolo o Lezini), nel 998, 1035, 1092. Questo locus et fundus comprendeva già le località abitate di Cillio, Vico, Villa, Vercelli (Verceia), alle quali il vescovo Alberico unì, nel 1013, la “villa nova”, cioè Novate. La prima menzione del nome del comune è dunque in un documento del 1092 (“fundo Vercelli”).


Vico

Nel secolo XI Novate e Verceia erano soggette alla signoria feudale del monastero di Sant’Abbondio di Como e furono affidate per l’amministrazione ai Vicedomini, come confermato dall’imperatore Enrico VI nel 1193. Successivamente, per decreto dell’imperatore Federico II, furono ceduti ai de Lucino, ai quali furono confermati nel 1260 dal vescovo Raimondo della Torre. Novate e Verceia appartenevano al Contado di Chiavenna, che era articolato nella giurisdizione di Chiavenna, comprendente il comune di Chiavenna e i comuni esteriori di Mese, Prata, Gordona con Menarola, Samolaco, Novate con Verceia, nella giurisdizione di Piuro, comprendente il comune di Piuro e la terra di Villa, e nella Val San Giacomo, divisa in dodici quartieri raggruppati nei tre terzieri di fuori, di mezzo, di dentro. È questo il periodo nel quale prendono forma le istituzioni comunali e dalla fine del XII al XVI secolo Novate e Verceia costituirono un unico comune con il nome di Lezzeno superiore.


Frasnedo

Il comune, articolato in cinque cantoni (Novate, Campo, Verceia, Codera e Cola con San Giorgio), eleggeva, a suffragio diretto e con voto palese, i sindaci e campari nel giorno di San Silvestro di ogni anno; il primo giorno dell’anno i sindaci dei cantoni nominavano il console, che rappresentava l’intera comunità nel consiglio di giurisdizione di Chiavenna e che nella maggior parte dei casi apparteneva al cantone di Codera, il più popoloso. Il console ed i sindaci dei cantoni in riunione collegiale davano vita al consiglio dei cinque cantoni o consiglio della comunità. Il sindaco esercitava i propri poteri nei cantoni ascoltando il parere dei capifamiglia. Il console, eletto in genere a maggioranza o, più raramente, estratto a sorte, era subordinato ai sindaci dei cantoni, liquidava i conti in sospeso, applicava le gride del contado ed alla fine del mandato doveva rendere conto di ogni transazione economica e decisione presa di persona. Sempre il giorno di San Silvestro venivano scelte altre cariche, lo “scoditore del dazio stradale”, il “provisionario” e lo “stimatore” ed i “campari”. Questi ultimi, in media due per cantone, vigilavano sul rispetto dei prati, vigne, campi coltivati, selve, e sul bestiame.


Frasnedo

Queste istituzioni, confermate dalle Tre Leghe Grigie nel periodo del loro dominio su Valtellina e Valchiavenna (1512-1797), furono soggette ad evoluzione. In particolare, nell’ultimo scorcio del XVIII secolo l’elezione dei campari passò di fatto ai sindaci del cantone, mentre il consiglio si limitava a dare il proprio placet. Il provvisionario, eletto annualmente, controllava il prezzo delle derrate per evitare le frodi. Gli stimatori, anch’essi eletti annualmente nel numero di uno per cantone, determinavano il valore dei terreni interessati da compravendita. I sindaci dei morti, due per parrocchia, verificavano che il prete con cura d’anime non officiasse meno messe rispetto a quelle pattuite con il consiglio di cantone; i sindaci della chiesa agivano di concerto con i parroci per l’acquisto di candele, costruzione di stabili per il culto o per la residenza degli ecclesiastici, compravendita di terreni: essi agivano a nome e su delega del consiglio. Nel 1335 Como, e con essa il contado di Chiavenna, vennero inglobate nella signoria milanese di Azzone Visconti, che ne confermò gli Statuti. Caduti i Visconti e terminata la breve esperienza della repubblica milanese (1477), “i Milanesi…accolsero per loro duce e signore Francesco Sforza, sotto il cui dominio i Balbiano conservarono il feudo di Chiavenna” (Guler von Weineck, “Raethia”, Zugiro, 1616).


Verceia

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Di lì a poco, nel 1500, Ludovico, con la sconfitta di Novara, perse il ducato di Milano ad opera del re francese Luigi XII. Per dodici anni i Francesi furono padroni di Valtellina e Valchiavenna; il loro dominio, però, per dispotismo ed arroganza, lasciò ovunque un pessimo ricordo, cosicché il loro rovescio e l’inizio della dominazione delle Tre Leghe Grigie (1512) venne salutato non con entusiasmo, ma almeno con un certo sollievo. L’inizio della dominazione delle Tre Leghe Grigie coincise anche con un evento che cambiò la geografia della bassa Valchiavenna. Nel secondo decennio del secolo XVI la denominazione del comune di Lezzeno superiore cambiò in quella di Novate a seguito ad un’alluvione del “fiume di Verceia”, che seppellì l’antica Leuzolo (Lezzeno). Novate fece parte in epoca grigione come comune esteriore, insieme a Prata, Mese, Gordona, Samolaco, della giurisdizione di Chiavenna. Alla fine del XVI secolo Vico, Verceia, Scellio erano qualificati come “vicinanze del comune di Novate” e godevano di una certa autonomia amministrativa.


Frasnedo

Nel 1520, un’eccezionale alluvione mutò la geografia della parte terminale della bassa Valtellina, poi chiamata Pian di Spagna: il fiume Adda, che prima sfociava nel lago di Novate Mezzola, cambiò il suo corso ed andò ad immettersi direttamente nella parte terminale del lago di Como. Si interruppero, così, i collegamenti diretti via terra fra le valli dell’Adda e del Mera, il che poneva ai nuovi signori delle due valli un problema di non poco conto. Questi, infatti, intendevano sfruttare al massimo le due valli per la loro importanza nodale nell’asse dei commerci che univano la pianura Padana ai territori di lingua tedesca. Questo asse passava per Chiavenna, Verceia, Morbegno, i passi orobici, soprattutto quello di S. Marco, quindi per la bergamasca, dal 1428 territorio della Serenissima Repubblica veneta, alleata dei Grigioni: l’apertura della storica Via Priula nel 1593 conferma l’importanza economica di questi transiti. Il nuovo corso dell’Adda, però, imponeva alle merci di passare, con un largo giro, su territori controllati da Milano (il che voleva dire dagli Asburgo, che dei Grigioni, invece, erano storici nemici). Per evitare questo, i nuovi Signori Reti decisero di ripristinare una via diretta da Verceia a Monastero di Dubino, intagliandola nella viva roccia del Sasso Corbè, o Sasso di Verceia, l’evidente roccione che ancora oggi balza all’occhio di chi percorra la ss. 36 dello Spluga prima di raggiungere Verceia.


Verceia

Paolo Giovio, studioso comasco (1483-1552), nella Descriptio Larii lacus attesta, con queste sintetiche notazioni, il taglio di questa strada nella prima metà del Cinquecento: "Da Novato li Grisoni giù per li lati deli aspri sassi de la entrata d' Adda, han fatto una via per forza di intaglio, per poter venire a piedi nella valle Turena". Questo breve ma fondamentale raccordo fra le due valli passò alla storia con la denominazione di “Strada dei Cavalli”, perché questi cavalli vi transitavano carichi delle merci da e per l’Europa continentale.


Il rifugio Frasnedo e la Val dei Ratti

Giovanni Guler von Weineck, uomo d’armi e governatore per le Tre Leghe Grigie della Valtellina dal 1587 al 1588, nella sua celebre opera “Rhaetia” (Zurigo, 1616), ci offre ulteriori notizie sulla via dei Cavalli, raccontando anche un episodio che testimonia l’asperità e pericolosità del tracciato: “Da Bocca d'Adda si può andare a Riva, in cima al lago, sia per nave che per terra. Veramente, in passato non esisteva alcuna via di terra; per altro, quando questo territorio passò sotto il dominio dei Grigioni, questi costruirono una strada sull'angusto ciglione della montagna, che s'innalza quasi a picco sul lago; ma questa strada è sassosa, stretta, pericolosa e in molti punti si dovette intagliarla nella viva roccia. Subito a fianco della strada. la montagna strapiomba nel lago. il quale è qui in parecchi punti profondissimo: perciò accaddero sino ad oggi irreparabili disgrazie, con perdita di vite umane e di ricchezze. Nè io posso ricordare senza raccapriccio come l'anno 1613, nel mese di luglio, il mio amato genero Alberto Vespasiano Salis, podestà di Morbegno, gentiluomo giovane, dabbene e di belle speranze, precipitò dalla via col suo cavallo: e la disgrazia accadde così repentinamente che il suo servo non potè prestargli soccorso, ma solo perdere con lui la vita nel lago. Vero è che il servo lanciò grida ed invocazioni di soccorso; ma prima che fossero intese, così lui che il padrone, il quale, nuotando con stivali e speroni, aveva perduto per primo le forze, erano calati a fondo. Più tardi. per grazia di Dio, Vespasiano venne ripescato, quasi miracolosamente, con opportuni ordigni e trasportato a Chiavenna; ivi, con nobile corteo di tutti i cittadini di Chiavenna e di altre persone del contado, egli venne tumulato con grande rimpianto nella tomba gentilizia dei Salis, dove ora la sua salma riposa, in attesa di risorgere l'estremo dì del mondo per l'eterna beatitudine e di ricongiungersi con la sua anima trionfante nel paradiso.” Alla strada dei Cavalli G. Scaramellini ha dedicato lo studio “La strada dei cavalli: storico tracciato stradale della bassa Valchiavenna.” (Verceia, 2002).


La Foppaccia

Nel 1526 le Tre Leghe Grigie, dopo lo sventato tentativo del 1525 di Gian Giacomo de Medici (detto “il Medeghino”) di riconquistare Valtellina e Valchiavenna per il Ducato di Milano, disposero la distruzione di tutte le fortificazioni delle due valli, non avendo la possibilità di presidiarle. Vennero così distrutte anche le due foritificazioni nel territorio di Novate, vale a dire il “Castrum Novati”, all’imbocco della Val Codera, ed il “Castrum Mezolae”, alla Riva.
Nella seconda metà del Cinquecento matura lo scenario di progressiva tensione fra i signori reti e le genti di Valtellina e Valchiavenna in conseguenza del disegno strategico dei primi, volto a favorire la diffusione della fede riformata nelle valli dell’Adda e della Mera.


Frasnedo

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La tensione esplose nel successivo secolo XVII, secolo dalle tinte decisamente più cupe e drammatiche rispetto ai precedenti. Un anno, sopra tutti, merita di essere ricordato come funestamente significativo, il 1618: in Europa ebbe inizio la Guerra dei Trent’Anni, nella quale Valtellina e Valchiavenna furono coinvolti come nodi strategici fra Italia e mondo germanico; a Sondrio, al colmo delle tensioni fra cattolici e governanti grigioni, che favorivano i riformati in valle, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture; la medesima sera della sua morte, il 5 settembre 1618, dopo venti giorni di pioggia torrenziale, al levarsi della luna, venne giù buona parte del monte Conto, seppellendo le 125 case della ricca e nobile Piuro e le 78 case della contrada Scilano, un evento che suscitò enorme scalpore e commozione in tutta Europa.


Vico

Due anni dopo, il 19 luglio del 1620, si scatenarono la rabbia della nobiltà cattolica, guidata da Gian Giacomo Robustelli, la sollevazione anti-grigione e la caccia al protestante, nota con l’infelice denominazione di “Sacro macello valtellinese”, che fece quasi quattrocento vittime fra i riformati. Il “macello” non toccò la Valchiavenna, dove le tensioni fra le due confessioni erano decisamente minori ed il rapporto con il governo grigione meno conflittuale (il che non significa del tutto tranquillo). Fu l’inizio di un periodo quasi ventennale di campagne militari e battaglie, che videro nei due schieramenti contrapporsi Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra. La Valchiavenna, che non aveva contribuito al massacro dei protestanti, ne rimase comunque coinvolta, anche se meno significativamente. Gli Spagnoli, infatti, partendo dal forte di Fuentes, edificato nel 1603, vennero in soccorso ai ribelli cattolici ed occuparono Chiavenna nel 1621. Provvedettero subito (1620) alla ricostruzione degli strategici castelli di Riva e di Codera, smantellati poco meno di un secolo prima dalle Tre Leghe Grigie, e costruirono un fortino presso Montagnola.


La mulattiera della Valle dei Ratti

Seguì una breve parentesi che vide la comparsa delle truppe pontificie, che dovevano interporsi fra le due parti in conflitto. Il presidio del forte della Riva e del Castello di Codera fu assegnato al sergente maggiore Tommaso Adami di Fermo ed in seguito a Gerolamo Scalamonti, alle dipendenze di Niccolò Guidi marchese di Bagno. Il 16 febbraio 1625 si combattè, a Campo di Novate, la battaglia di Campo, in conseguenza della quale gli Spagnoli, che vi erano presidiati, decisero di ritirarsi sul lato opposto del torrente Codera, lasciando Campo in mano alle milizie del Coeuvres. Le truppe franco-veneto-sabaude della Lega d'Avignone salirono da Campo a San Giorgio e tentarono un attacco con un drappello di 450 soldati agli ordini del capitano Ruinelli, partendo da San Giorgio, il 25 febbraio 1625. Traversarono da San Giorgio, attraverso Cola, Cii, a Codera, e di qui salirono alla bocchetta della Valfùbia, dove però furono fermati da 400 Imperiali. Nel marzo del 1625 gli Spagnoli dovettero cedere Chiavenna per l'offensiva convergente dei Grigioni e del marchese di Coeuvres, che risalì la Valchiavenna dopo aver ripreso la Valtellina. Una successiva battaglia presso il torrente Codera (30 maggio 1625) vide però vanificato il tentativo dei fanco-grigioni di sfondare in direzione delle fortificazioni spagnole. Gli Spagnoli rimasero così saldi nel Forte della Riva (collegato per via lacustre al poderoso forte di Fuentes) e nelle fortificazioni della Montagnola, i loro capisaldi strategici.


Verceia

Nel successivo settembre posero in atto una controffensiva. Furono le aspre montagne alle spalle di Novate e Verceia, in Val dei Ratti e Val Codera, il teatro di una brillante iniziativa del colonnello tedesco Pappenheim che, al servizio degli Spagnoli, combatteva contro Francesi e Grigioni. Partendo dalla riconquistata San Giorgio, 700 soldati, guidati dal Perucci, compirono un’ardita traversata dalla Val Codera, per il selvaggio vallone di Revelaso (furono necessarie scalette per superare i passaggi più critici) e la forcella di Frasnedo, scendendo poi a dalla Valle dei Ratti e qui qui a Verceia, per sorprendere alle spalle le truppe franco-grigione, che lì erano stanziate. La manovra riuscì in pieno. Francesi e Grigioni, presi alle spalle, lasciarono Verceia, che tenevano da qualche mese, e sgomberarono la bassa Valtellina fino a Traona. Si tratta dell’episodio passato alla storia come battaglia di Verceia (21 settembre 1625). La manovra voluta dal Pappenheim, che poi regalò un quadro celebrativo della sua vittoria alla chiesa di S. Fedele di Verceia, è così descritta nella “Storia della Valtellina” del Romegialli (1836): “All’impresa adunque di Campo e Verceja pose egli [Pappenheim] ordine, e dati settecento al cavaliere Perucci, questi, con alcuni di Valle Codera, prese le aclività di quel monte, e superandone l’altezza, non che la costa di quelli che dividono dall’altra Valle detta dei Ratti, d’onde uscivasi sopra Verceja, dopo due giorni e tre notti di periglioso arrampicarsi e marciare, prendevano alle spalle e ai fianchi gli alleati, senza che le scolte od alcun avamposto se ne accorgesse…”


Verceia

Nel successivo 1626 la tregua di Monzòn liberò Valtellina e Valchiavenna dagli eserciti delle due parti, ma di lì a poco, nel 1629, un nuovo flagello sarebbe sceso d'oltralpe, portando la più feroce epidemia di peste dell’età moderna, resa celebre dalla descrizione manzoniana. Non era certo la prima: altre, terribili e memorabili avevano infierito nei secoli precedenti. Scrive, per esempio, il von Weineck (op. citata): “L’aria, per tutta la Val Chiavenna, è buona e pura; soltanto è da osservare che, durante la calda stagione, il vento di sud apporta nel paese qualche impurità dalle paludi del lago… La peste qui infierisce di raro: ma quando principia, infuria tremendamente. Infatti quando essa, nel novembre del 1564, penetrò nella valle, distrusse in quattordici mesi i tre decimi della popolazione”. Ma quella del 1629 fu più tragica. I lanzichenecchi, al soldo dell'imperatore Federico III, scesero dalla Valchiavenna per la guerra di successione del Ducato di Mantova; alloggiati per tre mesi nel Chiavennasco ed in Valtellina, vi portarono la peste, che, nel biennio 1629-30, uccise almeno un terzo della popolazione (altri calcoli, probabilmente eccessivi, parlano di una riduzione complessiva della popolazione a poco meno di un quarto).


Lungolago a Verceia

Fu questa una svolta importante nella storia di Verceia. L’alta mortalità (calcolata nel 30% per il contado di Chiavenna, ma probabilmente assai maggiore a Verceia) e lo spopolamento richiamarono contadini da altri paesi, i “forést”. Pochi i sopravvissuti, per lo più insediati sul versante destro idrografico del torrente Ratti, dove sopravvive una delle due varianti del dialetto di Verceia, quella detta del bréc. L’altra variante, quella del brìc, si dovrebbe invece ai nuovi arrivati della Val San Giacomo. Secondo don Tarcisio Salice, studioso della storia di Verceia, nel 1672 vi dimoravano 164 anime (29 fuochi, cioè famiglie), e “molti erano venuti da fuori perché la maggior parte della gente di Verceia era morta per la peste”. Da Madesimo erano giunti i due cognomi più diffusi a Verceia, cioè i Copes (da Pianazzo) e gli Oregioni, ma anche i Pedroncelli e i Pilatti, che avevano trovato nei rigogliosi castagneti che caratterizzato la bassa Val dei Ratti un ambiente propizio per le attività contadine. Altri vennero dalla bassa Valtellina. Di questo tragico periodo è rimasta viva una leggenda che ne stempera le tinte fosche in un sorriso. Un suolo uomo sarebbe sopravvissuto alla peste, un contadino di Vico che viveva insieme ad un caprone talmente puzzolente, da aver neutralizzato anche il morbo mortale (questo schema si ripropone nelle varianti della celebre leggenda valtellinese del Tananài). Fu dunque lui a ripopolare il borgo.


Verceia

Neppure il tempo per riaversi dall'epidemia, e la guerra in Valtellina e Valchiavenna tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali; nel biennio 1635-37 Chiavenna fu di nuovo occupata dai Francesi. Poi, nel 1637, la svolta, determinata da un inatteso rovesciamento delle allenze: i Grigioni si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica. I Grigioni restaurarono l'antica struttura amministrativa, con un commissario a Chiavenna, un podestà a Morbegno, Traona, Teglio, Piuro, Tirano e Bormio, ed infine un governatore ed un vicario a Sondrio. Il trattato imponeva anche lo smantellamento dei forti eretti dopo il 1620, segnando così il destino dei forti di Riva e di Montagnola.


Foppaccia

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Nel “De rebus Vallistellinae” di don Giovanni Tuana (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione dal latino di don Abramo Levi), opera degli anni trenta del Seicento, troviamo questa descrizione del comune dopo le vicissitudini dei fatti d'armi di cui fu teatro: “La seconda cura di quel fianco si chiama Novato: ma avanti che s'arrivi a questa terra, si trova un luoco chiamato Riva del Lago, cioè una grande hostaria, dove si ripongono le mercantie che si imbarcano et sbarcano: luoco nominato et noto quasi a tutta l'Europa per le guerre passate, non havendo potuto le forze di Francia, de Reti con suoi confederati et Venetiani prevalere contra quella, con morte di gran gente et perdita di molti pezzi d'artiglierie, essendo il luoco quasi diffesso di sua natura. Novato è discosto da questa hostaria mezo miglio: è luoco del tutto infelice, perché ha pessima aria, le case destrutte, il territorio quasi del tutto inutile per l'aque. quali scendono dal vicino monte. ingeriscono ed impieniscono di sassi tutto il piano. Questa aqua è grossa e si chiama Codera. Ha alcune contrate simili, cioè Campo, Ceio, Verceio, luoghi del tutto destrutti da Francesi et Venetiani nella guerra già detta.


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ll territorio è tutto sottoposto a ruine et quasi inutile. Vivono di pescagioni, con legnami, quali dalli monti guidano per un torrente montano, qual viene dalla valle delli Ratti. La chiesa di Novato è parochiale et assai bella. V'è un'altra chiesa vecchissima puoco lontano da Verceio, alla ripa del lago. Sopra Novato, verso mattina, v'era un castello, del quale adesso si veggono li soli vestigij. Quivi incomincia la strada, per la quale si va nella Valle Codera per sentieri ardui et difficili et precipitosi, nascosta dopo altissima et dirupata rupe, nella quale vi sono due contrate, l'una chiamata Codera, l'altra Cola, alla quale si passa sopra ponte di legno angusti, sotto de quali in profondissimo et strettissimo letto strepita il fiume Codera, da quale il luogo ha il nome. Questi paesani, se bene hanno alcuni campi et prati, vivono più tosto con tagliar legni, quali guidati al lago et fatti in diversi usi, dalle terre del lago di Como. Da Leccio li rendono abbondante guadagno. Vi sono due chiese, una di S. Giorgio, l'altra è di S. Eufemia. Il luoco è viceparochiale ed è parte della communità di Novato. In questa valle habitò il beato Antonio lirinense et altri grandi santi, come scrive il beato Enodio, quali, per fuggire la vana gloria et lodi humane, per quei sassi passavano vita celeste. Il territoro di Novato [comunica con la Valtellina] con strada precipitosa et appogiata con legni alli scogli montani, sopra il Lario, qual conduce alle paludi di Bocca d'Adda. Et quivi termina il contado.”


Verceia

La seconda metà del secolo vede una lenta ma costante ripresa economica e demografica. “Grazie alla ricerca effettuata da Cristian Copes, pubblicata sul n° XLVII (2008) di Clavenna con il titolo “Un esempio di concessione di cittadinanza a Verceia nel 1759”, sappiamo, con certezza, che nel 1679 il consiglio generale del cantone di Verceia “si riunì quattro volte nelle piazze antistanti la chiesa di San Fedele ....... per accettare, in qualità di oriundi, diverse persone della val San Giacomo che, durante il periodo invernale, risiedevano a Verceia” (gli Scaramellini di Starleggia, i Guattini, i Maretoli, i Pellegrini, e i Rossotti di Pianazzo, i Pilatti di Scalcoggia, gli Andreoli e gli Sciaini di Isola, i Barincelli e i Tamburini di Madesimo). Nel 1759 il consiglio generale del cantone, con atto notarile, accolse come vicini 78 persone, tutte provenienti dalla val San Giacomo (gli Agosti. i Barincelli, i Barilani, i Barini, i Brottini, i Cerfoglia, i Copes, i Deghi, i Digoncelli, i Falcinella, i Fallini, i Fascendini, i Ghelfi, i Gianera, i Guattini, i Levi, i Lombardini, i “Magher”, i Manini, i Maretoli, gli Oregioni, i Pedretti, i Pedroncelli, i Pilatti, gli Scaramellini, e i Tamburini).” (Ghelfi Anna, Olivieri Ottavio, Bracchi Remo, “Dizionario etimologico del dialetto di Verceia – Al brìc” A cura dell’IDEVV, Sondrio, Tipografia Bttini, 2020).


Frasnedo

Nella seconda metà del Settecento lo storico Francesco Saverio Quadrio, nelle sue “Dissertazioni storico-critiche...”, offre questo sintetico quadro del comune: “Novato (Novatum) ebbe già sopra un Monticello contiguo un Castello: e ad esso Luogo aggiunti sono i Villaggi Mezzuola, o Mesola, detta pur Riva a motivo, che quivi è l'Imbarco, e lo Sbarco del Lario, Campo, Vercejo, Cejo, Vico, e Val Codera, dal Monte Codera sì nominata, dove nell'Ingresso della Valle sono Codera, e Cola.” In quel periodo, nel 1770 o nel 1771, si registra il distacco di Verceia dal comune di Novate.
Nel Settecento il malcontento contro il dominio delle Tre Leghe Grigie in Valtellina e Valchiavenna crebbe progressivamente, soprattutto per la loro pratica delle di mettere in vendita le cariche pubbliche. Tale vendita spettava a turno all'una o all'altra delle Leghe e chi desiderava una nomina doveva pagare una cospicua somma di denaro, di cui si sarebbe rifatto con gli interessi una volta insediato nella propria funzione, esercitandola spesso più per amore di lucro che di giustizia. Gli abusi di tanti funzionari retici, l'egemonia economica di alcune famiglie, come quelle dei Salis e dei Planta, che detenevano veri e propri monopoli, diventarono insopportabili ai sudditi.


Foppaccia

Non bisogna, peraltro, pensare che in Val Chiavenna i commissari grigioni avessero lasciato sempre un cattivo ricordo. Anzi, spesso operarono con tanta saggezza e senso di giustizia da meritarsi la riconoscenza dei Chiavennaschi, che eressero in loro onore sei portoni, ancora visibili al principio dell'Ottocento, a Bette, all'imbocco della strada per S. Fedele, sul ponte della Mera presso S. Rosalia, presso il ponte "di sopra", presso la chiesa di S. Maria (il "pórtón de sànta marìa" eretto in onore di Ercole Salis di Soglio, commissario fra il 1739 ed il 1741: ancora oggi lo si vede) e fuori Chiavenna, a Reguscio. Nondimeno, il barometro della popolarità dei governanti grigioni era, per così dire, in caduta libera ed annunciava tempesta. Il malcontento culminò, nell'aprile del 1787, con i Quindici articoli di gravami in cui i Valtellinesi (cui si unirono i Valchiavennaschi, ad eccezione del comune di S. Giacomo) lamentavano la situazione di sopruso e denunciavano la violazioni del Capitolato di Milano da parte dei Grigioni, alla Dieta delle Tre Leghe, ai governatori di Milano e, per quattro volte, fra il 1789 ed il 1796, alla corte di Vienna, senza, peraltro, esito alcuno.


Vico

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Pochi anni dopo la bufera napoleonica determinò la fine del dominio grigione su Valtellina e Valchiavenna, con il congedo dei funzionari Grigioni nel 1797. Dopo l’istituzione del Regno d’Italia (1805), il comune di Verceia, pur non comparendo nelle tabelle dei comuni del dipartimento dell’Adda nel regno d’Italia, compilò separatamente da Novate un prospetto statistico per gli anni 1804-1807. Nel 1807 figurava il comune denominativo di Verceia, con 450 abitanti totali, composto dalle frazioni di Vigo (80), Villa (80), Piana (290), compreso nel cantone VI di Chiavenna (prospetto dei comuni 1807). Nel 1815 (comparto 1 maggio 1815) Verceja figurava (con 416 abitanti) comune aggregato al comune principale di Novate, nel cantone VI di Chiavenna. Dopo il Congresso di Vienna venen istituito il Regno LombardoVeneto, soggetto all’Impero Asburgico, ed il comune di Verceja fu inserito nel distretto VII di Chiavenna. Verceja, comune con consiglio, fu confermato nel distretto VII di Chiavenna in forza del successivo compartimento territoriale delle province lombarde del 1844. Nel 1853 Verceia, comune con consiglio senza ufficio proprio e con una popolazione di 643 abitanti, fu inserita nel distretto IV di Chiavenna.


Frasnedo

La località Sasso Corbè (m. 240), cioè il versante roccioso strapiombante sul quale si inerpicava la già menzionata Strada dei Cavalli, è nota per un fatto d’armi che ebbe come protagonista Francesco Dolzino, celebre patriota chiavennasco, il quale, a capo dei patrioti che resistevano animosamente al fuoco degli Austriaci (moti del 1848), vi si asserragliò tenendo a bada il nemico con uno stratagemma: montò un tronco d'albero su una slitta e fece brillare dei mortaretti, per far credere che possedesse un cannone. Grazie a questo espediente, riuscì a sfuggire, con i circa 200 volontari da lui guidati, agli Imperiali. A quel tempo la strada dei Cavalli aveva perso la sua valenza strategica, in quanto il governo austriaco aveva incaricato l'ingegner Carlo Donegani di progettare il nuovo collegamento tra Colico e Riva di Chiavenna, tracciato nel 1834. L’episodio, comunque, entrò nel novero delle gloriose memorie risorgimentali, tanto che il poeta Giosuè Carducci dedicò, nella raccolta “Odi barbare”, ad esso una lirica famosa, ispirata ad una bottiglia di Valtellina del 1848, che gli amici di Medesimo gli donarono (anche se si trattava di uno scherzo, perché l’anno effettivo di imbottigliamento aveva le cifre invertite, essendo il 1884!):

"Per una bottiglia di Valtellina del 1848"

...E tu nel tino bollivi torbido

prigione, quando d'itali spasmo

ottobre fremeva e Chiavenna,

o Rezia forte! schierò a Verceja


sessanta ancora di morte liberi

petti assettati: Haynau gli aspri anni

contenne e i cavalli dell'Istro

ispidi in vista dei tre colori.


Rezia, salute! di padri liberi

figliola a nuove glorie più libera!

E' bello al bel sole dell'Alpi

mescere il nobil tuo vin cantando...”


Chiesa di San Fedele a Verceia

Ma la luce di questo atto di valore è almeno in parte offuscata dalla pesante ombra del sacco e della distruzione di Verceia voluta dal generale Haynau come feroce rappresaglia. In quel medesimo 1848 cadde a Morbegno il verceiese Sterlocchi Guglielmo combattendo contro le truppe Austriache.
Il primo prefetto di Sondrio del Regno d’Italia, Scelsi, curò una serie di statistiche nei comuni della Provincia di Sondrio. Il quadro demografico di Verceia viene qui di seguito riportato:


La Valle dei Ratti appartiene al comune di Verceia solo nella sua parte inferiore, approssimativamente parlando fino all’incantevole nucleo di Frasnedo (compresi quindi in nuclei della Foppaccia, di Casten, di Monte del Drogo e di Moledana), mentre gli alpeggi della parte alta, che ne costituivano l’ossatura economica, appartengono a Novate Mezzola. Nondimeno i Verceiesi hanno sempre sentito questa valle un po’ come la loro valle. Vi si registravano, alla fine dell’Ottocento, gli alpeggi di Codogno, con 35 vacche, Lavazzo, con 22 vacche, Nava, con 45 vacche, Primalpe (Primalpia) con 50 vacche, Muzzensago, con 37 vacche e Talamucca, con 70 vacche.
La popolazione di Verceia era di 744 abitanti nel 1861, 790 nel 1871, 819 nel 1881, 893 nel 1901, 961 nel 1911. Il 1911 è un anno segnato da una rovinosa alluvione del torrente Ratti, che distrusse molte abitazioni.

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Sul monumento che commemora i caduti presso le scuole ed il Municipio di Verceia sono riportati i seguenti nomi di caduti nella prima guerra mondiale: Copes Giacomo fu Battista, Copes Mosè, Curti Andrea, Curti Antonio, Curti Enrico, Della Bitta Filippo, Gianera Giovanni, Guanella Lorenzo di Lorenzo, Oregioni Fedele, Oregioni Nicolao, Pedrana Aurelio, Pilatti Filippo, Pilatti Gerolamo, Scaramellini Rinaldo, Scaramellini Virgilio e Sterlocchi Arturo.


Frasnedo

La situazione del comune fra le due guerre mondiali è ben delineata dalla Guida della Valtellina curata da Ercole Bassi (1928): “Per un paio di chilometri la strada fiancheggia il melanconico lago di Mezzola, le cui sponde sono in qualche punto invase dai canneti. Le alluvioni dell’Adda divisero coi secoli il lago di Como da quello di Mezzola, ora uniti da un canale detto Canal Morto. Si fecero verso la metà del XIX secolo degli scavi per approfondire il canale, e permettere il transito dei piroscafi. Ma il canale si insabbiava di continuo ed ora possono transitarvi, esclusi i tempi di magra, soltanto i barconi che caricano a Riva l’ottimo granito di S. Fedelino e lo trasportano, per Lecco e il Naviglio, a Milano e in altre città lombarde. Più oltre la provinciale passa sotto una breve galleria e giunge a Verceja (m. 205 – ab. 955 – Poste – Stazione Ferroviaria – R. C. - società agricola di consumo). La chiesa fu decorata di recente dal pittore Maggi di Carate Lario. Qui nell’ottobre 1848 un manipolo di Chiavennaschi, capitanati da Francesco Dolzino, appostati sopra la galleria e sui fianchi scoscesi del monte, da cui facevano rotolare grossi macigni, tennero per più giorni in iscacco le truppe del feroce Haynau. Egli fu costretto a far girare il lago a parte delle sue truppe per sorprendere alle spalle gli avversari, i quali, accortisi in tempo, si ritirarono nella Svizzera. Haynau, occupata Verceja, la pose a sacco e fuoco, e voleva far lo stesso di Chiavenna. A stento fu placato dal clero e dai rappresentanti del Comune che gli andarono incontro ad invocarne pietà. Non si piegò se non a patto di una forte e pronta contribuzione…. Dicesi che a Verceja (in antico Vercelio) si sia rinvenuta una lapide romana dedicata a Plinio juniore. La credenza fu dimostrata erronea da don P. Buzzetti e dall’ing. A Giussani. Qui, nel 1625, si batterono Spagnuoli e Francesi che vi ebbero la peggio. Sbcca a Verceja la scoscesa Valle dei Ratti o del Ratto, che sale a mattina. In alto vi sono alcuni alpeggi, goduti in comune dai proprietari, che vi confezionano d’estate ottimi formaggi grassi, simili a quello molto apprezzati di Val del Bitto e di Val Lesina.”


Frasnedo

La popolazione era di 951 abitanti nel 1921, 884 nel 1931, 1010 nel 1936. Il 1936 è un anno segnato dalla seconda rovinosa alluvione novecentesca del torrente Ratti, che distrusse molte abitazioni.
Caddero nella seconda guerra mondiale Copes Antonio, Copes Costante, Copes Elpidio, Copes Giovanni, Copes Mario, Copes Primo, Copes Vittorio, Curti Fiorello, Curti Gilio, Della Bitta Gervasio, Falcinella Antonio, Falcinella Rino, Ghelfi Enrico, Leoni Ugo, Oregioni Antonio, Oregioni Arturo, Oregioni Attilio, Oregioni Giovanni, Oregioni Lorenzo, Oregioni Rino, Pedroncelli Lorenzo e Lanzini Giuseppe.
Furono dichiarati dispersi Copes Giacomo, Della Bitta Lino, Della Bitta Patrizio, Ghelfi Eugenio, Guanella Natale, Oregioni Lino, Oregioni Marco, Oregioni Ugo, Pedrana Ottorino, Pedroncelli Antonio e Tacchini Lorenzo.
Nel secondo dopoguerra gli abitanti passarono da 940 nel 1951 a 1009 nel 1961, 1130 nel 1971, 1244 nel 1981, 1166 nel 1991, 1116 nel 2001 e 1093 nel 2011.


Verceia

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Bibliografia

Crollalanza, G. B., “Storia del contado di Chiavenna”, Serafino Muggiani e comp., Milano, 1867

Buzzetti, Pietro, "Le origini del villaggio di Verceia di Chiavenna", in L'Ordine, Como,nn. 151 e 152 del 1919

Ghelfi Anna, Olivieri Ottavio, Bracchi Remo, “Dizionario etimologico del dialetto di Verceia – Al brìc” A cura dell’IDEVV, Sondrio, Tipografia Bttini, 2020

Anonimo, "Notizie chiavennasche del primo decennio del 1800" , con presentazione ed annotazioni di don Peppino Cerfoglia, in "Raccolta di studi storici sulla Valchiavenna", Sondrio, Tipografia Mevio Washington, 1960

Foppolo, Edgardo, "Fortificazioni del Pian di Spagna" (in "Bollettino della Società Storica Valtellinese", Sondrio, 1967)

Vannuccini, Mario, “Monti e valli della Comunità Montana Valtellina di Tirano ”, Lyasis edizioni, 2002

Copes, Cristian, “Un esempio di concessione di cittadinanza a Verceia nel 1759”, in "Clavenna" (XLVII - 2008)


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CARTE DEL TERRITORIO COMUNALE sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alle carte alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line


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