CARTE DEI PERCORSI 1, 2, 3 - GALLERIA DI IMMAGINI

INTRODUZIONE

A prima vista l'alpe Lughina potrebbe apparire solo un modesto ripiano di prati (a dispetto dell'antico nome, “Lunghina”), adagiati su un poggio che interrompe il ripido e selvaggio versante montuoso sul fianco occidentale della parte terminale della Valle di Poschiavo, a separare quasi brutalmente il versante retico valtellinese dalla piana nella quale il torrente Poschiavino si accinge a confluire nell'Adda, a Tirano.
Ma a considerare le cose più da vicino questo poggio modesto condensa in sé straordinari elementi di interesse storico, che coprono un arco millenario. Toponimi quali “Dosso Pagano” e “Jada”, di origine celtica, testimoniano una presenza umana ben più antica rispetto alla colonizzazione romana. Del resto a Lughina e più a monte, sul luminoso versante che ospita l'agevole colle Anzana, si aprono molteplici varchi che conducono nella Valle di Poschiavo (più in basso la presenza dello xenodochio di Santa Perpetua lo conferma), e in epoche in cui si transitava molto più su direttrici di mezzacosta piuttosto che sul fondovalle, non è difficile dedurre che mercanti e pellegrini da e per il passo del Bernina passassero talora anche di qui, oltre che, più spesso, dal sentiero più basso, all'altezza dello xenodochio, intorno ai 500 metri.
Per venire ad un'epoca molto più vicina, durante la prima guerra mondiale l'intero versante fu interessato dalla costruzione di una strada militare che sale, con andamento molto regolare, dalla contrada Ragno di Villa di Tirano al monte Brione, sopra Prato Valentino (Teglio). Secondo la dottrina del capo di Stato Maggiore Cadorna, infatti, bisognava allestire un apparato difensivo atto a contenere un'eventuale passaggio delle truppe Austro-Ungariche proprio dalla Valle di Poschiavo. La Confederazione Elvetica aveva proclamato la sua neutralità, ma Cadorna temeva che potesse ugualmente concedere al nemico tale transito. Dalle postazioni del sistema difensivo di Lughina si sarebbe controllato il movimento dell'eventuale esercito invasore, indirizzando il tiro delle artiglierie posizionate sull'opposto versante (Forte Canali). Di fatto tutto ciò fu inutile, ma resta il pregevole manufatto che ci consente di raggiungere in automobile Lughina (la strada è stata asfaltata, ma è in diversi punti piuttosto stretta ed esposta, quindi problematica nell'incrocio con altri veicoli).

Prima e dopo la guerra questa zona era assai battuta dai contrabbandieri, gli “spalloni” che ingaggiavano una costante partita a scacchi con la guardia di Finanza (proprio a Lughina venne per questo edificata una caserma della Regia Guardia di Finanza”). Il transito era anche legato ad una particolarità poco nota: oltreconfine si accede alla Val Saiento elvetica (Val Saént), prima laterale occidentale della Valle di Poschiavo, politicamente, appunto, elvetica, ma di proprietà italiana.
Vennero poi gli anni più bui della seconda guerra mondiale, nei quali il comprensorio da Lughina al passo o colle Anzana divenne una porta della speranza per tutti quegli Ebrei che, salendo fin qui da tutta Italia per sfuggire con l'espatrio in Svizzera alla deportazione nazista, speravano di poter riuscire in questo viaggio della salvezza aiutati da passatori di origine locale, cui offrivano sostanziose ricompense pur di essere guidati oltreconfine. Non si trattava di un transito agevole, perché tutte le zone nei pressi dei valichi più facili erano costantemente sorvegliate da milizie nazifasciste, per cui la scelta ricadeva sui sentieri più malagevoli ed esposti. Alcuni oscuri e tragici episodi di Ebrei precipitati da dirupi nel tentativo di transito restano come un'ombra che non si dissolve su questi luoghi.

Si può salire a Lughina in automobile, ma un'escursione che dal fondovalle ci porti a questo poggio così carico di suggestioni sarà anche un modo per addentrarci nei sentieri della storia e della memoria.

MADONNA DI TIRANO-LUGHINA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Madonna di Tirano-Santa Perpetua-Novaglia-Ramaione-Lughina
3h e 30 min.
1030
E

Se preferiamo partire dal fondovalle (ma possiamo anche optare per soluzioni intermedie, portandoci in automobile allo splendido ripiano di Novaglia o ancora più su, a Ramaione), dobbiamo scegliere il punto di partenza, che potrebbe essere la contrada Ragno di Villa di Tirano o il parcheggio vicino al Santuario della Madonna di Tirano. Non cambia molto. Vediamo questa seconda soluzione.
All'ingresso a Tirano (per chi provenga da Sondrio) troviamo subito, sulla sinistra, il parcheggio utilizzato dai pellegrini che visitano il Santuario (non quello presso il sagrato, ma un ampio spiazzo in asfalto prima del viale alberato che precede la Basilica della Madonna di Tirano).
Lasciata qui l'automobile (m. 438), ci incamminiamo in direzione del bel ponte coperto che scavalca il torrente Poschiavino. All'uscita del ponte ci attendono due cartelli della Via Alpina – Bernina (33), che ci indirizzano ad un sentierino il quale sale alla splendida fascia di vigneti compresa fra Santa Perpetua, arroccata su un sperone roccioso, ed il fondovalle. Dopo un passaggio un po' esposto, prendiamo a sinistra, tagliamo alcuni filari e seguiamo il sentierino che si destreggia fra alcuni roccioni prima di terminare alla pista con fondo in cemento che sale a Santa Perpetua dalla contrada Ragno di Villa di Tirano (ovviamente, potremmo portarci fin qui con l'automobile, anche se non ci sono molte possibilità di parcheggio).

Una volta raggiunto lo xenodochio di Santa Perpetua (m. 550), ci fermiamo per una pausa pensosa. Da qui il colpo d'occhio su Tirano è splendido. In primo piano, proprio sotto di noi, la basilica sormontata dalla statua di San Michele, l'arcangelo a capo delle milizie celesti che, come vorrebbe un'antica leggenda, sarebbe sceso dal cielo per decidere della vittoria delle armi cattoliche contro gli eretici protestanti durante la battaglia di Tirano del 1620. Fu solo l'inizio di lunghi ed infausti anni di guerra sul suolo di Valtellina, ma intanto l'esercito delle Tre Leghe Grigie, sceso per vendicare la sanguinaria strage di protestanti perpetrata dalla nobiltà cattolica valtellinese e passata alla storia con l'infelice denominazione di “Sacro Macello Valtellinese”, era stato costretto a ripiegare. La presenza di San Michele forse è legata anche ad un'altra minaccia, attestata da una radicata credenza popolare: la vicina contrada del Ragno deve il suo nome ad un'insidiosa metamorfosi del Demonio, che si presentò qui a caccia di anime appunto sotto le sembianze di un malefico ragno. Un confronto che si ripete, ora e sempre, da quella prima volta in cui fu proprio l'arcangelo Michele a sconfiggere la schiera degli angeli ribelli, al comando di Lucifero, che da allora non si dà pace, perché vuole la sua rivincita. Suggestioni. Come quella che vuole una delle case che si trovano sulla carozzabile in cemento per Santa Perpetua infestata da spiriti senza pace. La Casa degli Spiriti, appunto. Altre avremo modo di incontrare salendo.

Si tratta ora di trovare il sentiero che porta al ripiano di Novaglia. Il sentiero agevole, perché ce n'è anche uno impervio, che sale più ad ovest. Stranamente, la carta IGM non riporta né l'uno né l'altro. Per evitare di portarci fuori strada, da Santa Perpetua seguiamo la pista sterrata ma quasi subito, quando questa volge a sinistra salendo ad un ripetitore, la lasciamo, osservando sul suo muraglione una doppia freccia in vernice rossa, direzioni per Tirano e Novaglia. Qui parte il sentiero che chi interessa, mentre alla sua destra un secondo sentiero procede pianeggiante addentrandosi verso la Valle di Poschiavo.
Il nostro sentiero sale con diversi tornanti alla fresca ombra di una selva (segnavia bianco-rossi), in direzione ovest, passando anche a destra di un roccione aggettante, sul quale è riportato “Grotta di Calamaro”. Poco prima dell'uscita al luminoso maggengo di Novaglia, passiamo a sinistra di una splendida fonte, le cui acque sono raccolte in una grande vasca ricavata da un singolo masso. Novaglia. Eccola. Siamo a circa 870 metri, un po' alti rispetto al ciglio sul quale è posta la croce che si accende dopo il tramonto e si propone agli occhi dei tiranesi. Luogo denso di suggestioni. Anche qui è una leggenda a confermarlo, quella di un frate cappuccino, fra Giovanni da Novaglia, che vi salì nel 1639 e conquistò con la disciplina dell'ascesi la palma della santità, da tutti riconosciuta. Rimase, dopo la sua morte, la luce della sua memoria. Ancora oggi la piana di Novaglia ha nome "Paradiso del Frate".

Seguiamo per breve tratto la strada asfaltata nella quale ci immettiamo, fino ad un'antica baita dalla quale il dipinto di una Madonna con Bambino sta soccombendo alle ingiurie del tempo. Imbocchiamo la pista con fondo in erba in corrispondenza di questa baita, che ci porta ad una larga mulattiera. Seguendola e salendo verso ovest, ci immettiamo in una più larga mulattiera, quella che sale dalla contrada Ragno, Su un masso, sta un segnavia bianco-rosso, una freccia bianca e la scritta “Lughina”. La mulattiera ha le caratteristiche classiche della via da strascico, progettata per portare agevolmente a valle i tronchi tagliati nelle selve. Salendo verso nord, intercettiamo la strada asfaltata, proseguendo sul suo lato opposto, e raggiungiamo il nucleo di Ramaione (o Romaione, m. 1109). Qui troviamo diversi cartelli, Prestiamo attenzione a quello del sentiero 301 (Sentiero Italia), che dà Lughina ad un'ora e 15 minuti, Frantelone a 2 ore e Prato Valentino a 6 ore. Poco sopra, tagliamo per due volte la strada asfaltata e ritroviamo diversi cartelli: seguiamo sempre l'indicazione per Lughina.
Siamo di nuovo sulla larga mulattiera e conserviamo l'andamento nord. Raggiunta una zona localmente denominata Sparèl, la mulattiera comincia ad assumere la direzione nord-ovest e poi ovest. Passiamo da un punto estremamente panoramico, il Paravìs: la mulattiera, ad una sua svolta a sinistra, passa nei pressi del ciglio di un impressionante precipizio, che però non vediamo; quello che vediamo è un bellissimo colpo d'occhio sulla Valle di Poschiavo. Proseguiamo nella salita verso ovest, passando a valle del Sas di Denc'.

Alla fine la mulattiera confluisce di nuovo nella strada Ragno-Lughina (che ora ha fondo sterrato). Seguiamo per breve tratto al strada, fino a trovare, sulla destra, la deviazione che porta ai prati dell'alpe Lughina, passando proprio sotto il roccione sul quale è posto il rudere dell'ex-caserma della Guarda di Finanza. Poco più avanti, ecco i prati dell'alpe, che culminano nel Dos Pagàn, toponimo che rimanda alla persistenza di culti resistenti al processo di evangelizzazione nell'alto Medioevo. Sul lato opposto del dosso, rispetto a quello da cui siamo passati, vediamo una pozza. La curiosità di questo luogo è legata anche al confine invisibile che lo attraversa: le baite della parte meridionale sono in territorio italiano, quelle sul limite settentrionale, con tanto di regolare numero civico, sono in territorio elvetico.
Oggi qui tutto è ordinato, quasi sempre silente, dolcemente bucolico. Ma il ricordo non può non tornare ai tragici anni del 1945 e 1944, quando la Repubblica di Salò si allineò alla direttiva hitleriana di rastrellamento totale degli Ebrei, in funzione della soluzione finale, il loro sterminio. Ad Aprica si concentrarono Ebrei provenienti dall'Italia, ma anche da paesi dell'Est Europa. Nottetempo scendevano sul fondovalle e salivano, accompagnati dai passatori, sulla mulattiera per Lughina. Non passavano da questi prati, per evitare la sorveglianza della Milizia Confinaria delle Brigate Nere. Li aggiravano, percorrendo quello che poi sarebbe stato chiamato “Sentiero della Morte”, un sentierino che passava per il pericoloso Salto del Gatto e scendeva verso il fondo della Valle di Poschiavo attraversando passaggi esposti e molto pericolosi. Non pochi infatti morirono nella traversata. Qualcuno cercava passaggi meno aspri, verso il colle d'Anzana, ma in questo caso al rischio della natura si sostituiva quello delle ronde delle Brigate Nere.

Se torniamo sulla pista sterrata, che di recente è stata prolungata verso ovest fino ai maggenghi alti sopra Villa di Tirano, possiamo scovare tracce delle fortificazioni militari che ci fanno tornare ala prima guerra mondiale. In particolare possiamo vedere una caverna per il ricovero dei militari o il deposito delle munizioni, piazzole con postazioni di tiro o di osservazione e qualche resto di trincee.
Nei pressi di questo sistema difensivo si vede anche un coppia di caratteristiche costruzioni che potrebbero essere confuse con altre frequenti in Valle di Poschiavo, cioè con i piccoli caselli edificati con muri a secco, detti “crotti” o “tegie”, che servivano per tener conservare i prodotti caseari tenendoli al fresco della corrente d'acqua di ruscelli che scorrevano sotto. In realtà le tegie di Lughina sono più grandi, hanno una curiosa forma ad ogiva ed un ingresso sormontato da un grande monolite. Richiamano quindi le più note strutture dei nuraghi sardi, probabilmente avevano una funzione abitativa e risalgono a tempi antichissimi. Anche questo fa parte del mistero unico dell'alpe Lughina.
Nessun mistero, invece, sulle possibilità escursionistiche che hanno come base Lughina, perché se siamo saliti fin qui in automobile, potremmo approfittarne per sperimentarle.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

LUGHINA-FRANTELONE-COLLE ANZANA-RIFUGIO ANZANA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Lughina -Colle Anzana-Rifugio Anzana
3 h e 30 min.
780
E

Ci rimettiamo in cammino, ignorando la pista che si dirige alla località Sasso, sul sentiero segnalato dai segnavia bianco rossi (Sentiero Italia), che sale, con rapidi tornanti, fino alla cima di un dosso boscoso, dove incontriamo una croce al cosiddetto Crap de la Guardia. Proseguendo, passiamo a sinistra dei prati dell’alpe Frantelone (o Frontelone, m. 1831).
La mulattiera inanella ancora tornanti regolari, poi comincia a traversare passando a valle della Vetta Salarsa (che possiamo facilmente raggiungere salendo a vista. La lunga traversata ci porta proprio ai piedi del colle Anzana, dove un cartello segnala l'incrocio con i sentieri 397 e 395: prendendo a destra, in dieci minuti siamo al Colle d'Anzana (m. 2224), dopo circa tre ore di cammino dall'alpe Lughina.

Nella parte italiana del passo troviamo due nuovi cartelli escursionistici, che segnalano, nella sola direzione di discesa, le direttrici per Nemina (397, come sappiamo) e Campione (395), dato ad un’ora. Se prendiamo a destra, ci portiamo ad un piccolo monumento che commemora, con una targa, la figura di don Cirillo Vitalini, “parroco di Bratta dal 24 luglio 1939 al 21 luglio 1957 – Ha amato la montagna, il suo silenzio… E’ salito con umiltà e coraggio, sempre da capocordata. Ha raggiunto l’ultima vetta”. Sotto la targa, la sua corda. Qui lo spirito di don Cirillo è davvero di casa, e non solo per lo scenario di cime che fanno da corona al passo, ma anche perché di qui passarono molti Ebrei che guadagnarono la salvezza, dopo il decreto di internamento del dicembre 1943, espatriando in Svizzera, e l’allora parroco di Bratta molto si adoperò per agevolare questi viaggi della salvezza. Singolare figura davvero quella di questo sacerdote, nato a S. Antonio Valfurva il 14 dicembre 1915, parroco a Bratta, frazione di Bianzone, dal 1939 al 1957 e poi a Stazzona, morto nel 2003; è stato insignito, nell'aprile 1995, in occasione del cinquantesimo anniversario della liberazione, di un Diploma di benemerenza dal Presidente della provincia di Sondrio Enrico Dioli, per aver salvato tante vite durante la seconda guerra mondiale, ma anche il paese di Bratta da un incendio di ritorsione per il saccheggio della caserma della Guardia di Finanza a Campione.

Ecco come egli stesso racconta quel tragico periodo: “Il 9 o 10 di settembre 1943 arrivarono i soldati tedeschi a Tirano, silenziosa e mezza deserta; incontrai in bicicletta, al ponte del Poschiavino il primo reparto a piedi e con profondo rammarico pensai: "Ecco che arrivano!". Immediatamente Don Giuseppe Carozzi di Motta mi inviò ottanta Ebrei da Aprica (dove erano confinati da mesi), donne, bambini, uomini con valige da indirizzare in Svizzera. Parlai prima con il Brigadiere della Guardia di Finanza a Campione sopra Bratta. Essi li presero sotto la loro protezione, li accompagnarono e poi, con loro, si rifugiarono tutti oltre confine. Da quel giorno molte persone salirono a Bratta e per espatriare; parecchie bussarono anche alla mia porta di giorno e di notte. Passò anche un nutrito gruppo di ex soldati italiani che si rifugiarono in Svizzera: erano trafelati; mia sorella Maria preparò loro una pentola di thè, che fu molto gradito. Ricordo che, una notte, Zeno Colò, famoso sciatore d'altri tempi, arrivò a casa mia. Anche lui era un ex soldato e fuggitivo…
Poco tempo dopo Don Camillo Valota, Parroco di Frontale, fu arrestato a Bianzone (in località Prada) mentre accompagnava quattro aviatori inglesi, evasi dalle prigioni nazifasciste, che volevano passare in Svizzera. Aveva disubbidito a un mio preciso consiglio, consegnato per iscritto (e nascosto nelle calze) al ragazzo che egli aveva mandato a chiedermi informazioni: “Precedili o seguili e venite per la campagna e i vigneti”. Invece egli travestì gli aviatori con i suoi abiti talari e, sceso dal treno, passò nel centro di Bianzone davanti al Municipio, dove c’era il segretario repubblichino di origine toscana. Egli si accorse che questi giovani non erano preti perchè gli abiti talari del piccolo Don Valota arrivavano loro quasi alle ginocchia: li fece immediatamente seguire e arrestare. Portati a Villa di Tirano, gli aviatori tornarono prigionieri e Don Camillo , dopo il campo di concentramento italiano di Fossoli fu internato nel lager di Mauthausen. Dopo la liberazione Don Valota ricoprì decorosamente per quarant'anni la carica di Cappellano degli italiani emigrati in Francia. Subito dopo questo fatto Don Francesco Cantoni, Parroco di Bianzone, mi disse: “Fuggi in Svizzera, ti cercano!” Dormii per una settimana nel sottotetto della scuola (che aveva la scala retraibile), finchè il buon Zamariola fece sapere che la cosa si era appianata.

Il 13 settembre 1944 i soldati tedeschi che occupavano la Caserma della Finanza a Campione sopra Bratta, si spostarono momentaneamente a Teglio. A caserma vuota qualcuno ne approfittò: sparirono una trentina di coperte e altrettante lenzuola. I pastorelli (e con loro molti altri), trovate aperte le porte, completarono il saccheggio. Approfittando del telefono che collegava la caserma alla Tenenza di Tresenda i ragazzi misero sull’attenti la Guardia di Finanza che avvisò le autorità nazifasciste. Il giorno dopo giunse voce a Bratta che soldati tedeschi da Campione e repubblichini da Bianzone sarebbero arrivati nella frazione per incendiarla. Fu un fuggi fuggi generale, chi verso la Svizzera in località "Bonget”, chi verso il basso. La frazione era deserta.
Restò solo il parroco; chiesa, casa, archivio e le umili casette con la segale come alimento invernale. Che fare? Ultima risorsa: affrontare i potenziali incendiari tedeschi e fascisti! “Non ci sono partigiani, non sono stati loro” avrei detto “ma ragazzi irresponsabili”. Sapevo che quelli non scherzavano. Ma raccomandatomi a Lui, il Signore, e forte del buon fine che avevo, partii verso la caserma di Campione. Sbucato dal bosco sul prato sotto la caserma vidi una decina di soldati tedeschi, con i mitra spianati contro di me, con l'intenzione di fare fuoco: mi avevano scambiato per un partigiano. Qualcuno li trattenne; “Sentiamo che dice”. Poteva essere stato Nemesio Pasquale che era lassù con la “priala” (carro a due ruote usato nelle strade selciate di montagna) incaricato di portare giù i resti del saccheggio. Lo ringrazio e prego per lui, morto da due anni. Fui accolto dall'ufficale tedesco con una sola frase: “ Scendere o sparare! Scendere o sparare!”. Quando spiegai al soldato interprete, quello che intendevo dire, capirono, si guardarono, si consolarono e scendemmo tranquilli verso Bratta, dove fecero niente di niente; vollero solo il risarcimento del danno. Una loro frase però mi colpì: “Noi siamo della Whermacht (esercito regolare tedesco) ma se ci fossero le SS sarebbe diverso”. Pensai che anche loro fossero credenti, umani. Le SS no; la barbarie maggiore venne da loro. La faccenda durò una decina di giorni, su e giù da Bratta a Bianzone a piedi, finchè riuscii a raggranellare come estrema ratio le 70.000 lire richieste (50.000 lire alla Bratta e 20.000 lire a Piazzeda), oltre alla restituzione della parte recuperata del saccheggio.

Il 29 gennaio 1945 ci fu il bombardamento degli Alleati alla stazione ferroviaria di Bianzone: quattro aerei bombardarono la linea senza gravi conseguenze, poi tornarono a bassa quota e mitragliarono la stazione. Tre persone morirono all’istante: un certo Resta di Villa, una signora di Piazzeda e un’altra di Ardenno; ferirono un certo Battaglia e la signorina Lucia Mazza, maestra a Motta, che era sorella di un mio compagno di sacerdozio, Don Angelo. Ero a Tirano all'Istituto Santa Croce dove studiava mia sorella Amalia; sentito il bombardamento mi precipitai con la bicicletta verso Bianzone sospinto da una leggera tormenta di neve. Sul posto era già presente il Prevosto di Bianzone, Don Francesco Cantoni, che assistette il Battaglia; la maestra Mazza, ormai agonizzante, appena mi vide ebbe un sussulto: forse mi aveva scambiato per il suo fratello prete. Purtroppo, morirono entrambi, dopo aver ricevuto l'Estrema unzione.
Qualche giorno prima della fine della guerra, verso sera, arrivarono a Bratta (lo facevano spesso) sei o sette repubblichini. Si fermarono da me, chiedendomi di entrare a far cuocere alcune uova e mangiare un boccone; li accolsi. Nel frattempo giungeva mia sorella Maria che era andata verso “la bassa“ (pianura padana) a comperare un po’ di farina e riso. Annunciò con poca discrezione che la guerra stava per finire. Il gruppetto di militi impallidì, affrettò la cena, ringraziò e poi scomparve. Verso dove? Forse verso la Svizzera, se erano in tempo ad essere accolti. Il 28 aprile, con la battaglia di Tirano e la resa dei nazifascisti, segnò la fine di quel lungo incubo.”
Ecco perché affermate che lo spirito di don Cirillo abita ancora questi luoghi è affermare cosa verissima.

Un passo denso di storia, questo, di vicende umane, di timori, ma anche di devozione: qui giungevano, nei secoli passati, lunghe processioni di devoti che imploravano l’intervento divino che ponesse fine a lunghi periodi di siccità con la pioggia ristoratrice, per uomini, bestie, piante ed erbe.
Portiamoci, ora, sul lato opposto della spianata del valico, quello occidentale, dove vediamo, su una roccetta, una statua della Madonna, collocata qui nel 1993. Infine, sul versante svizzero, i cartelli del Club Alpino Svizzero, che segnalano, in direzione dell’Italia, Lughina, data ad un’ora e tre quarti (da quest’alpe, infatti, si può rientrare in territorio elvetico seguendo un sentiero anch’esso molto praticato dagli Ebrei che espatriarono clandestinamente durante la seconda guerra mondiale), mentre in territorio svizzero sono segnalate Lagh da la Regina (50 minuti) e Lagh dal Mat (un’ora e tre quarti), su sentiero poco marcato che taglia, quasi pianeggiante, un versante di radi larici, e Rifugio Anzana (20 minuti) e Pescia alta (30 minuti), su sentiero più marcato che scende all’ampia conca dell’alpe di Pescia alta, che alterna boschi di larici ad ampie spianate di prati. Da Pescia Alta, in pochi minuti, seguendo verso destra una strada sterrata, possiamo raggiungere il rifugio Anzana.

LUGHINA-FRANTELONE-COLLE ANZANA-RIFUGIO ANZANA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Lughina -Rossat-Rifugio Anzana
3 h
700
E

Esiste però un secondo possibile itinerario che parte dall'alpe e porta al rifugio Anzana.
Portiamoci sul lato elvetico dell'alpe Lughina, dove, ad un bivio segnalato, proseguiamo entrando in territorio svizzero. Presso una baita, troviamo un cartello che segnala il sentiero per la Piana (30 minuti), che attraversa il fianco boscoso che scende dalla Vetta Salarsa fino al fondovalle. Perdiamo così un centinaio di metri di quota: il cartello che ci attende quando intercettiamo una pista carrozzabile ai prati della Piana, infatti, indica 1350 metri. Seguiamo verso sinistra la carrozzabile, che, in breve, lascia il posto ad una pista con fondo erboso. C'è una breve interruzione per uno smottamento, ma la pista prosegue subito dopo, fino al ponte ai prati Rossat (m. 1484), che ci porta sul lato opposto della val Saiento (il destro per noi che la risaliamo). Qui la pista diventa un ripido sentiero, che ci fa guadagnare un centinaio di metri di quota e ci porta ad intercettare la bella carrozzabile che da Cavaione sale verso l'alpe di Pescia Bassa. Non resta, ora, che seguire la carrozzabile per raggiungere prima quest'alpe (m. 1832) e poi il rifugio Anzana. Anche questo secondo itinerario può essere suggerito agli amanti della mountain-bike, con l'avvertenza che il tratto Lughina-Piana e quello Rossat-strada non sono ciclabili.

Il rifugio dispone di 15 posti letto in due camere, di acqua, cucina a legna, 1 WC, 3 lavabi, un caminetto, una sala da pranzo, illuminazione elettrica, possibilità di giochi e grigliate all'aperto. Ci si può rivolgere, per prenotazioni, al sig. Giancarlo Polzza (Comune di Brusio, 7743 Brusio), tel. 081 8465461; oppure all'Ente Turistico Valposchiavo, piazza Comunale 39, 7742 Poschiavo, tel. +41 (0)81 844 05 71, fax +41 (0)81 844 10 27, e-mail info@valposchiavo.ch, http://www.valposchiavo.ch
Dal rifugio, seguendo le indicazioni, in 40 minuti circa siamo al colle d'Anzana. Possiamo quindi tornare a Lughina percorrendo a ritroso il Sentiero Italia sopra descritto e chiudendo un bell'anello che potremmo chiamare della Salarsa.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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