SANTI (clicca qui per aprire la pagina relativa a questo giorno dal sito www.santiebeati.it): Beata Vergine Maria del Rosario

PROVERBI

De la Madona del Rosari i castegn ié per i stradi
(alla Madonna del Rosario le castagne sono sulle strade - Castello dell'Acqua)
La Madòna del Rusàri, i castégni i è preparàdi (alla Madonna del Rosario le castagne sono pronte)
I mercànt del vént l’è i àngel custodi e la Madòna del Rusàri
(gli Angeli Custodi e la Madonna del Rosario portano vento – Grosio)
Al Signor al làga fér mìga sctrefér (il Signore lascia fare, non strafare – Livigno)
Chi nàsc da gàt spia ràt, chi nàsc da galìna, scàza
(chi nasce da gatto, spia i ratti, chi nasce da gallina, raspa - Sondalo)
Al pan di òtri l’è bée salàa (il pane degli altri è ben salato - Tirano)
Una dòna l’è la rüìna u la furtöna de na cà (una donna è la rovina o la fortuna di una casa)
Cuntar la vit'eterna coss'en i mai i ben da questa vita e i see guai?
(a considerare la vita eterna, cosa sono mai i beni di questa vita ed i suoi guai? - Val Bregaglia)
Al na mor tanc’ da giùan, ma da vec’ i moran tüc
(ne muoiono tanti da giovani, ma da vecchi muoiono tutti - Poschiavo)

VITA DI UNA VOLTA

Ines Busnarda Luzzi, nel suggestivo libro di ricordi della propria infanzia a Naguarido, "Case di sassi" (II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994), racconta:
Intorno al paese selve e castagni ce n'erano molti quand'ero bambina, e ce ne sono ancora di più ora. Allora però le selve erano pulite e quasi pettinate alla fine di ogni autunno e le nostre pecore vi trovavano erbe selvatiche d'ogni tipo, saporite e profumate, mentre noi ragazzi, senza intralci, vi facevamo scorrerie alla scoperta di mille cose, con ginnastica di gambe e di braccia sui massi coperti di muschio e sulle piante sane, dritte e frondose. Ora le nostre lucide selve sono coperte di uno sporco tappeto di foglie e ricci marciti e molte piante si sono ammalate, e contorte spandono fronde rinsecchite, simili a braccia stanche e morenti.
Nessuno di noi, giovane od anziano, sapeva di ecologia, ma il suo vero senso era connaturato in tutti, faceva parte della nostra vita, era rispetto per l'ambiente e per ogni vita che ne era parte. Le selve che circondano Naguarido, con le loro piante di castagno, avevano una grande importanza nella nostra economia. Ci davano castagne tanto in abbondanza elle, oltre a consentirci per quasi tutto l'anno un alimento alternativo, sostanzioso e gradevole, da consumarsi in modi diversi, ci permettevano un discreto commercio.
Oltre le castagne, le selve ci davano legna per il fuoco, foglie per la lettiera delle bestie, pascolo per le pecore e funghi sani e belli….
Anticamente quasi tutti i contadini bacchiavano i ricci delle castagne non appena sembravano maturi, ma ai miei tempi lo facevano in pochi. Era un lavoro pericoloso perché il bacchiatore doveva tenersi saldo alla pianta solo con i piedi, dovendo manovrare con tutte e due le mani una lunga pertica. Noi non bacchiavamo mai, perché mio padre non si sentiva di farlo. Correva un proverbio che aveva il suo consenso: "Ammazzare gente, spalare neve e bacchiare le piante, sono mestieri inutili". Infatti le nostre castagne e le nostre noci, quand'erano belle mature cadevano per conto loro. Sebbene le raccogliessimo man mano che cadevano, il lavoro non ci mancava mai. Alla mattina, al tempo delle castagne, ci si alzava prima del solito e intanto che la mamma e il babbo regolavano gli animali, la zia ed io andavamo a raccogliere le castagne cadute nelle strade limitrofe alle nostre selve, per non farle calpestare o rubare da chi passava.
Raccolte quelle, si tornava a casa a far colazione e, se non c'erano altri lavori stagionali più urgenti e necessari, come la vendemmia, la
mietitura del grano saraceno, la raccolta del grano turco, la falciatura dell'ultima erba o strame per le mucche, o altro, si andava ancora a
raccogliere castagne all'interno delle selve. Solamente quando tutti i ricci erano caduti si lavorava intere giornate di seguito per raccoglierle definitivamente, così da non tornare più in una selva, che si lasciava agli spigolatori, provenienti perlopiù dall'altra sponda dell'Adda, dove ci sono meno selve di castagni. La spigolatura però era consentita solo dopo i Morti e se, a cagione della stagione in ritardo, il raccolto non era finito, ci si affrettava a farlo.
Le castagne si raccoglievano con i cesti e le donne a volte nella conca del grembiule e si portavano a casa con i sacchi o con i gerli. …
Si spargevano in uno strato di alcuni centimetri sulle logge di legno, che quasi tutte le case avevano. La pavimentazione di legno consentiva una più facile essiccazione. Veramente non si lasciavano seccare totalmente sui balconi, procedimento che sarebbe stato troppo lungo e meno confacente ai requisiti ottimali del prodotto, ma appena appassite si trasportavano sui graticci delle "cascine", o metati. Si spandevano sul graticcio in uno strato di una decina di centimetri, il più possibile uniforme, e nel locale sottostante, che aveva un focolare al centro, ma era senza camino, si teneva acceso giorno e notte un lento fuoco, alimentato da un grosso ceppo circondato da una montagnetta di pula, o sansa, delle castagne dell'anno precedente. La pula bruciava molto lentamente e rallentava la combustione del ceppo.
Il valore nutritivo e commerciale delle castagne essiccate nel metato era maggiore di quelle essiccate al sole, che contenevano meno zuccheri ed erano meno buone al palato. Se l'annata era buona non bastava un turno per farle seccare tutte e nel secondo, se non si riempiva il graticcio con le nostre, si lasciava il posto a quelle di altri che non avevano il metato.
L'essicazione si compiva in una quindicina di giorni e le castagne in quel periodo andavano rivoltate più volte. Quand'erano secche si "pestavano" per sgusciarle e spogliarle anche dalla sansa, la pellicina che chiamavamo "camicia", Se le castagne provenivano da alberi innestati, ossia erano "bonéle" ed erano seccate con un giusto metodo, col "pestarle" si spogliavano anche della sansa ed apparivano d'un bianco leggermente abbronzato. Invece le "selvatiche" più difficilmente se ne liberavano.
Pestar le castagne era un lavoro ostico quasi come trebbiar la segale. Quel giorno, di buon mattino, sul fuoco della cascina si faceva bollire acqua e cenere in un grosso paiolo. Quando la scura lisciva era "cotta", si abbassava il fuoco e si cercava di mantenerlo molto basso, in modo che non facesse fumo, ma non si spegnesse, perché le castagne per pestarsi bene non dovevano raffreddarsi. A quel punto arrivavano gli uomini che dovevano "pestare": mio padre si faceva sempre aiutare da qualcuno più giovane di lui, che solitamente era il nostro servizievole Franco del Santino. Qualcuno, con un gerlo sulle spalle, si metteva sotto la botola del graticcio, dalla quale, appena aperta, piovevano con un tintinnio rumoroso le castagne, che erano diventate nere e leggere.
I pestatori ne versavano due o tre scodellone nei sacchi tessuti a Morbegno con la canapa coltivata e lavorata dalle nostre donne. …
Le castagne pestate uscivano dai lunghi sacchi bianche e senza buccia, ma immerse nella loro pula minuta, soffice e quasi piumosa. Toccava alle donne vagliarle. Dai vagli finalmente uscivano d'un biancore dorato, con un suono quasi musicale: "Son belle secche, sentite come cantano!", diceva compiaciuta la gente. Ed aveva ragione di compiacersi, anche se il lavoro non era finito del tutto. C'era ancora da fare un'accurata cernita fra sane e marce, "matte" si diceva, prima di porle sul mercato o di conservarle nelle scranne per uso familiare. Noi le "cernevamo" alla sera, ma più volentieri di giorno, quando il tempo era brutto o troppo freddo per lavorare fuori. Ne versavamo un mucchietto per volta sul lungo tavolo della grande cucina e lavoravamo tutti e quattro, facendole passare rapidamente ad una ad una per levare quelle marce o i frantumi.
Rimanevano le bianche mondine, pronte da cuocere e da mangiare calde nelle fredde sere d'inverno. Costituivano una buona e nutriente cena se mangiate con il latte, ma erano gustose anche da sole o nella
minestra. Una scodella di minestra di verdura con un mestolone di castagne e la cena era fatta. Ma, specialmente per gli adulti, facevano pasto anche con il vino: castagne e vino e lo stomaco si scaldava e si accontentava. Quando avevamo gente in giornata per la fienagione dei prati di Cerido, la prima colazione, che si faceva dopo qualche ora di lavoro, consisteva in pane e formaggio e castagne nel vino, che ridavano forza, oltre che un po' di allegria..
Le mondine erano buone, ma a noi bambini erano più gradite le ballotte e le bruciate, forse perché erano le prime castagne dell'annata. Quando in casa mia si decideva di far le bruciate mi mandavano con l'apposita padella bucherellata sulla loggia del solaio, dove avevamo steso le castagne ad appassire, a scegliere le più grosse e sane.
Le bruciate le faceva sempre il babbo e quando la buccia era bruciata sufficientemente dalle alte fiammate dei sarmenti che gettava sul fuoco, alzava la padella di qualche anello di catena e le copriva con alcune foglie di verze perché risultassero più morbide. …
Le castagne marce e quelle frantumate, che si ottenevano dalla cernita delle secche mondine, o "castagne bianche" come si diceva a Naguarido, si cuocevano per i maiali, che nutriti con castagne davano carne e lardo molto più pregiati. Più dolci, si diceva.”

STORIA
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AMBIENTE

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I PROVERBI SONO IN GRAN PARTE TRATTI DAI SEGUENTI TESTI:

Gaggi, Silvio, "Il volgar eloquio - dialetto malenco", Tipografia Bettini, Sondrio, 2011
Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996)
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003
Pier Antonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996
Pier Antonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999
Pier Antonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Pier Antonio Castellani, "Detti e citazioni della Valdidentro", I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Luigi Godenzi e don Reto Crameri, "Proverbi, modi di dire, filastrocche raccolti a Poschiavo, in particolare nelle sue frazioni", con la collaborazione di alcune classi delle Scuole di Avviamento Pratico, Tip. Menghini, Poschiavo (CH), 1987
Lina Lombardini Rini, "Favole e racconti in dialetto di Valtellina", Edizioni Sandron, Palermo-Roma, 1926
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)


Utilissima anche la consultazione di Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001

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PRINCIPALI TESTI CONSULTATI:

Laura Valsecchi Pontiggia, “Proverbi di Valtellina e Valchiavenna”, Bissoni editore, Sondrio, 1969
Gabriele Antonioli, Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino" (Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca comunale di Grosio)
Dott. Omero Franceschi, prof.ssa Giuseppina Lombardini, "Costumi e proverbi valtellinesi", Ristampa per l'Archivio del Centro di Studi Alpini di Isolaccia Valdidentro, 2002
Tullio Urangia Tazzoli, "La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, Anonima Bolis Bergamo, 1935;
AA.VV. "A Cà Nossa ai le cünta inscì", a cura della Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina, Piccolo Vocabolario del dialetto di Montagna con detti, proverbi, filastrocche e preghiere di una volta (1993-1996);
Giuseppina Lombardini, “Leggende e tradizioni valtellinesi”, Sondrio, ed. Mevio Washington, 1925;
Lina Rini Lombardini, “In Valtellina - Colori di leggende e tradizioni”, Sondrio, Ramponi, 1950;
Glicerio Longa, "Usi e Costumi del Bormiese”, ed. "Magnifica Terra", Sondrio, Soc. Tipo-litografica Valtellinese 1912, ristampa integrale nel 1967 a Bormio e II ristampa nel 1998 a Bormio a cura di Alpinia Editrice;
Glicerio Longa, "Vocabolario Bormino”, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1913;
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – La nascita e l'infanzia” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2000);
Marcello Canclini “Raccolta di tradizioni popolari di Bormio, Valdisotto, Valfurva, Valdidentro e Livigno – Il ciclo della vita – Fidanzamento e matrimonio” (Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2004);
Luigi De Bernardi, "Almanacco valtellinese e valchiavennasco", II, Sondrio, 1991;
Giuseppe Napoleone Besta, "Bozzetti Valtellinesi", Bonazzi, Tirano, 1878;
Ercole Bassi, “La Valtellina (Provincia di Sondrio) ”, Milano, Tipografia degli Operai, 1890;
"Ardenno- Strade e contrade", a cura della cooperativa "L'Involt" di Sondrio;
"Castione - Un paese di Valtellina", edito a cura della Biblioteca Comunale di Castione, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Sondrio;
don Domenico Songini, “Storie di Traona – terra buona”, vol. II, Bettini Sondrio, 2004;
don Domenico Songini, “Storia e... storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001;
Scuola primaria di Sirta: calendari 1986 e 1991 (a cura dell'insegnante Liberale Libera);
Luisa Moraschinelli, “Uita d'Abriga cüntada an dal so dialet (agn '40)”;
Giovanni Bianchini e Remo Bracchi, "“Dizionario etimologico dei dialetti della Val di Tartano”, Fondazione Pro Valtellina, IDEVV, 2003;
Rosa Gusmeroli, "Le mie care Selve";
Cirillo Ruffoni, "Ai confini del cielo - la mia infanzia a Gerola", Tipografia Bettini, Sondrio, 2003;
Cirillo Ruffoni, "Chi va e chi resta - Romanzo storico ambientato in bassa Valtellina nel secolo XV", Tipografia Bettini, Sondrio, 2000;
Cirillo Ruffoni, "In nomine Domini - Vita e memorie di un comune della Valtellina nel Trecento", Tipografia Bettini, Sondrio, 1998;
Mario Songini (Diga), "La Val Masino e la sua gente - storia, cronaca e altro", Comune di Val Masino, 2006;
Tarcisio Della Ferrera, "Una volta", Edizione Pro-Loco Comune di Chiuro, 1982;
"Parla 'me ta mànget - detti, proverbi e curiosità della tradizione comasca, lecchese e valtellinese", edito da La Provincia, 2003;
Massimiliano Gianotti, "Proverbi dialettali di Valtellina e Valchiavenna", Sondrio, 2001;
Associazione Archivio della Memoria di Ponte in Valtellina, "La memoria della cura, la cura della memoria", Alpinia editrice, 2007;
Luisa Moraschinelli, "Come si viveva nei paesi di Valtellina negli anni '40 - l'Aprica", Alpinia editrice, 2000;
Aurelio Benetti, Dario Benetti, Angelo Dell'Oca, Diego Zoia, "Uomini delle Alpi - Contadini e pastori in Valtellina", Jaca Book, 1982;
Patrizio Del Nero, “Albaredo e la via di San Marco – Storia di una comunità alpina”, Editour, 2001;
Amleto Del Giorgio, "Samolaco ieri e oggi", Chiavenna, 1965;
Ines Busnarda Luzzi, "Case di sassi", II, L'officina del Libro, Sondrio, 1994;
aa.vv. “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Silvana editoriale, 1995) Pierantonio Castellani, “Cento proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1996 Pierantonio Castellani, “Cento nuovi proverbi, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 1999 Pierantonio Castellani, “Cento altri, detti e citazioni di Livigno” I Libri del Cervo, Sondrio, 2000
Cici Bonazzi, “Detti, proverbi, filastrocche, modi di dire in dialetto tiranese”, ed. Museo Etnografico Tiranese, Tirano, 2000
Luisa Moraschinelli, "Dizionario del dialetto di Aprica", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Tarcisio Della Ferrera, Leonardo Della Ferrera (a cura di), "Vocabolario dialettale di Chiuro e Castionetto", Comune di Chiuro ed IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2008 (cfr. anche www.dialettochiuro.org)
Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010
Luigi Berti, Elisa Branchi (con contributo di Remo Bracchi), "Dizionario tellino", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2003
Pietro Ligari, “Ragionamenti d’agricoltura” (1752), Banca Popolare di Sondrio, Sondrio, 1988
Saveria Masa, “Libro dei miracoli della Madonna di Tirano”, edito a cura dell’Associazione Amici del Santuario della Beata Vergine di Tirano” (Società Storica Valtellinese, Sondrio, 2004)
Sergio Scuffi (a cura di), "Nü’n cuštümàva – Vocabolario dialettale di Samolaco", edito nel 2005 dall’Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco e dall’Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca. Giacomo Maurizio, "La Val Bargaia", II parte, in "Clavenna" (Bollettino della Società Storica Valchiavennasca), 1970 Gabriele Antonioli e Remo Bracchi, "Dizionario etimologico grosino", Sondrio, 1995, edito a cura della Biblioteca Comunale di Grosio.
Silvana Foppoli Carnevali, Dario Cossi ed altri, “Lingua e cultura del comune di Sondalo” (edito a cura della Biblioteca Comunale di Sondalo)
Serafino Vaninetti, "Sacco - Storia e origini dei personaggi e loro vicissitudini degli usi e costumi nell'Evo", Edizioni Museo Vanseraf Mulino del Dosso, Valgerola, 2003
Sito www.fraciscio.it, dedicato a Fraciscio
Sito www.prolocodipedesina.it, dedicato a Pedesina
Massara, Giuseppe Filippo, "Prodromo della flora valtellinese", Sondrio, Della Cagnoletta, 1834 (ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore)
Galli Valerio, Bruno, "Materiali per la fauna dei vertebrati valtellinesi", Sondrio, stab. tipografico "Quadrio", 1890

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